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La crociata del 1129 fu una spedizione compiuta contro Damasco da Baldovino II di Gerusalemme e Folco V d'Angiò.

Contesto storico

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Il re di Gerusalemme Baldovino II si era preoccupato nel 1128 di rimpiazzare il defunto arcivescovo Stefano di Chartres, suo cugino e con il quale aveva avuto un rapporto difficile nonostante la parola, favorendo l'ascesa di Guglielmo di Malines, un suo fedelissimo.[1] L'altro importante compito che lo interessò riguardò la questione della successione al trono, poiché da sua moglie Morfia di Melitene non aveva avuto alcun figlio maschio ma quattro figlie femmine: Melisenda, Alice, Hodierna e Ivetta.[1] Se si escludevano Alice, la quale era ormai già diventata principessa di Antiochia, e Hodierna e Joveta, che erano ancora bambine, appariva chiaro che Melisenda doveva assumere la successione, assieme a un marito adatto.[2] Nel 1128, dopo aver consultato i suoi consiglieri più fidati, inviò in Francia alcuni emissari per chiedere al re Luigi VI di individuare, fra la nobiltà cisalpina un uomo adatto per questa elevata, posizione.[3] Luigi raccomandò il conte di Angiò, Folco V, che aveva circa quarant'anni ed era figlio di Folco IV, detto il Rissoso, e di Bertrada di Montfort, nota per il suo adulterio compiuto con re Filippo I di Francia.[3] La famiglia di Folco era riuscita a impossessarsi nei decenni precedenti di ampi feudi ed egli stesso, per mezzo di guerre, matrimoni e intrighi, aveva contribuito notevolmente alla sua estensione.[3] Essendo ormai vedovo egli stesso, aveva deciso di lasciare le terre a suo figlio Goffredo V, e di dedicarsi al servizio della croce.[3] Inoltre, era già stato in pellegrinaggio a Gerusalemme nel 1120, avendo conosciuto personalmente Baldovino.[3] Un candidato così autorevole, appoggiato dal re di Francia e approvato da papa Onorio II, fu subito accettato da re Baldovino, poiché egli era certo che Folco avrebbe attirato anche le simpatie dell'aristocrazia del suo regno.[3]

Il nobile cisalpino, alla fine, lasciò la Francia al principio della primavera del 1129. Sbarcato ad Acri a maggio, proseguì alla volta di Gerusalemme, dove, alla fine del mese, Folco e Melisenda si sposarono.[3] Le nozze suscitarono l'approvazione di ogni fascia della popolazione, tranne, forse la giovane principessa Melisenda, che non provava nessun sentimento per un uomo di mezza età sposato soltanto a scopi politici.[3]

Con l'aiuto di Folco, nel 1129 Baldovino si lanciò nel più ambizioso progetto del suo regno, la conquista di Damasco.[3] Toghtekin, l'atabeg (governatore) della città, era morto il 12 febbraio 1128, dopo averla amministrata con saggezza per molti anni e dopo essersi guadagnato la fama di «più rispettata personalità musulmana nella Siria occidentale».[3] Qualche tempo prima un capo della setta degli assassini, Bahram di Asterabad, era fuggito dalla Persia ad Aleppo e aveva cominciato clandestinamente a radunare dei sostenitori del movimento ismailita clandestino nella Siria settentrionale.[4] Egli godeva in quel frangente dell'appoggio di Ilghazi, atabeg di Aleppo e parente di Toghtekin, di cui ne aveva sposato una figlia.[5] Il popolo di Aleppo, però, odiava quella setta e Bahram fu costretto a trasferirsi.[5] La sua incolumità fu salvaguardata da Ilghazi, che lo fece condurre fino a Damasco, dove Toghtekin lo accolse con affetto.[5] Dopo essersi trasferito, Bahram iniziò a radunare a poco a poco intorno a sé numerosi simpatizzanti e si guadagnò persino il favore del visir di Toghtekin, al-Mazdaghani, accrescendo il potere della setta.[5] Questo avvicinamento suscitò la disapprovazione della popolazione sunnita di Damasco, circostanza la quale costrinse Bahram a chiedere protezione di al-Mazdaghani.[5] Su richiesta del visir, nel novembre del 1126, Toghtekin, sperando di sfruttare per i suoi fini le forze della setta, le consegnò il controllo della fortezza di frontiera di Banyas, esposta alle minacce dei franchi.[5][nota 1] Bahram restaurò le fortificazioni del castello e radunò intorno a sé tutti i propri seguaci, ma ben presto essi cominciarono a terrorizzare le popolazioni vicine e Toghtekin, sebbene ufficialmente li proteggesse ancora, prese in considerazione l'ipotesi di eliminarli; tuttavia, morì prima di aver trovato un'occasione favorevole.[5] Pochi mesi più tardi, Bahram fu ucciso vicino a Baalbek nel corso di una scaramuccia con una tribù araba, di cui aveva assassinato lo sceicco.[5]

