Utente:Simone Serra/Sandbox/F

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Sandbox F di Simone Serra.

Storia del Cinquecento in Abruzzo[modifica | modifica wikitesto]

I miracoli del Cinquecento[modifica | modifica wikitesto]

Il Miracolo dell'apparizione Mariana a Giulianova[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Santuario della Madonna dello Splendore.
La Madonna del Veronese nel santuario dello Splendore a Giulianova

Durante il governo di Atri, a Giulianova si verificò un fatto miracoloso: il 22 aprile 1557 apparve la Madonna "dello Splendore", come dice la cronaca del priore don Pietro Capullo. Presso un colle fuori dall'abitato, nell'ora di mezzogiorno la Vergine apparve al contadino Bertolino, e gli chiese di andare in città a testimoniare il prodigio, avendo scelto il colle come luogo per far erigere una dimora di Dio.[1] Il contadino andò in città al palazzo del governatore, il duca d'Acquaviva, che lo cacciò tra gli scherni. Il giorno dopo il contadino si recò sul luogo dell'apparizione, presso l'ulivo, e gli apparve nuovamente la Vergine per rincuorarlo. Bertolino tornò in città per annunciare il miracolo, ma fu preso a bastonate, e la Madonna intervenne paralizzando il fustigatore. Il governatore Acquaviva allora si convinse del miracolo, e organizzò una processione col parroco fino al colle dell'ulivo, dove la vergine fece sgorgare sotto l'albero una sorgente d'acqua curativa per i mali del corpo, e che avrebbe posto fine alla pestilenza e alla malaria che affliggeva Giulianova, a causa delle numerose paludi. Di qui venne successivamente fondato il complesso monastico con relativa compagnia, e la chiesa santuario della Madonna dello Splendore.

Il miracolo del Volto Santo di Manoppello[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Volto Santo di Manoppello.
Volto Santo di Manoppello

Una reliquia molto venerata in Abruzzo insieme al luogo sacro dello Splendore di Giulianova, è il volto Santo di Manoppello, conservato nell'omonimo santuario, nel XVI secolo convento dei Padri Cappuccini, fuori dall'abitato di Manoppello. Nel 1506 in una lettera al pontefice papa Giulio II, si racconta che sotto il governo di Massimiliano signore di Manoppello per conto degli Asburgo, il dottore e studioso Giacomo Antonio Leonelli ricevette da un misterioso pellegrino, presso la parrocchiale di San Nicola in paese, un fardello, e poi scomparve.

Il dottore svolse il rotolo e scoperse l'immagine sacra di Cristo. Non riuscendo a trovare l'uomo misterioso, il Leonelli convenne che doveva trattarsi di un angelo mandato da Dio. Per proteggere la reliquia, il Leonelli la tenne chiusa nell'armadio, e rimase lì per un centinaio d'anni, finché il pronipote Pancrazio Petrucci volle tenerla per sé, causando la disgrazia della famiglia, tanto che dovette venderla per pagare i debiti, al dottore Donato Antonio De Fabritiis (1618). Il telo dell'icona sacra era molto malridotto, e solo la parte con il disegno dell'immagine, era ben conservato, tanto che il De Fabritiis dovette considerare la cosa prodigiosa, e si rivolse ai Cappuccini di Manoppello, che riconobbero l'Immagine miracolosa, e vollero tenerla in esposizione nel monastero. Con gli anni il prestigio dei miracoli dell'immagine valicò i confini d'Abruzzo, tanto che la chiesa, benché restaurata in maniera grossolana e raffazzonata negli anni '60 per essere trasformata in santuario, è uno dei luoghi sacri più frequentati della regione, visitato nel 2006 anche da papa Benedetto XVI.

Gli spagnoli in Abruzzo[modifica | modifica wikitesto]

Ludovico Franchi, i primi segnali di destabilizzazione[modifica | modifica wikitesto]

«Con tutto ciò si vivea allegramente et si facevano feste dai quartieri rappresentandosi dalla gioventù varie sorti di spettacoli di cose antiche di molta ricreazione delle compagnie dei Confrati, oltre quelle dei giovani particolari et fra l'altre furon rappresentate dalla Compagnia di San Leonardo i misterii di S. Paolo et dai confrati di S. Massimo quei di Moise nella legge vecchia, ridotte amendue Historie in verso volgare, l'una di Giannantonio di Mastro Melchiorre et l'altra da Tommaso di Martino, giovani di bell'ingegno amendui.»

