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Albintimilium attualmente un sito archeologico statale di epoca preromana e romana a Nervia, frazione di Ventimiglia, in Italia.

Albintimilium era la capitale del popolo degli Intemelii o Intimilii.
In età romana conseguì il diritto latino e nell'89 a.C. costituì un municipium. I limiti del territorio della città romana sono imprecisati: il geografo Strabone la definisce come <<una grande città>> che si estendeva lungo la costa da Monaco a Sanremo, compreso l'entroterra, il cui nucleo avrebbe dovuto estendersi nel canale naturale tra il fiume Roja e il torrente Nervia.
In età medievale la città venne abbandonata per molteplici motivi e la popolazione si frammentò verso l'interno del territorio. In questo periodo le rovine della città romana sono state ricoperte da una vasta duna di sabbia portata dai venti sulla spiaggia alla foce del Nervia.[1]

Cronologia del sito

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La scoperta dell'Albintimilium romana è da datarsi dopo il Trattato di Torino del 1860 (con il quale è stata stabilita la frontiera italo-francese occidentale tra Mentone e Ventimiglia) e il conseguente uso della sabbia per la costruzione della stazione ferroviaria internazionale e della nuova Ventimiglia moderna.[2]
Ad intraprendere gli scavi fu l'archeologo e storico della zona Girolamo Rossi. Sfortunatamente nella seconda metà del 1800, la legislazione che regolava il settore archeologico era ancora imperfetta e permetteva scavi clandestini. La zona maggiormente colpita da questo fu la necropoli, i cui corredi andarono ad arricchire musei stranieri e cittadini privati, salvati solo in piccola parte nel nascente museo locale e nella Villa Hanbury[3]. Girolamo Rossi scrisse il resoconto di molte scoperte avvenute tra il 1854 e il 1908 nella pubblicazione Notizie degli Scavi e in altri lavori[4].
Egli scavò e scoprì una parte del teatro nel 1877 e le terme 1900. Nel 1908 riassunse i risultati delle sue ricerche nel volume I Liguri Inteli[5].
Dopo la morte di Rossi, dal 1915 al 1918 si ebbero i primi scavi sistematici a cura della Soprintendenza alle Antichità del Piemonte e della Liguria, sotto la direzione di Pietro Barocelli, che rinvenne buona parte del teatro, le mura, le insulae a nord e 145 tombe della necropoli. I materiali di queste ultime sono stati divisi tra i musei di Ventimiglia, Genova e Torino[6].
Segue un periodo di stasi per gli scavi nervini che vengono ripresi in una serie di campagne dal 1938 al 1976, interrotte solamente negli anni della guerra, a cura di Nino Lamboglia. Quest'ultimo non si limitò solo a fare scoperte dal punto di vista archeologico ma proiettò l'indagine sull'intero municipio romano di Albintimilium[7].

Il sito archeologico viene aperto al pubblico nel 1980 e da la possibilità di visitare un antiquarium con una ricca selezione di reperti rinvenuti a seguito degli scavi, i resti del teatro e delle terme.

Il teatro romano risale alla fine del II secolo e l'inizio del III secolo d.C.
Sorge al limite nord-occidentale dell'area cittadina, immediatamente vicino alla necropoli. È certo che per erigerlo dovettero demolire edifici già esistenti come un tratto delle mura occidentali e parte della torre sud della Porta di Provenza. Venne scoperto superficialmente nel 1877 da Girolamo Rossi; continuò i lavori, rinvenendone circa i due terzi, la compagnia di Pietro Barocelli, per finirli nei decenni successivi Nino Lamboglia.

Misura 21 metri di diametro interno e poteva contenere un massimo di 4 o 5.000 persone (capienza più che doppia rispetto a quella che appare oggi), ragion per cui è classificato tra i più piccoli teatri romani conosciuti.
La struttura ridotta ed essenziale suggerisce che in questo teatro venissero messi in scena spettacoli di varietà e mimi piuttosto che tragedie e commedie.
Riprende gli altri teatri romani della Provenza sia per la pianta che per la muratura caratteristica: un opus certum, composto da corsi di piccoli blocchetti spaccati, intercalato da una doppia fila di mattoni. I gradini e le parti decorative sono in pietra della Turbie, la quale produce, per il suo colore bianco opaco, quasi l'effetto del marmo.
Contrariamente all'uso comune, il teatro non viene costruito appoggiato al fianco di una collina ma furono eletti, per sostenere le gradinate, dei robusti muri a semicerchio, racchiudenti un terrapieno[8].
Il teatro venne abbandonato dal IV secolo d.C. (circa un secolo dalla sua costruzione) e ben presto venne spogliato e distrutto per far calce da destinare ad altre costruzioni. Le rovine subirono un progressivo interramento e successivamente furono luogo di numerose sepolture[9].

