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Il Kojiki (古事記? "vecchie cose scritte"), conosciuto anche come Furukotofumi,[1] è la più antica cronaca esistente in Giappone e il primo testo di narrativa giapponese pervenutoci[2]. Composto da Ō no Yasumaro nei primi anni del VIII sec (711 - 712) su richiesta del sovrano Tenmu[2], fu poi consegnato circa 26 anni dopo alla nipote, l'Imperatrice Genmei.[3] Il Kojiki narra le origini del Giappone dall'era mitologica delle divinità shintoiste (kami), al regno dell'imperatrice Suiko (592-628).

Con il Nihon Shoki, i miti contenuti nel Kojiki sono stati d'ispirazione per molte pratiche e la fonte inesauribile di temi trattati sono stati ripresi durante tutto l'arco della storia letteraria giapponese[2]. Più tardi, i miti diedero vita a riti shintoisti, fra i quali il misogi, il rituale purificatorio[4][5][6][7].

Contesto storico e letterario

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Ritratto dell'Imperatore Tenmu

Nel VII sec. il sovrano Tenmu (672-686) del clan Yamato ordinò la compilazione di un manoscritto che documentasse la storia del paese dai primordi ai suoi tempi[2]. La regione di Yamato ebbe sin dagli inizi un ruolo preponderante e la supremazia del capo del clan (氏上?, uji no kami) Yamato, che deteneva poteri sacerdotali, militari e politici, era indiscussa[2]. Il Kojiki fu commissionato a Ō no Yasumaro proprio per rafforzare l'ottenuta egenomia del sovrano Tenmu. Lo scopo era quello di legittimare la supremazia Yamato, sulla base di antichi documenti delle varie casate, certificando l'importanza delle loro divinità protettrici all'interno del phanteon shinto, e l'esclusiva discendenza dei sovrani Yamato da Amaterasu Ōmikami, dea del sole e progenitrice della casata imperiale[2]. Il Kojiki doveva servire a raccogliere tutti i miti e le credenze dell'arcipelago giapponese, e legittimare nel contempo la linea di sangue divina della corte Yamato (rivendicata fino al 1945 dagli imperatori del Giappone). Ō no Yasumaro portò a termine tale compito solo nel 712, consegnando il Kojiki alla discendente dell'ormai defunto sovrano, l'Imperatrice Genmei. Lo scrittore si avvalse, oltre che delle fonti ufficiali, anche di racconti e testi scritti memorizzati da Hieda no Are (稗田阿礼? Are degli Hieda), un cortigiano in grado di leggere gli annali cinesi e "raccontarli" in giapponese[2].

Questa "oralità" fa del Kojiki la prima opera della letteratura giapponese ed il primo tentativo di distaccarsi dalla scrittura in cinese.[2]

Rappresentazione della Dea Amaterasu

Il Kojiki contiene varie canzoni o poesie. Mentre i registri storici e le leggende sono scritte in una forma di cinese con una forte mescolanza di elementi giapponesi, le canzoni sono scritte con caratteri cinesi usati soltanto con valore fonetico. Questo uso particolare dei caratteri cinesi è chiamato man'yōgana, la cui conoscenza è indispensabile al fine di capire queste canzoni scritte in giapponese antico.

Il Kojiki è diviso in tre volumi: il Kamitsumaki (上巻 "primo volume"), il Nakatsumaki (中巻 "volume centrale") e il Shimotsumaki (下巻 "volume più basso").

  • Il Kamitsumaki, conosciuto anche come Kamiyo no Maki (神代巻 "volume dell'Era degli Dei"), include la prefazione al Kojiki e si focalizza sulle divinità della creazione e la nascita di varie divinità del periodo kamiyo, o Era degli Dei. Il Kamitsumaki, inoltre, delinea i miti che riguardano la fondazione del Giappone. Descrive come Ninigi-no-Mikoto, nipote di Amaterasu e bis-nonno dell'Imperatore Jinmu, sia disceso dall'Altopiano dei Cieli a Takachihonomine nel Kyūshū, diventando il progenitore della linea imperiale giapponese.[5][7][8]
  • Il Nakatsumaki inizia con la storia dell'Imperatore Jinmu, il primo imperatore, e la sua conquista del Giappone, e finisce con il quindicesimo imperatore, l'Imperatore Ōjin. I regni degli imperatori dal secondo al nono sono registrati in modo estremamente sintetico, con riportati soltanto i loro nomi e quelli dei loro discendenti, dei loro palazzi e tombe monumentali, ma nessuna menzione delle loro conquiste. Molte delle storie presenti in questo volume sono mitologiche ed è presumibilmente in dubbio che essi contengano informazioni storiche affidabile. Studi recenti supportano la teoria secondo cui questi imperatori furono inventati per collocare il regno di Jinmu più indietro nel tempo, al 660 a.C.
  • Il Shimotsumaki copre dal 16. al 33. imperatore e, a differenza dei volumi precedenti, presenta riferimenti molto limitati alle interazioni con le divinità. Queste interazioni sono molto evidenti nel primo e nel secondo volume. Anche le informazioni dal 24. al 33. imperatore sono per lo più mancanti.

Scrittura e decifrazione

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Kojiki-den by Motoori Norinaga

Il Kojiki è il primo tentativo di mettere per iscritto la lingua autoctona giapponese[2]. Per riuscire in tale impresa Yasumaro incontrò varie difficoltà, come testimoniato nel suo memoriale a prefazione del testo:

«Nei tempi antichi farsi intendere parlando era semplice. Come mettere le parole per iscritto resta un dilemma. Se i caratteri li si usa per quello che significano, nel narrare i vocaboli non toccano le nostre corde più intime, ma se li si asserve tutti alle sonorità della lingua il testo si fa troppo lungo. Per cui ho scelto talora di mescolare nella stessa frase caratteri usati per quello che significano con caratteri usati per esprimere i suoni, talora di scrivere soltanto con caratteri usati per quello che significano.»