Ludovico Franchi nei primi del '500 grazie all'appoggio con Luigi XII di Francia (di cui esiste una statua monumentale retta davanti al palazzetto dei Nobili in piazza Santa Margherita), divenne magistrato supremo della città dell'Aquila, e rappresentò il primo segnale di allarme, all'alba dell'era moderna, per il sistema di semi-autonomia e di libertà amministrativa ed economica dell'Aquila. Infatti il Franchi, che oltretutto era originario del locale "Sassa" del Quarto di San Pietro, nemico storico del Quarto di Santa Maria, roccaforte dei nobili Camponeschi, confiscò beni alle potenti famiglie Camponeschi-Gaglioffi, e il clima di pace durò qualche decennio, quando alla sua morte Gaspare de Simoni, favorito di Lorenzo de' Medici nelle armi si propose come contraltare della dinastia Franchi[2]. Alcuni esili vengono emanati, e a Napoli si decide di intervenire contro una città che aveva dato rifugio ai figli di Giampaolo Baglioni, un funzionario bandito da Leone X, e che intendeva darlo anche ad Alfonso I d'Este, nemico di papa Giulio II.

Ludovico Franchi venne arrestato e rinchiuso nel fortino di Castelnuovo di San Pio, mentre un sovrintendente, tal Ludovico Montalto, venne mandato da Napoli all'Aquila nel 1521. Il commissario regio andò a ispezionare i metodi con cui si eleggevano i membri della Camera del Consiglio, e soppresse momentaneamente il plebiscito, eleggendo lui personalmente per due anni i membri del Consiglio, un aspetto di "normalizzazione" secondo la Corona ispanico-napoletana, della vita cittadina, intendendo togliere definitivamente il privilegio di semi-autonomia[3]. Un fatto singolare e sospetto accadde dopo la confisca dei beni dei Franchi, quando il bandito Giovanni Aquilano venne assoldato per attaccare il palazzo di Annibale Pica, uccidendo il fratello Lorenzo. Il sicario Giovanni però alla fine fu catturato, processato pubblicamente davanti al Palazzo del Capitano, impiccato e squartato. La città visse circa tre anni di semi-indigenza a causa delle leggi del Montalto, una delle quali prevedeva il foraggiamento delle truppe militari di passaggio per gli Appennini, come quelle del viceré Carlo di Lanois (o di Lannoy) in marcia per la Lombardia. Successivamente ci fu la peste, che decimò la popolazione, e fece spostare la sede del governo a Paganica.

La guerra franco-spagnola e la caduta dell'Aquila[modifica | modifica wikitesto]

Carlo V

Gli aquilani approfittarono dello scontro tra Carlo V e Francesco I di Francia, nelle persone dei figli di Ludovico Franchi, che scelsero il partito francese seguendo gli Orsini. Nella speranza di riconquistare libertà e privilegi perduti, gli aquilani si unirono alla lega antispagnola capeggiata dai francesi, cui vennero nel 1527 aperte le porte della città, che tuttavia venne sconfitta nel 1529. L'Aquila venne occupata militarmente da Filiberto d'Orange[4], viceré e luogotenente del Regno di Napoli, saccheggiata e costretta a versare nelle casse spagnole un'esosa tassa. Inoltre la città venne distaccata dal suo contado, che venne spartito in feudi e dato in possesso a capitani dell'esercito imperiale, infliggendo un colpo durissimo alla sua economia[5].

