Wokou

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Quadro del XVIII secolo raffigurante una battaglia navale tra cinesi e pirati giapponesi.

Wokou (in cinese: 倭寇, in giapponese: 倭寇, wakou in coreano: 왜구, waegu), letteralmente pirati giapponesi o pirati nani[1][2], furono dei pirati di varia provenienza etnica (erano Giapponesi, Coreani e Cinesi), mutevole anche a seconda del periodo,[3] che razziarono le coste della Cina, del Giappone e della Corea tra il XIV ed il XVII secolo.[4]
I wokou operarono tra la terraferma cinese e le isole del Mar del Giappone e del Mar Cinese Orientale ove si trovavano le loro basi. Le loro attività in Corea declinarono dopo il trattato di Gyehae nel 1443[5] ma perdurarono nella Cina dei Ming, raggiungendo l'apice durante le c.d. "incursioni di Jiajing" alla metà del XVI secolo. Le rappresaglie cinesi e le forti repressioni da parte delle autorità giapponesi portarono virtualmente alla scomparsa degli wokou nel corso del Seicento.
Il termine è una combinazione tra le parole cinesi T, P, lett. "nano/giapponese" e T, KouP, lett. "bandito".

Nel fenomeno della pirateria wokou si possono contraddistinguere due diverse epoche. I primi wokou si insediarono nelle isole esterne del Giappone, mentre i pirati del XVI secolo erano a maggioranza non giapponese. Questi primi pirati razziarono sia le coste giapponesi che quelle cinesi e coreane[6].
Il primo utilizzo della parola Wokou è da far risalire alla stele di Gwanggaeto, pietra monumentale eretta nella moderna città di Ji'an, in Cina, per celebrare le gesta dell'imperatore coreano Gwanggaeto di Goguryeo. Nelle iscrizioni della stele si legge come i wokou abbiano attraversato il mare e siano stati sconfitti dall'imperatore nel 404 d.C[7].

Raid wokou durante il XIV e XVII secolo.

Gli annali riportano che la principale base dei primi gruppi wokou fosse sull'isola di Tsushima e sulle isole Gotō. Jeong Mong-ju fu inviato in Giappone per cercare di risolvere il problema e durante la sua visita Imagawa Sadayo, governatore di Kyūshū, soppresse i pirati e restituì le proprietà trafugate ai rispettivi proprietari coreani. Nel 1405 Ashikaga Yoshimitsu consegnò alle autorità cinesi 20 pirati catturati, i quali vennero bolliti in un calderone nella città di Ningbo[8].

Secondo gli annali coreani, le attività di pirateria furono particolarmente intense a partire dal 1350. Dopo una serie di invasioni annuali nella provincie meridionali di Jeolla e Gyeongsang, i pirati spostarono le loro mire verso nord nelle province di Chungcheong e Gyeonggi[9]. Nella "Storia di Goryeo" vengono citate delle battaglie navali durante il 1380 a cui parteciparono centinaia di navi da guerra mandate aJinpo per debellare la minaccia dei pirati giapponesi, riuscendo a liberare 334 prigionieri e diminuendo l'attività nemica nell'area. La vittoria fu resa possibile grazie all'uso di armi a polvere da sparo, delle quali i wokou non possedevano nessuna maestria, dopo la costituzione da parte di Goryeo dell'Ufficio per le Armi da Sparo nel 1377 (abolito 12 anni dopo)[9].
La Corea lanciò un attacco contro i pirati che avevano la loro base sull'isola di Tsushima anche nel 1419, con quella che viene ricordata come spedizione orientale Gihae. La flotta del generale Yi Jong-mu, composta da 227 navi e 17.285 soldati, partì dall'isola di Geoje alla volta di Tsushima il 19 giugno 1419. I piani dell'attacco coreano erano guidati da pirati giapponesi catturati. Dopo essere sbarcati, il generale Yi Jong-mu inviò i prigionieri come emissari per la richiesta di resa. Non ricevendo risposta, inviò i suoi soldati ad attaccare e distruggere l'insediamento e le forze dei pirati. L'esercito coreano riuscì a distruggere 129 navi, 1939 case e uccidere o schiavizzare 135 abitanti della costa così come riuscì a liberare 131 prigionieri cinesi e coreani.

Alcuni dei forti costruiti lungo la line della costa per proteggere le popolazioni dagli attacchi dei wokou sono ancora visibili nelle province del Fujian e Zhejiang. Tra questi ci sono la fortezza di Pucheng e la fortezza di Chongwu, così come le rovine della fortezza di Liu'ao.

Successivi wokou

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Secondo i resoconti della "Storia dei Ming", il 30% dei pirati wokou erano giapponesi, mentre il 70% erano di origine cinese[10][11]. A causa della dilagante corruzione all'interno della corte dei Ming, molti ufficiali cinesi intrattenevano relazioni con i pirati e beneficiavano delle loro scorrerie, rendendo difficile il controllo e la repressione del fenomeno da parte delle autorità centrali[3]. Due importanti figure che contrastarono l'attività dei pirati furono Qi Jiguang e Yu Dayou. Quest'ultimo fu un generale della dinastia Ming che venne incaricato di difendere la costa dagli assalti dei pirati[12]. Nel 1553, all'età di soli 26 anni, Qi Jiguang divenne Assistente Militare regionale per i sovrani Ming con il compito di punire i pirati e proteggere la popolazione, che significava attaccare le bande wokou prima questi iniziassero le loro scorrerie. Nel giro di un anno Qi Jiguang venne nominato Commissario della regione di Zhejiang per via dei numerosi successi raccolti durante le sue campagne.

