Utente:Zabaione42/Sandbox

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Sant'Antonio a Camposampiero

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Sant’Antonio, venerato in tutto il mondo, dopo aver vissuto anni molto intensi e aver peregrinato in Italia e in Francia per predicare il Vangelo e combattere contro gli eretici, consacra l’ultima parte della sua vita, continua, quindi, il suo apostolato, nella città di Padova, dopo essere nominato superiore per la provincia di Romagna.

Nell'ultima parte della sua vita terrena, Sant'Antonio inizia un’instancabile peregrinazione di città in città e di paese in paese. Il Santo, per ritemprare le sue forze, decide di  soggiornare a Camposampiero, un borgo a cinque-sei ore di cammino di distanza da Padova, che gli offre il ristoro di un piccolo eremo, scelto come luogo di pace, di raccoglimento e di preghiera. Il romitorio, che dai primi di maggio del 1231 ospita il frate Antonio, è donato dall’amico conte Tiso VI, che, dopo una vita avventurosa tra guerre e intrighi politici, si era stabilito, anziano e stanco, a Padova, qualche anno prima dell’arrivo di Antonio. Antonio giunge, quindi, al piccolo convento e gli viene assegnata una piccola cella prospiciente alla chiesa di San Giovanni e proprio in questo ambiente di silenzio e solitudine, si dedica alla stesura dei suoi Sermones. [1]

Addentrandosi nel bosco che si estendeva intorno al castello dei Tiso, il frate ferma il suo sguardo su un noce secolare i cui rami si protendevano attorno giganteschi. Il suo animo amante della natura, viene scosso dal desiderio di costruire una piccola capanna sull’intreccio dei rami, simbolo della sua esistenza e della sua fede, sospesa tra cielo e terra. In quella piccola cella, costruita grazie al conte Tiso e ai confratelli, la sua solitudine diventa assoluta e la sua meditazione più spontanea. Il noce diventa ben presto cattedra del maestro e pulpito del predicatore, davanti al quale, si radunavano sempre più fedeli. [2]

Infine, il venerdì 13 giugno dell’anno 1231, verso mezzogiorno, Antonio si siede a mensa con i fratelli, ma verso la fine del pasto, d’improvviso, le forze gli vengono meno: reclina la testa sul petto, abbandona le braccia e sviene. Dopo qualche tempo rinviene e esprime il suo ultimo desiderio: tornare a Padova nel convento di Santa Maria. Si decide però di arrestare il viaggio verso Padova, divenuto troppo faticoso e stancante, nell’ospizio che i frati avevano fondato da qualche anno all’Arcella accanto al monastero delle Clarisse.

Non troppo tempo dopo, il frate mormora: “Vedo il mio Signore...”. Con queste ultime parole, Antonio muore.[3]

  1. ^ Tiziano dalla Mora, Armando Fiscon, Alberto Frasson, Camposampiero luogo antoniano, EDIZIONE DEL NOCE, PADOVA, 1981, pp. 51, 62 e 65.
  2. ^ Tiziano dalla Mora, Armando Fiscon, Alberto Frasson, Camposampiero luogo antoniano, EDIZIONI DEL NOCE, PADOVA, 1981, pp. 65-66, 68.
  3. ^ Tiziano dalla Mora, Armando Fiscon, Alberto Frasson, Camposampiero luogo antoniano, EDIZIONI DEL NOCE, PADOVA, 1981, pp. 78, 81-82.

Tiziano dalla Mora, Armando Fiscon, Alberto Frasson, Camposampiero luogo antoniano, EDIZIONI DEL NOCE, PADOVA, 1981.