Si entra nell' orchestra semicircolare attraverso la parodos di sinistra, che costituisce l'elemento architettonico più notevole e raro del monumento, soprattutto per il fatto che è ancora intatta; mentre la [[parodos] di levante ha subito maggiore distruzione. Attraverso le parodoi (in latino versurae), in epoca romana, entravano le autorità e le nobiltà cittadine, che prendevano posto su appositi subsellia (sedili mobili posti ai piedi della gradinata) che si trovavano sulla fascia lastricata in pietra della Turbie conservata tutt'ora. Il resto dell' orchestra era semplicemente ricoperto da un letto ben battuto di scaglie di pietra della Turbie. Al centro sono infissi due blocchi con una cavità per due pertiche, destinate a sostenere il velum, la tenda che copriva gli spettatori in caso di pioggia.
Dall'orchestra si passa ininterrottamente all'area del pulpitum, costruito in modo molto semplice, mancante ad esempio del fosso per i meccanismi del sipario o quello delle macchine sceniche.
L'edificio di scena (scaenae frons) è conservato in tutta la sua parte basale: un grande muro spesso 4 metri sul quale erano impostate colonne e finestre per farlo sembrare la facciata di un palazzo da cui si aprono tre porte con tanto di gradini. La scena è ormai spoglia e può dare solo una pallida idea del suo antico aspetto.
Nel postscaenarium continua il letto di scaglie battute. Sul retro del muro della scena si aprono quattro vani simmetrici, usati probabilmente come deposito o per altri servizi.
Al lato del [[pulpitum] abbiamo due grandi ambienti rettangolari (parascaenia), adibiti per i servizi del teatro. In quello a est si conserva ancora la soglia della porta che immetteva al palcoscenico e la scaletta che portava alla parte alta della scena.
La cavea era divisa in due moeniana, cioè due settori (inferiore e superiore) distinti per mezzo della praecinctio. Per entrare e uscire nella cavea si doveva attraversare uno dei tre vomitoria disponibili, ossia corridoi a scalinata coperti e sorreggenti la summa cavea. I gradini erano divisi in due settori (cunei) da tre scalette (scalaria), una al centro e le altre due ai lati, intagliate nei gradini stessi. Del moenianum superiore non restano che i muri perimetrali e radiali con il terrapieno che lo sorreggeva.
Il vomitorium centrale, da cui probabilmente usciva il pubblico alla fine degli spettacoli, sbocca sulla strada principale di Albintimilium. È molto plausibile che il pubblico entrasse da quello orientale siccome è collegato alla stessa strada con un grande arco monumentale intonacato, ornato da due statue (sempre in pietra della Turbie) e in origine dipinto[10].

Come tutte le strade di fondazione romana anche Albintimilium presenta lo schema quadrangolare del castrum. Fino ad oggi sono stati individuati tre cardi e decumani.
Dagli scavi del 1950 è stato rinvenuto, a più riprese, il decumanus maximus che divide i quartieri alti, liguri-romani, da quelli bassi, puramente romani, fino alla Porta di Provenza.
Il decumanus maximus è largo 2,95 m e ai suoi lati presenta due marciapiedi (crepidines) perfettamente conservati. Il lastricato del decumano venne abbandonato dalla manutenzione municipale intorno al V secolo d.C. e ad esso si sovrappongono 17 livelli di rialzamento. Dal basso verso l'alto si distinguono tre ciottolati:

  • uno inferiore, molto curato, che si sovrappone ai primi otto livelli
  • un secondo, in parte distrutto, di età bizantina, come certe strutture ai lati della strada. Appare tagliato e occupato da tombe collocate longitudinalmente alla strada
  • uno superiore, spesso 1,65 m in pietra della Turbie che riempiva tutta la lunghezza della strada. Nell'Alto-Medioevo, sopra di esso, viene costruito un muretto longitudinale che fa cessare a questa strada il suo ruolo di strada principale.