«Nell'Abruzzi il viceré liberò di prigione il conte vecchio di Montorio, perché ricuperasse l'Aquila, fu fatto prigione dai figliuoli [...] Mall'Aquila i figlioli del Conte di Montorio diffidando di potervi stare sicuri altrimenti liberarono il Padre, il quale subito col favore della fattione imperiale ne scacciò i figliuoli e la fattione avversa [...] Succedette la cosa dell'Aquila felicemente: perché come Pietro Navarra vi s'accostò, il Principe di Melfi se ne partì e v'entrò in nome del Re di Francia di Vescovo di Città, figliolo del Conte di Montorio. [...] Aggiungesi a questi movimenti, che nell'Abruzzi Gianjacopo Franco entrò per il Re di Francia nella Matrice, che è vicina all'Aquila, per il che tutto il Paese era sollevato; e nell'Aquila si stava con sospetto, dove era Sciarra Colonna con seicento fanti [...] Dettesi nella fine dell'anno [1528] l'Aquila alla Lega per opera del Vescovo di quella città e del Conte di Montorio e d'altri fuoriusciti e che dette causa l'essere malte trattata dagli Imperiali.»

Rivolta aquilana e costruzione del Forte Spagnolo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Forte spagnolo.

La rivolta del 1527 a favore dei francesi, si dimostrò un abile pretesto colto dagli spagnoli per condannare la città a sostenere totalmente le spese della costruzione di un nuovo castello, versando 100.000 ducati annui. La costruzione del Forte spagnolo, che necessitava di enorme spazio, comportò la distruzione di un intero quartiere, ossia una porzione occidentale di Santa Maria, e vennero fuse anche le campane della città, tra cui la "campana della Giustizia" sulla torre civica del Palazzo, in segno di spregio e di umiliazione verso la città ribelle. Addirittura vennero troncati i campanili di Santa Maria del Carmine e Santa Maria Paganica onde evitare possibili rappresaglie degli aquilani contro il castello.

Bastione del castello spagnolo

Nelle intenzioni del viceré, il Forte doveva assolvere una duplice funzione: quella di baluardo difensivo nell'estremo confine settentrionale del regno di Carlo V, e quella di punto di controllo per il traffico della lana lungo l'asse che collegava Napoli a Firenze. Ma ciò che prostrò definitivamente il desiderio di autonomia della città fu l'annullamento di tutti i privilegi storici risalenti alla casa D'Angiò, e ovviamente il successivo infeudamento con tutti i territori dei castelli circostanti. Gli aquilani però cercarono di riparare alla sventura inviando da Carlo V il sindaco Mariangelo Accursio, con la proposta di pagare 90.000 ducati per una reintegra dei privilegi storici, ma il sovrano rimise la vicenda al viceré Pietro de Toledo[7], che il 15 marzo 1542, dopo una lunga controversia stabilì "teoricamente" la reintegrazione dei beni, ossia dei castelli circostanti. Ma i baroni e signori si opposero rivendicando sempre il motivo dei privilegi dei feudi ora divenuti autonomi, rifiutando la proposta di un nuovo giogo dei mercanti della città. Addirittura queste varie universitates pretesero che i beni dei vari castelli dentro le mura dell'Aquila non fossero più registrati nel catasto civico, ma in quello del rispettivo castello.

Le principali signorie del Viceregno in Abruzzo[modifica | modifica wikitesto]

Stemma della famiglia D'Avalos, signori del Vasto e di Pescara

Si citano solo le famiglie più importanti durante il viceregno spagnolo.

Stati Farnesiani Abruzzesi: Margherita d'Austria all'Aquila[modifica | modifica wikitesto]

Con la conquista spagnola, gran parte dell'Abruzzo fu infeudato, e le antiche demanialità delle città non ancora sotto il signore feudatario, concesse dalla Casa d'Aragona, furono annullate. Dunque di colpo città come L'Aquila, Penne, Sulmona e Lanciano si trovarono sotto un signore incaricato dal sovrano di Napoli, a dover pagare sia le tasse al suddetto governatore, sia alla Corona. Una porzione della Marsica andò in feudo a Fabrizio Colonna, e così anche Sulmona, Atessa e Lanciano, mentre con un intreccio matrimoniale, la contessa Margherita d'Austria d'Asburgo, duchessa di Parma, installava con Ottavio Farnese una sorta di "stato farnesiano" in Abruzzo tra L'Aquila e Penne, Campli, San Valentino in Abruzzo Citeriore, e poi anche Ortona, dove Madama Margherita vi morì.

«Intanto Margarita d'Austria che da tempo aveva cercato dal re suo fratello la città dell'Aquila per sua dimora la ottenne in quest'anno [1572]; fatta governatrice perpetua di essa sgregando il Re la città dal Governo del Preside d'Abruzzi, riservate le terze cause e le seconde appellazioni alla gran corte della Vicaria, concedette alla Governatrice le prime e le seconde cause per tutto il tempo della vita di lei.»