Al suo posto gli subentrò un altro persiano di nome Isma'il al-Ajami. Il successore di Toghtekin come atabeg di Damasco fu suo figlio Taj al-Muluk Buri, che decise di sbarazzarsi degli assassini.[5] Come primo passo, nel settembre del 1129, fece uccidere il loro protettore, il visir al-Mazdaghani, mentre sedeva a consiglio nel cosiddetto Padiglione Rosa a Damasco. In quell'esatto frangente, su verosimile fomentazione dei franchi, scoppiarono nella città diversi tumulti.[5]

Il turbolento contesto storico vissuto da Damasco fornì a re Baldovino l'occasione che stava aspettando per attaccare la città.[5] Informato della morte di Toghtekin, il sovrano inviò in Europa Ugo di Payens, gran maestro dei templari, per reclutare dei soldati che potessero contribuire alla lotta contro Damasco.[6] Una volta giunti degli emissari di Isma'il, mandò truppe franche per prendere in consegna Banyas dagli assassini e per sistemare Isma'il e la sua setta in territorio franco.[5] Questi, però, ammalatosi di dissenteria morì pochi mesi dopo, con il risultato che i suoi seguaci si dispersero.[5]

Baldovino in persona giunse a Banyas nei primi di novembre con l'intero esercito di Gerusalemme, al cui fianco si erano uniti dei soldati appena giunti dall'Occidente.[5] Il re proseguì senza incontrare seria resistenza e si accampò al Ponte di Legno, una località situata a circa dieci chilometri a sud-ovest di Damasco.[7] L'atabeg Taj al-Muluk Buri condusse il suo esercito di fronte a loro, lasciando la città alle sue spalle, ma per alcuni giorni nessuno dei due schieramenti si mosse.[8] Nel frattempo Baldovino inviò alcuni distaccamenti, composti in gran parte da nuovi venuti e al comando del suo conestabile Guglielmo di Bures, a raccogliere viveri e materiali prima di inaugurare l'assedio.[8] Guglielmo si dimostrò però incapace di tenere a freno i suoi uomini, che si dedicarono soprattutto alla ricerca di bottini per sé.[8] Buri venne informato di questi fatti e una mattina all'alba, alla fine di novembre, la sua cavalleria turcomanna si gettò su Guglielmo a poco più di una trentina di chilometri a sud dell'accampamento cristiano.[8] Nonostante la strenua resistenza, i franchi furono sopraffatti in maniera netta, tanto che soltanto Guglielmo e quarantacinque dei suoi compagni scamparono per riferire la notizia al re.[8]

Baldovino decise di marciare immediatamente contro il nemico, intento ancora a festeggiare la vittoria, e impartì l'ordine di avanzata.[8] Mentre marciava, cominciò a cadere una pioggia torrenziale e la pianura si trasformò in un mare di fango, con veri e propri torrenti che attraversavano le strade.[8] Ciò rese impossibile pianificare qualsiasi attacco, con il risultato che un profondamente deluso Baldovino fu costretto a desistere dai suoi propositi.[8] L'esercito franco si ritirò quindi lentamente e mestamente in perfetto ordine a Banyas, giungendo poi in Palestina, dove si disperse.[8]