Negli scavi del 1930-40 è stato scoperto un decumano minore (decumano B) più a sud, largo 3,80 m e privo di marciapiedi, che traccia il confine del primo insediamento romano e presenta successioni di strati ricollegabili a fasi edilizie determinate. Questo decumano venne notevolmente ristretto nel II secolo d.C. e appare interrotto ad est dalla costruzione di un'insula.

Venne riportato alla luce anche un terzo decumano (decumano A) che nell'Alto-Medioevo prese il nome di Via Julia-Augusta. La Via Julia-Augusta è l'unica strada carreggiabile di età romana in tutta la Liguria occidentale[11].
Venne fatta sistemare tra il 12-13 a.C. su percorsi preesistenti dall'imperatore Augusto, che l'aveva progettata come strada di collegamento diretto tra la pianura padana e la Gallia, partendo da Piacenza per arrivare fino a Nizza dove si sarebbe congiunta con la via Domitia che porta al Rodano[12].

Scavi successivi hanno ritrovato due cardines (A e B), perfettamente ortogonali ai due decumani. Il cardo A venne costruito inizialmente come strada di collegamento tra il decumano massimo e il mare, ma, in seguito, venne delimitato da domus di età imperiale, età in cui cessa la sua funzione pubblica.
Il cardo B, nonostante la sua considerevole larghezza, dovette essere stato considerato dall'inizio una strada pedonale di secondo ordine. Fino al medio-impero è stato diviso in due zone con uno scopo preciso:

  • la zona di levante presenta una sovrapposizione di suoli battuti con funzione di marciapiede.
  • la zona di ponente era caratterizzata da un grande avvallamento per convogliare le acque.

Questo cardo di età bizantina perse la sua funzione e venne notevolmente ristretto.
Il cardo maximus doveva partire dalla porta meridionale, chiamata <Porta Marina>, e nel suo incrocio con il decumano massimo doveva essere ubicato il foro.

Il decumanus maximus appena fuori dalla città, dalla porta occidentale, diventava la <via dei Sepolcri> che portava alla grandissima necropoli della zona che comprende in un tutt'uno la necropoli occidentale, quella lungo il decumano massimo a levante e quella settentrionale ai lati della strada minore.
Le tombe sono state il primo reperto ad essere rinvenuto quando nel 1865 iniziarono a scavare per impiegare la sabbia nella costruzione della Ventimiglia moderna. I primi oggetti rinvenuti sono tuttavia andati dispersi a causa degli scavi clandestini già citati.
La maggior parte delle tombe appartengono ai primi due secoli dell'impero. Le più antiche, fatte ad incinerazione, sono ricchissime di suppellettili databili dall'1 al 160 d.C. che si sono conservati in modo eccezionale grazie alla sabbia.
Le tombe più tarde sono state fatte ad inumazione e hanno un corredo più povero.
Una parte della sepolture erano raggruppate in recinti di famiglia, anche se pochi erano veramente monumentali.

Le tombe scoperte da Barocelli sono numerate dall'1 al 146 e da quelle provengono decine di iscrizioni e stele funerarie che ci conservano una parte dei nomi delle famiglie più illustri di Albintimilium.
Dal 1938 sono state rinvenute le tombe dal 148 al 185 da Lamboglia nell'area del teatro e lungo il decumano massimo[13].

Insulae e domus

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Le insulae (case condominiali dell'epoca) di Albintimilium hanno ciascuna una pianta rettangolare e dimensione 25,90 x 9,60 m (84 x 32 piedi romani), in perfetto stile urbanistico di età repubblicana.
Si notano fasi successive di trasformazioni edilizie per la serie di strutture murarie sovrapposte, realizzate con tecniche diverse. Attualmente sono state riportate alla luce 7 insulae.
La I venne costruita in età imperiale ed era situata nella zona dell'attuale ospedale, cioè tra il cardo A e i decumani A e B. Per restauri risalenti al II-III secolo d.C. arriverà ad interrompere entrambi i decumani e a fare dell'insula II il proprio cortile interno.
Nello spazio dell'insula II è stata ritrovata una vaschetta in muratura che avrebbe raccolto l'acqua per alimentare una fontana a zampillo rotonda, costruita con conci regolari e rifinita con malta di calce. Accanto ad essa si conserva un'altra vaschetta più piccola che serviva come abbeveratoio.
L'insula III venne scoperta nel 1951-52 ad est del decumano B e, come per le altre, sono visibili abitazioni su fondazioni più antiche, delle quali si presentano ancora frammenti di intonaco rosso e di soffitto ligneo bruciato.
L'insula IV è situata a ovest del cardo B ma gli elementi scoperti non bastano per ricostruirne la pianta e documentarne le fasi di ristrutturazione.