Fu Margherita d'Austria, figlia di Carlo V, a donare all'Aquila e all'Abruzzo vestino pennese un momento particolare splendente alla fine del XVI secolo. La sovrana, già governatrice dei Paesi Bassi, fece ritorno in Italia e nel 1568 per dedicarsi all'amministrazione dei feudi abruzzesi ottenuti dal matrimonio con Ottavio Farnese, dimostrò notevoli capacità, dando impulso all'economia locale, e alla cultura, risolvendo delicate questioni territoriali. Alloggiando a Cittaducale, allora nell'Abruzzo, Margherita da Montereale arrivò all'Aquila nel maggio 1569, accolta trionfalmente

Margherita d'Austria

La Madama però si stabilì nel capoluogo abruzzese solo nel 1572, una volta ottenuto dal fratello Filippo II di Spagna il governo della città. La Madama trovò dimora nel Palazzo del Capitano (oggi Palazzo Margherita), restaurandolo notevolmente, usato come sede di ricevimenti principeschi e cenacolo culturale. La città aquilana dunque fece parte dello Stato Farnesiano degli Abruzzi insieme a Penne, Farindola, Montorio al Vomano, San Valentino in Abruzzo Citeriore, ma non fu "infeudata", benché gestita come una magistratura atipica, che ovviamente non concedeva spazi di progetti di ritorno all'autonomia. I feudi della conca amiternina vennero venduti mediante compravendita, segnando la frammentazione di quell'unico contado aquilano che dette ricchezze alla città. Per questo la politica di Margherita fu ben accetta dagli aquilani dopo anni di carestie, depauperamenti e sconvolgimenti politici da parte degli Spagnoli.

Il Palazzo del Capitano, sede della corte di Madama Margherita

La "corte aquilana" si riuniva presso il Palazzo del Capitano, dove Margherita chiamò vari ufficiali come il notaio Bernardino Porzio, i nobili Sebastiano Romano, Pietro Yvagnes, Ferdinando da Pile, l'arcidiacono don Vincenzo Colantoni, l'arciprete Ascanio Vetusti di San Biagio d'Amiterno, don Giovanni Agnifili di Lucoli, il protonotaio Carlo Alifero, insieme con altri notai ed eminenti personalità provenienti dai vari castelli della conca, per garantire un legame diplomatico di pace e riunificazione simbolica. Tra di essi figurò anche il bolognese Francesco De Marchi, il primo scalatore ufficiale del Gran Sasso d'Italia nel 1573, passando per Campo Imperatore di Assergi. Benché Margherita non avesse i pieni poteri delle corti attigue di Napoli, di Ferrara e di Firenze, fece di tutto per ritagliarsi un piccolo spazio che somigliasse in tutto e per tutto a una corte nobiliare, e andò avanti con la sua politica di modifiche e ammodernamenti della città, come la creazione di una moderna fattoria "la Cascina" a Campo di Pile, sul modello delle fattorie di Fiandra, che negli anni si arricchì grazie ai pascoli e alle acque del Vetoio[9].

Margherita a Penne[modifica | modifica wikitesto]

Margherita d'Austria

La presenza di madama Margherita del consorte Ottavio Farnese a Penne, e soprattutto il loro operato, è stato ben studiato da Giovanni de Caesaris nel suo Gli Ordini di Margarita d'Austria per i Suoi Stati d'Abruzzo nel 1571.

