Portale:Due Sicilie/Napoli

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  Due Sicilie   Regno di Sicilia   Regno di Napoli  

Il regno di Napoli è il nome con cui è conosciuto lo stato italiano preunitario, esistito, con alterne vicende, dal XIII al XIX secolo e comprendente le attuali regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, nonché alcuni territori dell'odierno Lazio (circondario di Sora, circondario di Gaeta e circondario di Cittaducale dopo l'unità d'Italia).

Dalla sua formazione fino all'unità d'Italia il territorio occupato dal regno di Napoli rimase compreso pressappoco sempre entro gli stessi confini e l'unità territoriale fu solo debolmente minacciata dal feudalesimo (Principato di Taranto, Ducato di Sora, Ducato di Bari) e dalle incursioni dei pirati barbareschi. Occupava grossomodo tutta la parte della penisola italiana che oggi è conosciuta come Mezzogiorno, dai fiumi Tronto e Liri, dai monti Simbruini a nord, fino al capo d'Otranto e al capo Spartivento. La lunga catena appenninica che vi si sviluppa era tradizionalmente divisa in Appennino abruzzese ai confini con lo Stato Pontificio, Appennino napoletano dal Molise al Pollino e Appennino calabrese dalla Sila all'Aspromonte. Fra i fiumi maggiori, il Garigliano e il Volturno: gli unici navigabili. Appartenevano al regno le isole dell'arcipelago campano, le isole ponziane e Tremiti, nonché a seconda del periodo storico, la Sicilia, le Egadi, le Lipari, Pantelleria, Ustica, e lo Stato dei Presidi. Lo stato era diviso in giustizierati o province, con a capo un giustiziere, attorno a cui ruotava un sistema di funzionari che lo aiutavano nell'amministrazione della giustizia e nelle riscossioni delle entrate tributarie. Ogni città capoluogo dei giustizierati ospitava un tribunale, un presidio militare e una zecca (non sempre attiva).

Repubblica Napoletana

«"Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema..." Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?.»

La Repubblica Napoletana del 1799 (a volte anche detta Repubblica Partenopea) fu una repubblica istituita a Napoli nel 1799 ed esistita alcuni mesi sull'onda della Prima Campagna d'Italia delle truppe della Francia repubblicana dopo la Rivoluzione francese.


Tommaso Aniello detto «Masaniello»

Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (da Mas'Aniello, contrazione di Maso, diminutivo di Tommaso, e di Aniello) (Napoli, 29 giugno 1620Napoli, 16 luglio 1647), è stato un rivoluzionario italiano.

Fu il protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione civile della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo. Essendo un personaggio di grande rilevanza nel panorama folkloristico di Napoli, le vicende della sua vita si mescolano spesso al mito ed alla tradizione popolare della città partenopea.

Quella di Masaniello non fu una rivolta antispagnola e antimonarchica, come avrebbe voluto la storiografia dell'Ottocento che, profondamente influenzata dai valori risorgimentali, vedeva in Masaniello un patriota ribellatosi alla dominazione straniera. Le cause degli eventi del luglio 1647 risiedono esclusivamente nella specificità politica, economica e sociale della Napoli spagnola nella prima metà del Seicento.

La rivolta fu scatenata dall'esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell'ancien régime, di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento sempre più dispotico e stravagante, Masaniello fu accusato di pazzia, tradito da una parte degli stessi rivoltosi, ed assassinato all'età di ventisette anni.

Nonostante la breve durata, la ribellione da lui guidata indebolì il secolare dominio spagnolo sulla città, aprendo la strada per la proclamazione dell'effimera e filofrancese Real Repubblica Napoletana, avvenuta cinque mesi dopo la sua morte. Questi eventi, visti in un'ottica europea, riaccesero la tradizionale contesa tra Spagna e Francia per il possesso della corona di Napoli.

Cucina napoletana

La cucina napoletana ha antichissime radici storiche che risalgono al periodo greco-romano, e si è arricchita nei secoli con l'influsso delle differenti culture che si sono susseguite durante le varie dominazioni della città e del territorio circostante. Importantissimo è stato l'apporto della fantasia e creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultura culinaria partenopea.

In quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha acquisito anche gran parte delle tradizioni culinarie dell'intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi).
A seguito delle varie dominazioni, principalmente quella francese e quella spagnola, si è delineata la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare[1]. La prima, caratterizzata da piatti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popolarissima pasta e fagioli. A seguito delle rielaborazioni avvenute durante i secoli, e della contaminazione con la cultura culinaria più nobile, la cucina napoletana possiede ora una gamma vastissima di pietanze, tra le quali spesso anche quelle preparate con gli ingredienti più semplici risultano estremamente raffinate.



 Bene protetto dall'UNESCO
Palazzo Reale di Caserta con il Parco, Acquedotto di Vanvitelli e complesso di San Leucio
 Patrimonio dell'umanità
TipoArchitettonico, paesaggistico
CriterioC (i) (ii) (iii) (iv)
PericoloNessuna indicazione
Riconosciuto dal1997
Scheda UNESCO(EN) 18th-Century Royal Palace at Caserta with the Park, the Aqueduct of Vanvitelli, and the San Leucio Complex
(FR) Scheda

La lingua napoletana (napulitano), è una lingua romanza.