L'insula V è occupata dalla domus (abitazione privata monofamiliare) del Cavalcavia. Lo scavo ha permesso di approfondire fino al livello più antico. Ad oggi la parte più facilmente visibile è la ricostruzione del III secolo d.C.
La domus presenta la facciata principale sul decumano massimo, la quale è divisa in tre parti: la parte centrale è occupata dal vestibolo (fauces) e ai lati ci sono due negozi (tabernae). Il vestibolo era pavimentato in pietra della Turbie e portava al portone di ingresso a tre ante (limen) della casa che immetteva nell'atrio, l'anticamera dell'abitazione.
Si tratta di un atrio tetrastilo, perfettamente quadrato. Al centro sono ancora visibili le basi delle quattro colonne dell'impluvium (vasca per la raccolta dell'acqua dalle gronde), anche se non è escluso che vi fosse una fontana in quel punto.
Davanti all'entrata si trovava poi il tablinum, una sala che separava la parte anteriore della casa da quella posteriore. A destra dell'atrio si affaccia un vano con probabile funzione di triclinium (sala da pranzo), mentre a sinistra c'è una scala che portava al piano o ai piani superiori.

L'insula VI è a sud del decumano B e interrompe il cardo A.
L'insula VII si trova a sud del decumano B tra i cardi B e C. I ritrovamenti suggeriscono che costituisse anch'essa una domus.

A nord del decumano massimo sono state rinvenute pezzi di altre insulae che sono lasciate fuori dall'enumerazione perché non seguono un ordine di posizionamento preciso, dovendo seguire l'andamento della collina.
Un'altra domus ritrovata parzialmente intatta è la cosiddetta domus Libanore con il <mosaico Libanore>. Scoperta nel 1916, durante la costruzione del casello ferroviario, quando venne riportato alla luce un pavimento con un mosaico romano a motivi geometrici.
Collegati ad esso erano stati costruiti altri tre ambienti, il più grande dei quali presentava il pavimento con un mosaico policromatico. Anche il perimetro della casa è fatto a mosaico ma è una ristrutturazione posteriore. La parte di mosaico rinvenuta è composta da tessere di medie dimensioni, la maggior parte in marmo bianco e nero, con alcuni particolari fatti con tessere rosse. Segue uno schema decorativo diviso in due zone quasi quadrate separate da motivi geometrici e circondate da una fascia a motivi vegetali. Ogni quadrato è diviso in semicerchi e quarti di cerchio con all'interno raffigurazioni di animali marini (tritoni), volatili, maschere femminili, amorini gladiatori e al centro un ibis e una testa di Medusa.
Per lo stile dovrebbe collocarsi nella seconda metà del I secolo d.C. mentre la pianta è quella di una domus augustea[14].

Le terme di Albintimilium sorgono verso la fine del I secolo d.C. nei quartieri occidentali della città, sui resti di un'insula di età augustea. Si trovano poco a sud del teatro , al confine con le insulae occidentali.
L'ultimo rifacimento delle terme risale all'età di Diocleziano riadattando edifici già esistenti che avevano avuto fino ad allora un'altra funzione. La distruzione delle terme ventimigliesi si colloca immediatamente dopo le invasioni barbariche di inizio V secolo d.C.[15]

Dai ritrovamenti fatti si può dedurre che fosse un complesso di otto stanze di considerevoli dimensioni. Non è possibile stabilire se le terme di Albintimilium presentassero una divisione interna netta tra ambienti femminili e maschili.