Penne entrò nei possessi di Margherita e Ottavio nel 1539. Margherita d'Austria e il marito Ottavio fecero visita penne, capitale dei domini farnesiani degli Abruzzi, nel 1540, prendendo sede in un palazzo, ancora oggi detto "palazzo Margarita", ospitati dalla famiglia Scorpione. La presenza di Margherita a Penne dette un notevole contributo alla trasformazione tardo-rinascimentale della città, come oggi la si vede, con i palazzi gentilizi e le chiese barocche, completamente realizzati in mattone.[10] Questa famiglia entrò in stretti rapporti con gli Asburgo nel 1542, quando Margherita dette in moglie Violante di Roscio da Capri a Girolamo degli Scorpioni, con una dote di 2000 scudi. Il palazzo Margherita di Penne oggi ospita le Suore della Santa Famiglia, e conserva ancora il tipico stile farnesiano rinascimentale. Oltre a Penne, i Farnese ebbero i feudi di Campli, San Valentino in Abruzzo Citeriore, Farindola, Ortona e L'Aquila. Benché il dominio dei Farnese a Penne sia durato per almeno due secoli, fu relativamente tormentato da carestie e da incursioni dei Francesi, contro cui gli Spagnoli si fronteggiavano per il territorio. Il potere del vescovo si ridusse sempre di più, già minato all'epoca aragonese, e gli antichi privilegi si ridussero a poche concessioni amministrative su scarsi campi politici della città.

Stemma degli Aliprandi sul palazzo omonimo di Penne

Dal punto di vista delle famiglie influenti nella città, oltre alla figura del governatore Farnese, che rispondeva al signore del ducato di Parma, nel Cinquecento si distinsero in città gli Aliprandi.

Stato farnesiano di Ortona[modifica | modifica wikitesto]

Il Palazzo Farnese di Ortona, voluto da Margherita e mai completato

la sovrana dal 1579 al 1581 stette nelle Fiandre, affiancando il figlio Alessandro come governatore di quel paese, ma a causa della sua ostilità con Filippo II di Spagna, ne revocò la nomina il 13 dicembre. Tornata in Abruzzo, soggiornò dapprima all'Aquila e poi andò a Ortona, dove provvide a edificare un nuovo palazzo signorile che non vide mai completato, perché morì nel 1586, nel Palazzo dei Riccardi, presso la Cattedrale di San Tommaso. Tuttavia Madama Margherita riuscì a lasciare alla città il progetto di porre la sua nuova residenza signorile abruzzese. Nell'inverno 1583 la madama scelse il sito dove costruire la residenza, in un'area che era di proprietà dell'ex convento di San Francesco d'Assisi, e all'architetto Giacomo Della Porta fu dato l'incarico di disegnare il progetto. La progettazione avvenne in quegli anni, e durante l'abbattimento delle case della zona via Orientale vennero trovate tre medaglie, poi montate sulla facciata. Il processo di costruzione del palazzo ebbe varie battute d'arresto, e fu terminato almeno un secolo dopo la morte di Margherita, ma ancora oggi costituisce un mirabile esempio del rinascimento nordico trapiantato in Abruzzo.

Il Marchesato d'Avalos a Vasto[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Marchesato del Vasto, D'Avalos e Palazzo d'Avalos.
Ferrante Francesco d'Avalos

Dopo essere appartenuta a Jacopo Caldora, Vasto visse un periodo stagnante, divenendo presidio degli Aragona. La sua economia e la sua vitalità sociale si riebbero soltanto quando la città fu infeudata alla famiglia napoletana D'Avalos, il cui capostipite Innico I, morto nel 1484, ebbe da Alfonso I d'Aragona il feudo istoniese, con i figli Alfonso, Rodrigo e Innico il Giovane. I d'Avalos godettero di grande prestigio nel Regno e vennero iscritti nell'albo d'oro di Napoli[11]. Innico I si distinse nella battaglia di Ponza del 1435, nel 1450 sposò Antonella d'Aquino, e ottenne i feudi di Pescara, Loreto Aprutino e Monteodorisio, divenendone il marchese. Più importante fu Ferdinando Francesco, morto nel 1525, che fu marchese di Pescara e conte di Loreto, ottenendo il governo dell'isola di Ischia, sposandosi con Vittoria Colonna. Fu valente militare, prese parte nel 1512 alla battaglia di Ravenna contro i francesi, nel 1513 partecipò alla campagna di Lombardia conquistando Voghera, e poi si distinse a Vicenza ricacciando i veneziani.