Nonostante molti linguisti lo considerino un dialetto, altri, tra cui l'UNESCO, considerano il napoletano letterario standardizzato una vera e propria lingua, anche considerando le numerose varianti che ne possono essere considerate dialetti. Secondo altri tuttavia non si può considerare lingua una varietà che non abbia un riconoscimento ufficiale da parte di uno Stato e che non sia usata per tutte le funzioni comunicative.

Si hanno testimonianze scritte di napoletano già nel 960 con il famoso Placito di Capua (considerato il primo documento in lingua italiana, ma di fatto si tratta della lingua utilizzata in Campania dalla quale deriva il napoletano) e poi all'inizio del '300, con una volgarizzazione dal latino della Storia della distruzione di Troia di Guido Giudice delle Colonne.

La letteratura napoletana parte con Giulio Cesare Cortese e Giambattista Basile, vissuti nella prima metà del Seicento. Basile è autore di un'opera famosa come Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimiento de le piccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce, che ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa delle fiabe, inaugurando una tradizione ben ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm.

Negli ultimi tre secoli è sorta una fiorente letteratura in napoletano, in settori anche diversissimi tra loro, che in alcuni casi è giunta anche a punte di grandissimo livello, come ad esempio nelle opere di Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Ferdinando Russo, Eduardo Scarpetta, Eduardo De Filippo, Antonio De Curtis.
Sarebbero inoltre da menzionare nel corpo letterario anche le canzoni napoletane, eredi di una lunga tradizione musicale, caratterizzate da grande lirismo e melodicità, i cui pezzi più famosi (come, ad esempio, 'O Sole mio) sono noti in diverse zone del mondo. Esiste inoltre un fitto repertorio di canti popolari alcuni dei quali sono oggi considerati dei classici.
Va infine aggiunto che a cavallo del XVII e XVIII secolo, nel periodo di maggior fulgore della c.d. scuola musicale napoletana, questa lingua sia stata utilizzata per la produzione di interi libretti di opere liriche, alcune delle quali (Lo frate 'nnamorato ad esempio) hanno avuto una diffusione ben al di fuori dei confini partenopei.


Guerra austro-napoletana

La guerra austro-napoletana del 1815 fu combattuta tra il Regno di Napoli napoleonico e l'Impero austriaco. Durante i Cento giorni di Napoleone, il Regno di Napoli scese in guerra contro l'Impero austriaco per sostenere l'imperatore francese e per impedire il tentativo di restaurazione dei Borbone sul trono di Napoli: l'esercito napoletano, guidato dal re Gioacchino Murat, avanzò attraverso l'Italia centrale, ma fu sconfitto nella battaglia di Tolentino e costretto a ritirarsi. La sconfitta di Murat a Tolentino e quella di Napoleone nella battaglia di Waterloo causarono la caduta di Murat e la restaurazione di Ferdinando IV sul trono del Regno delle Due Sicilie; malgrado ciò, l'intervento austriaco in Italia diede inizio alla catena di eventi che portarono al Risorgimento italiano, di cui la guerra austro-napoletana, con il suo Proclama di Rimini, rappresentò l'antesignana.



Abruzzo Ultra
Brigantaggio

Per brigantaggio, termine originariamente riferito a fenomeni di banditismo generico, si suole definire una forma d'insurrezione politica e sociale sorta nel Mezzogiorno italiano (soprattutto in Basilicata, Campania, Lazio e Sicilia) durante il processo di unificazione dell'Italia e il primo decennio del Regno. Gli autori della resistenza furono infatti definiti, in senso dispregiativo, briganti dai militanti unitari.

Secondo diversi storici considerando che gli schieramenti tra loro nemici impegnarono notevoli risorse in uno scontro armato all'interno del nuovo Stato italiano, si può definire guerra civile quella che fu allora combattuta. Persone come Carmine Crocco, Nicola Napolitano, Ninco Nanco, Giuseppe Caruso, Michelina Di Cesare, Antonio Locaso, Luigi Alonzi e Damiano Vellucci furono esponenti di spicco di questo fenomeno.

Giambattista Vico

Giambattista Vico (Napoli, 23 giugno 1668 – Napoli, 23 gennaio 1744) è stato un filosofo, storico e giurista italiano, noto per il suo concetto di verità come risultato del fare (verum ipsum factum).

Il suo maggiore lavoro è la Scienza Nuova, (nel titolo originale Principi d'una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, per i quali si ritruovano altri princìpi del diritto naturale delle genti) pubblicato una prima volta nel 1725 e poi ancora - dopo ampliamenti e riscritture - nel 1730 e nel 1744, anno della sua morte.

L'originalità del suo pensiero è stata rivalutata nel XX secolo grazie a Benedetto Croce. In seguito il suo pensiero è stato considerato tra i precursori del costruttivismo.

Bandiere del Regno di Napoli


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  1. ^ Vedi anche l'articolo sulla storia della cucina campana dal sito emmeti.it. URL consultato il 14-05-2008.