Scritto in giapponese antico e redatto in caratteri cinesi, ben presto in Giappone si perse la capacità di leggere il Kojiki, al quale fu preferito nei secoli il Nihonshoki, maggiormente in linea con la voga "sinizzante" che dominava la cultura nipponica. Nel periodo Edo, Motoori Norinaga riprese lo studio del Kojiki dedicando ben 34 anni alla produzione di uno saggio di 44 volumi chiamato Kojikiden (古事記伝? , Commentario del Kojiki). Non si tratta solo di un commentario filologico: esso esamina anche le componenti letterarie, filosofiche e religiose, proponendo il Kojiki come la fonte della genuinità autoctona, con un ricco patrimonio mitologico che fa dell'Imperatore la figura centrale[2].

Traduzioni italiane

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La prima traduzione realizzata direttamente dal giapponese antico è del 1938 a cura del missionario italiano Mario Marega. Una traduzione più recente è stata redatta da Paolo Villani nel 2006.

  • Ō, Yasumaro and Marega, Mario, Ko-gi-ki: Vecchie, cose, scritte; libro base dello shintoismo giapponese, G. Laterza, 1938, pp. 516.
  • Villani, Paolo, Kojiki Un Racconto Di Antichi Eventi, Venezia, Marsilio,, 2006, pp. 171, ISBN 978-88-317-9882-2.

Esistono due rami maggiori di manoscritti sul Kojiki: Ise e Urabe. La branca estesa di Urabe consiste in 36 manoscritti esistenti tutti basati sulle 1522 copie realizzate da Urabe Kanenaga. La branca di Ise può essere suddivisa nel manoscritto Shinpukuji-bon (真福寺本) del 1371-1372 e nel manoscritto Dōka-bon (道果本). I sotto-rami del Dōka consistono in tre manoscritti:

  • manoscritto Dōka-bon (道果本) del 1381; rimane solo la prima metà del primo volume
  • manoscritto Dōshō-bon (道祥本) del 1424; rimane solo il primo volume e ci sono molti difetti
  • manoscritto Shun'yu-bon (春瑜本) del 1426; un volume

Il manoscritto Shinpukuji-bon (1371-1372) è il più antico manoscritto esistente. Nonostante venga catalogato nel ramo di Ise, è in realtà una combinazione dei due principali. Il monaco Ken'yu basò la sua copia su quella di Ōnakatomi Sadayo. Nel 1266, Sadayo copiò i volumi uno e tre, ma non ebbe accesso al secondo volume. Alla fine, nel 1282, lo ottenne grazie ad un manoscritto di Urabe che usò per la trascrizione.

L'eredità del Kojiki e i tre oggetti sacri

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Oltre ad un avvincente insieme di storia e leggende, il Kojiki è stato un modello per i secoli successivi di uno stile narrativo che alterna prosa a poesia[2], ripreso anche nei monogatari. In quest'opera si possono riscontrare il primo esempio di "poesia a catena" (renga 連歌) e l'anticipazione di un tema molto amato e ricorrente nella letteratura Edo, ovvero il "doppio suicidio d'amore" (shinjū 心中) di due amanti osteggiati dalle convenzioni sociali[2]. Il Kojiki presenta una serie di figure femminili forti e determinate, a cominciare da Amaterasu, che riescono a imporsi alla controparte maschile. Un elemento molto importante del Kojiki è la descrizione delle tre insegne imperiali portate sulla terra da Ninigi no Mikoto: sono i tre simboli della natura divina della dinastia imperiale e hanno un ruolo centrale nella cerimonia con cui un nuovo Imperatore ascende al trono[2]. Questi sono lo specchio metallico (Yata no kagami) che fece uscire Amaterasu dalla grotta, la spada falcia erbe (Kusanagi no tsurugi) trovata da Susanoo in una delle code del drago a otto code e otto teste di Izumo, e la gemma (Yasakani no magatama) regalata da Izanagi a Amaterasu[2][9].

  1. ^ World Religions At Your Fingertips, Penguin, 2009, ISBN 1101014695.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n Bienati, Luisa and Boscaro, Adriana, La narrativa giaponese classica, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 230, ISBN 978-88-317-0561-5.
  3. ^ Gabrielle & Roland Habersetzer, Encyclopédie technique, historique, biographique et culturelle des arts martiaux de l'Extrême-Orient, Amphora, 2004, p. 380, ISBN 2-85180-660-2.
  4. ^ Ian Reader, Simple Guides: Shinto, Kuperard, 2008, pp. 33,60, ISBN 1-85733-433-7.
  5. ^ a b Kojiki, in Encyclopedia of Japan, Tokyo, Shogakukan, 2012. URL consultato il 18 settembre 2012.
  6. ^ (Japanese) 古事記, in Dijitaru Daijisen, Tokyo, Shogakukan, 2012. URL consultato il 18 settembre 2012. Lingua sconosciuta: Japanese (aiuto)
  7. ^ a b (Japanese) 古事記, in Nihon Kokugo Daijiten, Tokyo, Shogakukan, 2012. URL consultato il 18 settembre 2012. Lingua sconosciuta: Japanese (aiuto)
  8. ^ Ninigi no Mikoto, in Encyclopedia of Japan, Tokyo, Shogakukan, 2012. URL consultato il 18 settembre 2012.
  9. ^ Lo specchio è conservato nel santuario di Ise, la spada nel santuario di Atsusa, i gioielli nel palazzo imperiale.
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Collegamenti esterni

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