Il Palazzo d'Avalos a Vasto, sede del potere

I D'Avalos, alla stessa maniera degli Acquaviva di Atri, promossero un vasto programma culturale, economico, politico e sociale che lanciò definitivamente Vasto verso la prosperità commerciale, divenendo presto una delle maggiori città dell'Adriatico dopo Pescara e Ortona. Nel XVI secolo al livello culturale Vasto promosse il canto, e si manifestò il movimento dei madrigalisti, dei quali il più celebre autore divenne Bernardino Carnefresca, detto "Lupacchino del Vasto", attivo a Milano; famoso fu anche Giovanni Battista Petrilli. Nel corso del XVII secolo il più celebre esponente della famiglia napoletana fu don Diego d'Avalos, che si sposò con donna Francesca Carafa, e che promosse la costruzione della prima scuola ecclesiastica d'educazione giovanile, gestita dai Padri Lucchesi, ossia l'attuale complesso della chiesa del Carmine, consacrata il 6 novembre 1690. Don Diego, uomo molto ambizioso, fece costruire per sé stesso anche una sfarzosa villa presso Punta Penna, con un originale progetto a bastioni a mandorla, seguendo lo stile del castello Caldora, e tal edificio è il Palazzo della Penna.

La chiesa del Carmine a Vasto, voluta da don Diego d'Avalos per i Padri Lucchesi

Nel corso del '700 il potere dei d'Avalos raggiunse probabilmente il suo apogeo con il marchese don Cesare Michelangelo d'Avalos. Personaggio potente e prepotente, strenuo oppositore del governo centrale e geloso dei suoi privilegi feudali, egli si pose al centro di un vasto complotto volto a rovesciare il potere spagnolo nel regno e sostituirlo con quello austriaco. Costretto all'esilio a Vienna, poté alfine ritornare a Vasto nel 1707. Il suo ritorno coincise con significative iniziative volte a trasformare e abbellire la città che egli aveva eletto a capitale dei suoi possedimenti. Il marchese ordinò tra le altre cose il restauro del palazzo familiare, elargendo inoltre fondi per il restauro delle due chiese di San Pietro e Santa Maria Maggiore. Il 24 ottobre 1723 consegnò l'omaggio del "Toson d'Oro" al principe romano Fabrizio Colonna in segno di riconoscenza con una festa sfarzosa a cui parteciparono molti nobili d'Abruzzo, di Roma e di Napoli. Morto nel 1729, fu sepolto nella chiesa di San Francesco di Paola in città. Nel 1751 le reliquie del corpo di San Teodoro, conservate nella chiesa omonima, anche se una leggenda vuole che siano proprio le spoglie di don Cesare. Altra importante famiglia vastese nel corso del '700 fu quella dei Mayo, di origini molisane. Giovanni Battista Mayo fu il capostipite, e la famiglia fece fortuna nella prosperosa città. Nel 1770 fu molto famoso Venceslao Mayo, poeta e scrittore, che si trovò suo malgrado coinvolto nelle giornate della "repubblica Vastese" del 1799.

In questo secolo Vasto visse sì un periodo di grande crescita e sviluppo, ma non riuscì mai a risolvere, almeno sino al '900, i gravi problemi della peste, della malaria, e delle condotte idriche degli acquedotti romani, che spesso causavano stagnazioni sotterranee, con improvvise frane nel centro cittadino. Nel 1656 l'Abruzzo fu colpito dalla peste, insieme alla Calabria e la Puglia. La popolazione supplicò San Michele, che non era ancora il patrono della città, ma San Teodoro, e con solenne processione l'arcivescovo Giovanni Alfonso Lucchese si recò sino alla collinetta dove si trovava l'antica cona del santo. La processione avvenne il 4 novembre, e il flagello non colpì gravemente la città, ma solo i villaggi di campagna.

Le scorrerie turche del 1566[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Vasto § L'attacco turco del 1566.
Pyali Pasha, il comandante dei pirati turchi che saccheggiarono l'Abruzzo

Nel 1566, tra luglio e il settembre, l'Abruzzo e il Molise furono presi d'assalto, nelle loro coste, dai turchi ottomani, capitanati dall'ammiraglio Piyale Paşa (o Pashà). L'attacco iniziò da Giulianova e continuò a sud alla fortezza di Pescara, in quel momento coinvolta nel grande progetto di rifacimento della fortezza regia, progetto in corso per volere di Carlo V. Ma la fortezza, per la sua imponenza, daro che i pirati non erano ben equipaggiati per lunghi assedi, non venne presa, data la possanza e l'efficacia dei nuovi bastioni della pianta pentagonale del maschio.

