Utente:Simone Serra/Sandbox/C

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Sandbox C di Simone Serra.

Storia dell'Aquila tra il 1500 e il 1600[modifica | modifica wikitesto]

L'arrivo degli spagnoli e il governo di Franchi[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1503 gli aragonesi, dopo anni di contese con la Francia, conquistarono il Regno di Napoli ponendovi a capo un viceré di loro fiducia e occupando tutti i posti di comando.[1] All'Aquila venne nominato il conte Ludovico Franchi a signore della città,[2] segnò il definitivo tramonto di ogni forma di autonomia cittadina e contribuì alla decadenza della città, fino ad allora una delle più fiorenti del Regno.[3]

Vista aerea del Forte spagnolo.

Prima ancora nel 1501, quando Fabrizio Colonna conquistò la città, pose a capo il magistrato Ludovico Franchi, successivamente confermato capitano della Città da Consalvo de Cordova e conte di Montorio. Presso il palazzo vennero erette le insegne di Luigi XII di Francia, mentre Geronimo Gaglioffi cercò di rovesciare il governo. Grazie ai francesi, Aquila annetté i feudi di Ofena, Castel del Monte, Penne, Vittorito, Città Sant'Angelo, arrivando a ridisegnare i confini del comitatus, ora di proporzioni enormi per la regione degli Abruzzi. Tuttavia la felicità dei cittadini fu breve, perché nel 1503 appunto Fabrizio Colonna rientrò in città, mettendo a capo del governo nuovamente il Franchi. Ci fu un periodo di pace ventennale, anche se la politica di Ludovico Franchi era tutta votata all'intreccio di rapporti di servilismo con il nuovo governo spagnolo.

«Con tutto ciò si vivea allegramente et si facevano feste dai quartieri rappresentandosi dalla gioventù varie sorti di spettacoli di cose antiche di molta ricreazione delle compagnie dei Confrati, oltre quelle dei giovani particolari et fra l'altre furon rappresentate dalla Compagnia di San Leonardo i misterii di S. Paolo et dai confrati di S. Massimo quei di Moise nella legge vecchia, ridotte amendue Historie in verso volgare, l'una di Giannantonio di Mastro Melchiorre et l'altra da Tommaso di Martino, giovani di bell'ingegno amendui.»

Ludovico Franchi confiscò beni alle potenti famiglie dei Camponeschi e dei Gaglioffi e il clima di pace durò qualche decennio, quando alla sua morte Gaspare de Simoni, favorito di Lorenzo de' Medici nelle armi si propose come contraltare della dinastia Franchi. Alcuni esili vengono emanati, e a Napoli si decide di intervenire contro una città che aveva dato rifugio ai figli di Giampaolo Baglioni, un funzionario bandito da Leone X, e che intendeva darlo anche ad Alfonso I d'Este, nemico di papa Giulio II. Ludovico Franchi venne arrestato e rinchiuso nel fortino di Castelnuovo, mentre un sovrintendente, Ludovico Montalto, venne mandato da Napoli ad Aquila nel 1521. Il commissario regio andò ad ispezionare i metodi con cui si eleggevano i membri della Camera del Consiglio, e soppresse momentaneamente il plebiscito, eleggendo lui personalmente per due anni i membri del Consiglio, un aspetto di "normalizzazione" secondo la Corona ispanico-napoletana, della vita cittadina, intendendo togliere definitivamente il privilegio di semi-autonomia.
Un fatto singolare e sospetto accadde dopo la confisca dei beni dei Franchi, quando il bandito Giovanni Aquilano venne assoldato per attaccare il palazzo di Annibale Pica, uccidendo il fratello Lorenzo. Il sicario Giovanni però alla fine fu catturato, processato pubblicamente davanti al Palazzo del Capitano, impiccato e squartato. La città visse circa tre anni di semi-indigenza a causa delle leggi del Montalto, una delle quali prevedeva il foraggiamento delle truppe militari di passaggio per gli Appennini, come quelle del viceré Carlo di Lanois in marcia per la Lombardia. Successivamente ci fu la peste, che decimò la popolazione, e fece spostare la sede del governo a Paganica.