In ordine di scoperta, sono state rinvenute due praefurnia (vani V e VII) con i relativi fornelli di riscaldamento, chiusi da ogni lato con blocchi di pietra arenaria refrattaria.
A questi locali si accedeva dall'alto con una scaletta in muratura. In entrambi i praefurnia viene lasciata libera una zona che era riservata all'accatastamento della legna da ardere e hanno anche un piano rialzato, probabilmente usato come ambiente di passaggio o come tepidaria.
I due praefurnia sono direttamente collegati con due ipocausti (vani I e II), cioè gli impianti per il riscaldamento degli ambienti, comunicanti tra di loro con un doppio condotto, ad arco ribassato in mattoni, per il passaggio dell'aria calda. Questi due vani costituiscono i calidaria e paiono avere de funzioni diverse:

  • Il vano I non presenta resti di vasche o sedili che permettano di documentare una sua eventuale funzione come piscina per l'acqua calda. Per questo motivo si è ipotizzato che si trattasse di un asse cella o laconicum, cioè della sauna. Gli angoli del vano sono ispessiti per permettere l'appoggio della volta. Il lato ovest presenta al centro una rientranza che avrebbe potuto contenere un mobile, un sedile, una vasca o una finestra che si affacciava sul giardino. Le colonnette che reggono l'ipocausto sono rotonde o quadrate e il pavimento che sorreggono è costruito con una base di mattoni spessi e calce rifinito con lastre sottili di marmo.
  • il vano II era una piscina ad acqua calda siccome presenta a nord un doppio sedile in muratura, separato da uno schienale ricoperto da sottili lastre di marmo. Il vano presenta un ipocausto con pavimento in tegulae rovesciate e mattoni quadrati. Le colonnette sono come quelle del vano precedente. Le pareti della stanza erano intonacate e decorate con lesene in malta, inoltre erano foderate con tubi, a sezione rettangolare, che formavano l'ipocausto. Tra le pareti e il soffitto (o la volta) era costruito un cornicione in muratura decorato con motivi vegetali.

La funzione dei vani VI e VIII è difficilmente interpretabile ma è plausibile che costituissero ambienti di passaggio, spogliatoi o aule per i massaggi (opodyteria)[16].

Poco più a nord di questi vani termali, proprio davanti all'odierno ospedale, sono stati rinvenuti due vani che dovevano essere due piscine di acqua fredda (frigidaria) e un ulteriore vano che gli faceva da ipocausto. Questi si trovano a due livelli diversi fra loro e terminano ad est con un muro molto spesso (di cui si conservano solo le fondamenta) che dovrebbe presentare lateralmente le terme al cardo maximus. Questa tecnica è usata anche negli altri ambienti termali ritrovati, cosa che fa pensare che il complesso dovesse essere unico e di notevole grandezza, con la fronte principale sul foro.
Una delle piscine conserva, quasi intatto, il sedile in muratura e mattoni lungo la parete sud. Il pavimento di ognuno dei due frigidaria è ricoperto da un mosaico[17].

Mosaici delle terme

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Il Mosaico di Arione ricopre il pavimento di uno dei due frigidaria e si presenta oggi molto mutilato e tagliato dalla costruzione dell'ex ospedale di Santo Spirito. Conserva ancora abbastanza intatto il fregio con diverse fasce di motivi geometrici, il motivo centrale che ritrae un personaggio femminile che cavalca un delfino (motivo per cui Girolamo Rossi gli diede il nome di Arione) e altre decorazioni (pesci, sole, stelle ecc.).
Il mosaico è composto da tessere bianche e nere di medie e grandi dimensioni.

Il mosaico del vano della piscina a nord è a un livello più basso di circa 96 cm e presenta 32 quadri decorati con motivi vegetali diversi combinati (a croce, rosette, foglie semplici o anceolate). Una fascia multipla incornicia l'intero mosaico composto da tessere bianche e nere di piccole dimensioni[18].

Mosaico delle Stagioni

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Sul litorale di Nervia doveva trovarsi il porto di Albinitmilium, come suggerisce l'avancorpo formato dalle mura in quel punto, struttura più volte riscontrata nella difesa dei porti romani. Sul lato sud venne scavato nel 1852 un mosaico policromatico a motivi geometrici con la raffigurazione delle quattro stagioni in forma antropomorfa. Il mosaico si trovava in un edificio non necessariamente legato all'attività portuale[19]. Questo mosaico è stato completamente distrutto il giorno dopo della sua scoperta e ne rimane solamente una formella contenente il busto di una delle stagioni, esposta nell'Antiquarium statale di Nervia[20].