Saccheggio di Francavilla[modifica | modifica wikitesto]

Fu decisivo anche il contributo militare del duca Girolamo I d'Acquaviva di Atri, il quale organizzò la resistenza del bastioni, respingendo i colpi d'artiglieria, e ricacciando i pirati. A quel punto Piali Pascià ordinò l'invasione del litorale a sud, molto meno difeso: la mattina del 31 luglio 7.000 turchi sbarcarono presso il fiume Foro con l'obiettivo di fare rifornimento e saccheggiarono i paesi attorno. Furono messi a ferro e fuoco i paesi di Francavilla al Mare, dove vennero incendiate le chiese e i palazzi, catturati 500 prigionieri, e i turchi trafugarono l'arca d'argento dove era custodito il corpo di San Franco patrono, nella chiesa madre. Rimase per fortuna in salvo solo l'ostensorio prezioso di Nicola da Guardiagrele, oggi unico elemento storico della chiesa madre di Francavilla, che nei secoli a seguire fu distrutta completamente nel 1943, insieme a tutto l'abitato storico.

Della devastazione a Francavilla parla il padre Serafino Razzi nei suoi "Viaggi negli Abruzzi", il quale visitò Francavilla, stabilendosi nel convento dei Domenicani, e appurato ancora gli effetti della grande devastazione a 10 anni di distanza.

Il 1º agosto gli ottomani si diressero ancora più a sud, per raggiungere Ortona, penetrando, risalendo il fiume Foro e l'Alento, raggiungendo i centri dell'entroterra di Tollo, Miglianico e Ripa Teatina. Nonostante la superiorità numerica dei nemici, ci furono esempi di eroismo civile della popolazione, come nell'assedio della torre di Tollo, dove i cittadini con la pece bollente ricacciarono gli invasori. Tollo era allora feudo dei Ramignani di Chieti, e poi dei Nolli, munito di solide mura e di tre torri di controllo.

La popolazione nel frattempo, dall'Alento era scappata a Villamagna, che si trovava sopra un colle difficile da raggiungere, e infatti non venne assediato, su ciò c'è la leggenda della patrona Santa Margherita, che sarebbe apparsa circondata dal fuoco, scacciando i nemici.

Saccheggio di Ortona[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso giorno però i turchi entrarono a Ortona, devastando il castello, saccheggiando i palazzi e le chiese, e bruciarono la Cattedrale di San Tommaso Apostolo, per fortuna non riuscendo a trafugare le preziose reliquie del santo apostolo, portate dall'isola di Chios nel 1258 in città dal capitano Leone Acciaiuoli; però furono distrutti il monastero di Santa Maria di Costantinopoli (attuale sede dei Salesiani), da cui gli ottomani, sbarcati a "Cala dei Saraceni", avendo risalito il fiume Moro, saccheggiarono la basilica abbazia di San Marco (loc. San Donato), attraverso il monastero dei Celestini di Santa Maria riuscirono a entrare attraverso le mura a Porta Caldari e bruciarono le case.

Facciata della Cattedrale di San Giuseppe, all'epoca di Santa Margherita, poi riconvertita in Sant'Agostino, prima dell'intitolazione del XIX secolo. La chiesa fu completamente distrutta dai turchi meno la facciata gotica che rimase in piedi. Il rosone tuttavia andò perso, e quello di oggi è una ricostruzione del 1927

Qualche giorno prima dell'arrivo dei turchi il 1 agosto, nella chiesa di Santa Caterina di Ortona (inclusa nel monastero delle Benedettine dedicato a sant'Anna, in via Garibaldi), nell'oratorio del Crocifisso, si sarebbe verificato il miracolo del sanguinamento del costato di Cristo crocifisso tra la Vergine addolorata e San Giovanni apostolo.