Numero approssimativo di attacchi da parte dei pirati wokou sulle coste cinesi per regione e Regno[13]
Regno Regione Totale
Liaoning Shandong Jiangnan Zhejiang Fujian Guangdong
Hongwu (1358–1398) 1 7 5 21 3 9 46
Jianwen (1399–1402) 2 2
Yongle (1403–1424) 2 8 4 25 1 3 43
Hongxi (1425) 0
Xuande (1426–1435) 1 1 1 3
Zhengtong (1436–1449) 1 10 11
Jingtai (1450–1456) 1 1
Tianshun (1457–1464) 0
Chenghua (1465–1487) 1 1 2
Hongzhi (1488–1505) 1 1
Zhengde (1506–1521) 1 1 2
Jiajing (1522–1566) 5 207 192 158 39 601
Longqing (1567–1572) 19 19
Wanli (1573–1619) 1 5 9 15
Total 746

Controversie sull'identità

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L'identità dei gruppi wokou è fonte di dibattito, con varie teorie sulla composizione etnica e origine nazionale dei pirati.

Nel 1966, il professor Takeo Tanaka dell'università di Tokio propose una teoria secondo cui i wokou non fossero altro che coreani insediati sulle isole esterne. Negli Annali della dinastia Joseon, la parte relativa a Sejong il Grande cita un vassallo chiamato Yi Sun-mong (이순몽 1386-1449) riferì al monarca di aver udito di gruppi armati di contadini coreani vestiti alla giapponese, causare disordini e razzie durante il tardo periodo Goryeo[14]. Non essendo vissuto durante la dinastia Goryeo, le voci riportate da Yi non possono essere considerate altro che tali o leggende, piuttosto che prove documentate. Il discorso di Yi si concentra, fondamentalmente, sul deterioramento della sicurezza nazionale ed è quindi possibile che l'informazione sia stata strumentalizzata per supportare le sue mire. L'inattendibilità del discorso di Yi, inoltre, è reso tale in quanto nelle Goryeo-sa sono registrati 529 attacchi da parte dei wokou tra il 1223 e il 1392, ma solo 3 volte vengono menzionati i "finti giapponesi", per questo non considerata come fonte valida da altri ricercatori[15].

La teoria prevalentemente accettata[16] è quella di Shōsuke Murai, il quale ha dimostrato nel 1988 la diversa provenienza etnica dei primi wokou[15]. Murai considera i wokou come uomini emarginati che vivevano in un'area politicamente instabile. I sostenitori di questa teoria evidenziano il fatto che uno dei leader dei primi wokou, Ajibaldo, fu riconosciuto da varie fonti come originario della Mongolia, del Giappone, della Corea o semplicemente come "abitante delle isole"[17], sebbene il suo nome sia di origine coreana o mongolica[18].

  1. ^ Wang Yong, Realistic and Fantastic Images of 'Dwarf Pirates': The Evolution of Ming Dynasty Perceptions of the Japanese, in Sagacious Monks and Bloodthirsty Warriors: Chinese Views of Japan in the Ming-Qing Period, EastBridge, 2002.
  2. ^ Douglas R. Howland, Borders of Chinese Civilization: Geography and History at Empire’s End, Duke University Press Books, 1996.
  3. ^ a b So 1975.
  4. ^ Bruce L. Batten, Gateway to Japan: Hakata in War And Peace, 500-1300, University of Hawaii Press, 2006.
  5. ^ Enciclopedia Britannica.
  6. ^ Wang Xiangrong, Periodizing the History of Sino-Japanese Relations (PDF), in Sino-Japanese Studies, 1980. URL consultato il 5 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 21 luglio 2011).
  7. ^ (EN) Sansom G, A History of Japan, 1334–1615, Stanford University Press, 1961.
  8. ^ Yosaburō Takekoshi, The economic aspects of the history of the civilization of Japan, Dawsons of Pall Mall, 1967.
  9. ^ a b Seong-rae Park, Science and Technology in Korean History: Excursions, Innovations, and Issues, Jain Pub Co., 2005.
  10. ^ Anthony Reid, Violence at Sea, in Elusive Pirates, Pervasive Smugglers, Hong Kong University Press, 2010.
  11. ^ Biography Section 210: Japan (明史 列傳第二百十外國三 日本), in History of Ming.
  12. ^ Bio General Qi JiGuang, su plumpub.com, PLUM Publicatons.
  13. ^ Roland L. Higgins, Piracy and Coastal Defense in the Ming Period, Government Response to Coastal Disturbances, 1523-1549, University of Minnesota, 1981.
  14. ^ Takeo Tanaka, Wakō to kangōbōeki (田中健夫『倭寇と勘合貿易』), Shibundo, 1966.
  15. ^ a b Murai, Shōsuke, Chūsei wajinden (村井章介『中世倭人伝』), Iwanami, 1993.
  16. ^ Hiroshi Mitani, A Protonation-state and its 'Unforgettable Other, in New directions in the study of Meiji Japan, Brill, 1997.
  17. ^ Takashi Tōgō e Shin Ueda, Etoki zōhyō ashigaru tachi no tatakai, Kodansha, 2007.
  18. ^ Barbara Seyock, Pirates and Traders, in Trade and Transfer Across the East Asian "Mediterranean", Harrassowitz Verlag, 2005.
  • (EN) Hugh Chisholm (a cura di), Wakō, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press, 1911.
  • (EN) Kwan-wai So, Japanese piracy in Ming China, during the 16th century, Michigan State University Press, 1975.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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  • (EN) Tribute and Trade, su KoreanHistoryProject.org. URL consultato il 16 novembre 2021 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2007).
Controllo di autoritàNDL (ENJA00574134