Carlo V

La guerra contro Carlo V[modifica | modifica wikitesto]

Gli aquilani approfittarono dello scontro tra Carlo V e Francesco I di Francia, nelle persone dei figli di Ludovico Franchi, che scelsero il partito francese seguendo gli Orsini. Nella speranza di riconquistare libertà e privilegi perduti, gli aquilani si unirono alla lega antispagnola capeggiata dai francesi, cui vennero nel 1527 aperte le porte della città, che tuttavia venne sconfitta nel 1529. L'Aquila venne occupata militarmente da Filiberto d'Orange,[4] viceré e luogotenente del Regno di Napoli, saccheggiata e costretta a versare nelle casse spagnole una esosa tassa. Inoltre la città venne distaccata dal suo contado, che venne spartito in feudi e dato in possesso a capitani dell'esercito imperiale, infliggendo un colpo durissimo alla sua economia.[5]

«Nell'Abruzzi il viceré liberò di prigione il conte vecchio di Montorio, perché ricuperasse l'Aquila, fu fatto prigione dai figliuoli [...] Ma l'Aquila i figlioli del Conte di Montorio diffidando di potervi stare sicuri altrimenti liberarono il Padre, il quale subito col favore della fattione imperiale ne scacciò i figliuoli e la fattione avversa [...] Succedette la cosa dell'Aquila felicemente: perché come Pietro Navarra vi s'accostò, il Principe di Melfi se ne partì e v'entrò in nome del Re di Francia di Vescovo di Città, figliolo del Conte di Montorio. [...] Aggiungesi a questi movimenti, che nell'Abruzzi Gianjacopo Franco entrò per il Re di Francia nella Matrice, che è vicina all'Aquila, per il che tutto il Paese era sollevato; e nell'Aquila si stava con sospetto, dove era Sciarra Colonna con seicento fanti [...] Dettesi nella fine dell'anno [1528] l'Aquila alla Lega per opera del Vescovo di quella città e del Conte di Montorio e d'altri fuoriusciti e che dette causa l'essere malte trattata dagli Imperiali.»

La rivolta del 1527 a favore dei francesi, si dimostrò un abile pretesto colto dagli spagnoli per condannare la città a sostenere totalmente le spese della costruzione di un nuovo castello, versando 100.000 ducati annui. La costruzione del Forte spagnolo, che necessitava di enorme spazio, comportò la distruzione di un intero quartiere.[7] Addirittura, per la realizzazione degli enormi cannoni posti a difesa della fortezza vennero fuse le campane della città, tra cui la grande Campana della Giustizia posta sulla Torre Civica.[7] Nelle intenzioni del viceré, il Forte doveva assolvere una duplice funzione: quella di baluardo difensivo nell'estremo confine settentrionale del regno di Carlo V, e quella di punto di controllo per il traffico della lana lungo l'asse che collegava Napoli a Firenze. Ma ciò che prostrò definitivamente il desiderio di autonomia della città fu l'annullamento di tutti i privilegi storici risalenti alla casa D'Angiò e il successivo infeudamento con tutti i territori dei castelli circostanti.

Conseguenze dell'infeudamento dell'Aquila[modifica | modifica wikitesto]

Gli aquilani però cercarono di riparare alla sventura inviando da Carlo V il sindaco Mariangelo Accursio, con la proposta di pagare 90.000 ducati per una reintegra dei privilegi storici, ma il sovrano rimise la vicenda al viceré Pietro de Toledo, che il 15 marzo 1542, dopo una lunga controversia stabilì "teoricamente" la reintegrazione dei beni, ossia dei castelli circostanti. Ma i baroni e signori si opposero rivendicando sempre il motivo dei privilegi dei feudi ora divenuti autonomi, rifiutando la proposta di un nuovo giogo dei mercanti della città. Addirittura queste varie universitates pretesero che i beni dei vari castelli dentro le mura dell'Aquila non fossero più registrati nel catasto civico, ma in quello del rispettivo castello.
Si accese una lunga controversia che durò fino al '700, dove i possidenti delle terre dentro le mura dovevano pagare le tasse alla città, mentre la questione dell'autonomia dei vari castelli si trascinò fino alla prima metà del Novecento, quando nel 1927 venne ridisegnata l'unità amministrativa della città.