L'affresco risalente al 1327 circa, facente parte dell'ex monastero di Sant'Anna delle Benedettine, avrebbe sanguinato 48 giorni prima della presa di Ortona, quando le monache già sapevano dei saccheggi di Francavilla e Pescara, supplicando l'immagine sacra. Sgorgato il sangue, le monache lo conservarono in un'ampolla e compresero che avrebbero dovuto abbandonare la città perché indifendibile. Si racconta che durante la distruzione della città, il monastero di Santa Caterina non venne toccato, e nemmeno l'oratorio del Crocifisso, mentre le monache vi pregavano all'interno.[12]

Saccheggio di Vasto[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver cercato di prendere anche Vasto, i turchi proseguirono verso Termoli e Montenero di Bisaccia, dove rubarono il bestiame delle campagne, schiavizzando i pastori.

Vennero fatti schiavi anche i cittadini d'etnia slava, perché la fascia costiera con la missione di Giorgio Skandenberg cent'anni prima era stata colonizzata, e grazie a un militare disertore ottomano, questo gruppo di prigionieri ebbe salva la vita. Il 2 agosto gli ottomani sbarcarono a Termoli, riuscendo facilmente a espugnare il castello svevo, anche perché la popolazione preferì scappare nelle colline circostanti. Gli ottomani, vedendo che la popolazione aveva preventivamente abbandonato la città con i propri averi, si sfogarono depredando la cattedrale di San Basso. Qui secondo la leggenda, la Madonna implorata dal popolo scacciò gli ottomani, facendo trovare protezione alla gente sopra un colle, dove edificarono una chiesa dedicata alla Vittoria, mentre gli ottomani proseguivano imperterriti verso Guglionesi e Campomarino, finché l'intervento della Corona non ricacciò indietro i turchi.

Un testimone di questi fatti, anche se dopo che avvennero, fu il padre Serafino Razzi, che ne descrisse gli effetti ancora evidenti nei suoi Viaggi negli Abruzzi (1578), avendo soggiornato nei conventi domenicani di Francavilla, Vasto e Ortona, città maggiormente colpite da queste scorrerie.

Gli spagnoli a Pescara: la nuova fortezza o "Real Piazza"[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Fortezza di Pescara.

Quando Carlo V di Spagna entrò in possesso definitivo del Regno di Napoli, per fortificare il nuovo dominio, progettò un vasto sistema di fortificazioni, specialmente lungo le coste, proseguito dai successivi viceré di Napoli, tra cui Pedro Álvarez de Toledo e dal duca di Guisa. Fu così che nel 1510 iniziò la progettazione di rifacimento di una nuova fortezza militare che racchiudesse l'abitato antico di Aterno. La fortezza, smantellata alla fine dell'Ottocento, era costituita da sette bastioni che occupavano anche la porzione a nord del fiume. Della fortezza restano gli edifici delle caserme, dal 1982 sedi del Museo delle genti d'Abruzzo.

Mappa moderna con la ricostruzione dell'area della fortezza di Pescara

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Apparizione della Madonna dello Splendore, su madonnadellosplendore.it.
  2. ^ A. L. Antinori, Annali degli Abruzzi, Vol. XVIII, p. 177
  3. ^ A. Clementi, Storia dell'Aquila, p. 99
  4. ^ Chiamato "l'odioso a nome degl'aquilani", cfr. B. Cirillo, Annali della Città dell'Aquila con l'historie del suo tempo, Roma 1570, pag.128
  5. ^ Scriverà a tal proposito lo storico Anton Ludovico Antinori nei suoi Annales: "Col nome di Aquila è inteso fin qui la città e tutte le terre di suo vasto contado che con quella facevano un corpo solo, col nome d'Aquila in avanti non si intenderà che le mura stesse nelle quali è situata e recinta la città"
  6. ^ F. Guicciardini, Istoria d'Italia, Venezia, 1569, vol. XVIII, pp. 61-62-68-104.
  7. ^ Forte Spagnolo, su regione.abruzzo.it. URL consultato il 14 febbraio 2022 (archiviato dall'url originale il 29 luglio 2018).
  8. ^ A. L. Antinori, Annali, Vol. XX, p. 199
  9. ^ A. Clementi, Storia dell'Aquila, p. 114
  10. ^ C. Varagnoli, La costruzione tradizionale in Abruzzo, Gangemi Editore 2016, p. 147
  11. ^ Famiglia d'Avalos, su nobili-napoletani.it. URL consultato il 27 settembre 2018 (archiviato dall'url originale l'8 ottobre 2018).
  12. ^ Oratorio del Crocifisso, su tommasoapostolo.it.