La cinta muraria era costruita con piccoli ciottoli legati con calce, larga circa 2,30 m e delimitava un impianto urbano a forma leggermente trapezoidale (di circa 400x600). Tutt'ora se ne conosce con sicurezza tre lati:

  • Lato sud: verso il mare, al centro del quale è stata scoperta nel 1885 una porta ad arco rotondo, rinominata <Porta Marina>, larga 1,70 m, su cui sboccava a il cardo massimo
  • Lato ovest: distrutto parzialmente per la costruzione del teatro. Interessante perché presenta a sud i resti di una costruzione a scopo difensivo di età repubblicana
  • Lato nord: di cui fa parte la Porta Praetoria altrimenti conosciuta come <Porta di Provenza>. Questa porta è situata dietro al teatro e si compone di due torri circolari poste in arretrato l'una rispetto all'altra, con scala di accesso e cortile d'armi interno. Presentava anche tre fornici di cui quello centrale era l'unico largo e carrabile. Da qui si trovava la scala che portava alla parte superiore delle mura. La sua funzione difensiva si protrasse fino ad età medio-imperiale.

Il lato est delle mura, che doveva collegare il porto e la collina è indeterminato; è probabile che ad esso confluissero due lati formanti un avancorpo a difesa del porto, siccome il mare si trovava molto più vicino alle mura di quanto lo sia ora. Il percorso murario risale al I secolo a.C., probabilmente fra l'80 e il 60 e non è escluso che sia collegato all'azione di Cesare durante la conquista delle Gallie[21].

L'Antiquarium è un museo archeologico situato al centro del sito archeologico.
L'edificio originario era un collegio femminile ed asilo infantile. Parzialmente distrutto nel corso della seconda guerra mondiale, fino agli anni ottanta è stato usato come deposito e laboratorio degli scavi, luogo in cui Lamboglia mise a punto la tecnica dello scavo stratigrafico e lo studio della ceramica romana. È stato rinnovato nel 1980 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ed è ora un centro espositivo e didattico per la visita dell'area archeologica.
Da dicembre 2015 il Ministero della Cultura lo gestisce tramite il Polo Museale della Liguria, nel 2019 divenuto Direzione regionale Musei.

All'interno dell'Antiquarium un percorso espositivo illustra, con riproduzioni in scala, i principali monumenti della città romana: la Porta di Provenza, il teatro, le terme, la necropoli e i quartieri di abitazione popolare. In delle apposite teche sono conservati alcuni resti di decorazioni architettoniche interne con marmi asiatici, intonaci policromi e stucchi. In altre teche sono esposti oggetti per la cosmesi (gioielli, aghi crinali e balsamari) e legati all'alimentazione (scodelle, piatti, mortai, pentole, padelle ecc.) che aiutano a comprendere a vita quotidiana dell'epoca.
All'esterno, la visita dell'Antiquarium si integra con quella dell'area delle terme e del teatro, dove è possibile vedere in situ i resti scoperti.

  • Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  • M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.
  • Bartolomeo Durante e Mario De Apollonia, Abintimilium, antico municipio romano, Cavallermaggiore, Gribaudo, 1988.
  1. ^ Bartolomeo Durante e Mario De Apollonia, Abintimilium, antico municipio romano, Cavallermaggiore, Gribaudo, 1988.
  2. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  3. ^ Bartolomeo Durante e Mario De Apollonia, Abintimilium, antico municipio romano, Cavallermaggiore, Gribaudo, 1988.
  4. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  5. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  6. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  7. ^ Bartolomeo Durante e Mario De Apollonia, Abintimilium, antico municipio romano, Cavallermaggiore, Gribaudo, 1988.
  8. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  9. ^ M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.
  10. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  11. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  12. ^ M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.
  13. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  14. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  15. ^ M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.
  16. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  17. ^ M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.
  18. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  19. ^ Nino Lamboglia e Francisca Pallarés, Ventimiglia Romana, Bordighera, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1985.
  20. ^ M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.
  21. ^ M. Teresa Verda Scajola, Mete d'autore a Ventimiglia. Una città sullo scoglio del Mediterraneo, De Ferrari, 2009, ISBN 8864050175.