Fallita la spedizione, Baldovino confidava che almeno la maestosa città musulmana di Aleppo fosse stata conquistata dai principi Boemondo II d'Antiochia e Joscelin I di Edessa.[8] Entrambi avevano provato, in frangenti diversi nell'autunno del 1127, ad attaccare l'obiettivo, ma ognuna delle incursioni terminò con esito infausto e ognuno dei due comandanti si rifiutò di collaborare l'uno con l'altro.[8] Qualche tempo prima dell'attacco di Damasco, Joscelin aveva ottenuto per mezzo di un trattato stipulato con l'ormai defunto Aq Sunqur al-Bursuqi, atabeg di Mosul e di Aleppo, alcuni territori anticamente facenti parte del principato di Antiochia.[8] Aggravando la situazione, alla seconda moglie di Joscelin, Maria, sorella di Ruggero d'Antiochia, era stata promessa in dote la città di Azaz, situata nella regione contesa.[8][nota 2] Poiché Boemondo giudicava Ruggero alla stregua di un semplice reggente, e come tale privo del diritto di intervenire sulla politica estera antiochena, egli denunciò pubblicamente l'accordo.[8] Ciò spinse Joscelin a condurre le proprie truppe, coadiuvate da mercenari turchi, a predare i villaggi situati nei confini del principato rivale e vicini alle sue frontiere, non fermandosi nemmeno quando seppe che era stato proclamato un interdetto dal patriarca contro l'intera contea di Edessa.[8] La notizia del litigio giunse a re Baldovino, che se ne adirò moltissimo e, al principio del 1128, mosse in fretta verso il nord, costringendo i due principi a fare la pace.[9] Quando però Joscelin, il quale si dimostrava il meno incline a giungere a compromessi, s'ammalò all'improvviso, egli considerò le proprie sfortune frutto di un castigo divino.[10] Di conseguenza, acconsentì a restituire a Boemondo il bottino di cui si era impadronito e pare rinunciò ai suoi diritti su Azaz.[10] Il re di Gerusalemme sperava ancora di poter proseguire l'espansione dei cristiani in Siria, ma ormai le circostanze storiche erano mutate: l'occasione che si era persa non si presentò mai più, in quanto «l'Islam aveva già trovato un nuovo e poderoso campione», Zengi, che avrebbe cominciato a sovvertire l'andamento del conflitto.[10] Le sue manovre politiche, grazie a cui era entrato in controllo di Mosul e di altre regioni circostanti sin dal 1127, passarono in secondo piano per i cristiani mentre erano impegnati nella pianificazione della crociata del 1129 e di altri progetti, ma esse avrebbero consentito al condottiero musulmano di completare il suo percorso di ascesa come signore della Siria orientale.[11]

Esplicative
  1. ^ Gli arabi chiamavano indistintamente in tale modo gli europei occidentali (Ifranj). Il termine va inteso come sinonimo di "crociato".
  2. ^ La città era stata conquistata nel 1125 a seguito di una feroce battaglia che aveva visto prevalere i cristiani.
Bibliografiche
  1. ^ a b Runciman (2005), p. 430.
  2. ^ Runciman (2005), pp. 430-431.
  3. ^ a b c d e f g h i j Runciman (2005), p. 431.
  4. ^ Runciman (2005), pp. 431-432.
  5. ^ a b c d e f g h i j k l m n Runciman (2005), p. 432.
  6. ^ Nicholson (2016), p. 430.
  7. ^ Runciman (2005), pp. 432-433.
  8. ^ a b c d e f g h i j k l m n o Runciman (2005), p. 433.
  9. ^ Runciman (2005), pp. 433-434.
  10. ^ a b c Runciman (2005), p. 434.
  11. ^ Nicholson (2016), pp. 429-430.