Pietro de Toledo delegò Ettore Gesualdo di riesaminare le esazioni, il quale si recò il 23 dicembre 1549 in città per la registrazione catastale dei beni fuori e dentro le mura. I castelli di Civitaretenga e Tussio si ribellarono nel 1561, mandando una contro notifica, e ne nacque un'odissea giudiziaria protrattasi fino al Settecento. La vertenza fu firmata nel 1578 anche da altri castelli, e per la Regia camera venne mandato un commissario nel maggio 1601: Pietro Valcarel, che prese in esame i documenti risalenti sin al periodo di Federico II, alla presenza del magistrato Giovanbattista De Rosa. Il commissario si recò anche a Collemaggio, esaminando una carta del 1524 dove si intimava ai castelli l'obbligo di fornire la cera, poi andò a Santa Maria Paganica, dove il parroco confermò l'amministrazione del castello di Paganica, testimonianza data anche dai preti di Santa Maria del Poggio e San Pietro di Sassa, aggiungendo che le sepolture venivano effettuate nelle chiese relative ai castelli originari. Altri commissariamenti e controlli dei catasti ci furono fino al 1653, dove si prese visione del fatto che la città dell'Aquila fosse un caso unico nel Regno di Napoli, dove gran parte dei beni erano spartiti secondo un preciso ordine, e che gran parte di essi erano amministrati dagli arcipreti delle chiese, in relazione con le originarie parrocchie dei castelli.

Il governo di Margherita d'Austria[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Margherita d'Austria.

«Intanto Margarita d'Austria che da tempo aveva cercato dal re suo fratello la città dell'Aquila per sua dimora la ottenne in quest'anno [1572]; fatta governatrice perpetua di essa sgregando il Re la città dal Governo del Preside d'Abruzzi, riservate le terze cause e le seconde appellazioni alla gran corte della Vicaria, concedette alla Governatrice le prime e le seconde cause per tutto il tempo della vita di lei.»

Paradossalmente, fu la figlia di Carlo V, Margherita d'Austria, a donare alla città un nuovo momento di particolare splendore alla fine del Cinquecento. La sovrana, già governatrice dei Paesi Bassi, fece ritorno in Italia nel 1568 per dedicarsi all'amministrazione dei feudi abruzzesi del Regno dimostrando notevoli capacità, dando impulso all'economia locale e alla cultura e risolvendo delicate questioni territoriali. Dunque non c'è da stupirsi se, dopo aver alloggiato per un breve periodo a Cittaducale, al suo primo ingresso all'Aquila nel maggio del 1569 fu accolta trionfalmente dalla cittadinanza.[9]

Margherita d'Austria

Tuttavia, Margherita si stabilì ufficialmente nel capoluogo solo nel 1572, una volta ottenuto dal fratello Filippo II il governo della città. Nel suo periodo aquilano, la Madama, come soleva farsi chiamare, trovò dimora nel Palazzo del Capitano che per l'occasione venne sottoposto ad un gravoso restauro che lo porterà a diventare un piccolo ma prestigioso palazzo rinascimentale. Furono proprio i grandi ricevimenti, le opere urbanistiche e le innovazioni di tipo economico che si svolsero nel suo periodo di governo a donare alla città una caratteristica atmosfera cortigiana.[10]

La città fece parte dello Stato Farnesiano degli Abruzzi insieme a Penne, Farindola, Montorio al Vomano, San Valentino in Abruzzo Citeriore, ma non fu "infeudata", benché gestita come una magistratura atipica, che ovviamente non concedeva spazi di progetti di ritorno all'autonomia. I feudi della conca amiternina vennero venduti mediante compravendita, segnando la frammentazione di quell'unico contado aquilano che dette ricchezze alla città. Per questo la politica di Margherita fu ben accetta dagli aquilani dopo anni di carestie, depauperamenti e sconvolgimenti politici da parte degli Spagnoli.

Il Palazzo del Capitano, sede della corte di Madama Margherita

Il circolo culturale della duchessa Margherita[modifica | modifica wikitesto]

La "corte aquilana" si riuniva presso il Palazzo del Capitano, dove Margherita chiamò vari ufficiali come il notaio Bernardino Porzio, i nobili Sebastiano Romano, Pietro Yvagnes, Ferdinando da Pile, l'arcidiacono don Vincenzo Colantoni, l'arciprete Ascanio Vetusti di San Biagio d'Amiterno, don Giovanni Agnifili di Lucoli, il protonotaio Carlo Alifero, insieme ad altri notai ed eminenti personalità provenienti dai vari castelli della conca, per garantire un legame diplomatico di pace e riunificazione simbolica. Tra di essi figurò anche il bolognese Francesco De Marchi, il primo scalatore ufficiale del Gran Sasso d'Italia nel 1573, passando per Campo Imperatore di Assergi.
Benché Margherita non avesse i pieni poteri delle corti attigue di Napoli, di Ferrara e di Firenze, fece di tutto per ritagliarsi un piccolo spazio che somigliasse in tutto e per tutto a una corte nobiliare, e andò avanti con la sua politica di modifiche e ammodernamenti della città, come la creazione di una moderna fattoria "la Cascina" a Campo di Pile, sul modello delle fattorie di Fiandra, che negli anni si arricchì grazie ai pascoli e alle acque del Vetoio.

Nel 1583 Margherita tornò in Abruzzo, interessandosi al feudo marittimo di Ortona, dove costruirà il suo Palazzo Farnese e tracciando un cordone commerciale con Sulmona ed Aquila, quest'ultima nel frattempo rappresentata in sua vece dai cortigiani di fiducia. Nel 1584 l'Aquila fu amministrata da don Ottavio Zugnica, concentrandosi sulla micro-attività imprenditoriale della Cascina di Pile. In questi anni i documenti testimoniano anche l'insanabile decadenza della Compagnia dell Arti, che nel Medioevo era tra i primi posti nell'amministrazione pubblica della città. Soltanto i viaggi della transumanza nella Puglia foggiana non conobbero crisi, ed anzi i capi di bestiame aumentarono a dismisura nei registri della Dogana di Foggia. Con la morte di Margherita nel 1586 ad Ortona, si concluse un breve periodo idillico in cui la città amiternina, benché non tornata agli antichi fasti, ebbe modo di farsi conoscere al livello europeo come piccolo ricettacolo d'arte e di cultura e spazio fecondo dove instaurare una parvenza di governo di corte. Tuttavia per la città fu una sconfitta per quanto riguardava il desiderio della riunione del comitatus della conca e dei castelli, ormai definitivamente separati dall'autonomia cittadina, e destinati ad essere feudi di vari signori e baroni cadetti.

Urbanistica della città di Fonticulano[modifica | modifica wikitesto]

Costa Masciarelli
La pianta dell'Aquila di Fonticulano

Nel 1575 Pico Fonticulano pubblicò la Pianta dell'Aquila, confrontandola con la Pianta di Napoli. La città è vista ribaltando l'ordine degli assi: il Nord corrisponde all'Est e il Sud corrisponde all'Ovest: insomma la pianta è ruotata di 90° a destra, in modo che il Forte spagnolo, edificato nella prima metà del Cinquecento, si trovi a Nord-Ovest, e il Borgo Rivera con la fontana delle 99 cannelle ad Est. Nella pianta è ben delineata la cinta muraria con le porte di accesso: dal Forte compiendo un giro ci sono Porta Castello, Porta Leoni, Porta Bazzano, Porta Tione, Porta Bagno posta presso il Campo di Fossa, Porta Roiana, Porta Rivera, Porta Romana, Porta Pilese, Porta Barete, Porta San Lorenzo, Porta Branconia. L'interno della città è scandito da linee perpendicolari che compongo o i cardi e i decumani, con al centro dell'area tutti, leggermente tendente a Sud, verso il quartiere San Marciano, la Piazza del Duomo, a impianto rettangolare.

I due decumani massimi sono il Corso Maggiore o Stretto (oggi corso Vittorio Emanuele) e via Cardinale (oggi composta da via Cardinale, via Cesura, via Annunziata, via Cascina, via del Guasto, che attraversa l'area estrema da Porta Roiana fino a Santa Maria della Misericordia); i tre cardi sono invece via Roio, che sfocia in Piazza Duomo accanto alla Cattedrale e che oltre la piazza si collega con Costa Masciarelli, il Corso Occidentale, che attraversa i quarti di San Pietro e Santa Maria (oggi via Roma, via Andrea Bafile, Corso Principe Umberto, e poi all'incrocio dei "quattro cantoni" si trasforma in via San Bernardino fino a Porta Leoni), e infine l'asse di via Porcinari e via Garibaldi, che all'intersezione con il corso Vittorio diventa via Castello, fino alla porta omonima.

Piazza Duomo è vista in maniera leggermente diversa, con due fontane monumentali molto più grandi e diverse di aspetto dalle due attuali che compongono il gruppo di "Fontana Vecchia". Prima del 1703 probabilmente la piazza era dotata anche di un monumentale obelisco centrale, come dimostrano alcune stampe, e l'asse della Cattedrale era ruotato rispetto a quello odierno del dopo-sisma 1703.
Presso Porta Bazzano si vedono chiaramente tre strade che non rispettano affatto l'ordine preciso dei cardi e decumani, ma compongono un triangolo con vertice appunto la porta: le tre coste di Picenze, Masciarelli e di via Fortebraccio. Queste strade che rispettano il pendio del colle orientale di Campo di Fossa, furono progettate dal Fonticulano per agevolare il passaggio fino a Piazza Duomo, insieme ad altri piccoli interventi urbani oggi scomparsi, come la realizzazione del monumentale campanile della Cattedrale, distrutto nel 1703.

Inoltre è da notare come la pianta del Fonticulano seguisse lo schematismo preciso degli impianti rettangolari e quadrati delle case coloniche, che componevano con i cardi e decumani la scacchiera dell'area. Gran parte dei palazzi e delle case, dopo il 1703, furono ricostruite ex novo, non variando particolarmente il sistema gli assi, ma dando alcune modifiche all'aspetto urbano, modifiche accentuate ancora di più dagli interventi urbanistici del primo '900 e del fascismo.

I Gesuiti all'Aquila[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa di Santa Margherita, sede della Confraternita dei Gesuiti

Nel 1562 la Compagnia del Gesù all'Aquila, ispirandosi al disegno di Ferrante I del 1458 di aprire una scuola a Siena e Bologna, anche nella città abruzzese aprirono un collegio personale. Mediatore del progetto fu promosso dal vescovo aquilano Ioào de Acunha, consacrato nel 1561, e facente parte dell'entourage di Filippo II di Spagna, progetto di per sé irrilevante data l'esistenza di altri collegi nell'Italia e nel Regno di Napoli, ma scelta usata come messaggio di resistenza, e di volere di mantenersi in rapporti di interlocuzione con i principali centri della Penisola. Travagliata fu l'installazione dei Gesuiti all'Aquila, che riuscirono ad accedere solo nel 1596, sotto la rappresentanza di Sertorio Caputo, che dovette lottare contro le resistenze dei facoltosi cittadini aquilani, contrari all'istituzione di una scuola religiosa ex novo, poiché esistevano già tanti altri monasteri in città che vedevano la cosa come una minaccia.
Dapprima furono avanzate richieste dei Gesuiti al duca Giangirolamo Acquaviva di Atri, nello stesso momento in cui a Roma si avanzavano le richieste dei Beneventani ed a Napoli i religiosi di Chieti.

Nella seduta della Camera del 1 maggio 1564 si decise di versare ai Gesuiti 300 ducati annui, somma irrisoria davanti a soli 500 ducati stanziati ad esempio dal Collegio dei Nobili per l'attività della stampa e di una possibile ripresa delle Arti, segno che il progetto dell'istituzione di una sede autonoma dei Gesuiti non figurava tra i piani comunali. Solo alla fine del secolo con l'interesse del Cardinale Bellarmino e del collegio di Napoli i Gesuiti aquilani riuscirono ad avere una loro sede nell'antica chiesa di Santa Margherita. Con i fondi molto più cospicui ora, che ricevettero i Gesuiti, la vecchia chiesa venne demolita e ricostruita ex novo, malgrado varie lungaggine che non permisero il totale completamento, anche se dopo il terremoto del 1703 ci furono varie offerte per un progetto molto più ambizioso. Il Collegio oggi è il Palazzo Camponeschi, posto accanto alla chiesa, e davanti alla piazzetta dove si affaccia il Palazzetto dei Nobili.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Napoli, regno di, su treccani.it. URL consultato il 26 novembre 2022.
  2. ^ GAGLIOFFI, Girolamo, su treccani.it. URL consultato il 26 novembre 2022.
  3. ^ Aquila, su treccani.it. URL consultato il 26 novembre 2022.
  4. ^ Chiamato "l'odioso a nome degl'aquilani", cfr. B. Cirillo, Annali della Città dell'Aquila con l'historie del suo tempo, Roma 1570, pag.128
  5. ^ Scriverà a tal proposito lo storico Anton Ludovico Antinori nei suoi Annales: "Col nome di Aquila è inteso fin qui la città e tutte le terre di suo vasto contado che con quella facevano un corpo solo, col nome d'Aquila in avanti non si intenderà che le mura stesse nelle quali è situata e recinta la città"
  6. ^ Op. cit, VI, cap. XIX, p. 136 - dall'edizione milanese del 1843
  7. ^ a b AA.VV., Sulle ali dell'Aquila - Storia della città, L'Aquila 1999
  8. ^ A.L.Antinori, Op. cit., XX
  9. ^ Notizie riportate nei manoscritti di Francesco Ciurci e confermate successivamente da molti cronachisti aquilani, compreso Anton Ludovico Antinori
  10. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore BreveStoria

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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