Utente:Lupo rosso/Sandbox/Fiume, fra utopia e realtà

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«Se non facciamo nulla, Internet e la rete saranno monopolizzati entro dieci o quindici anni dalle megacorporazioni del capitale. La gente non sa che nelle sue mani ha la possibilità di disporre di questi strumenti tecnologici invece di consegnarli alle grandi compagnie. Nel medesimo tempo manca una coordinazione fra i gruppi che si oppongono a questa monopolizzazione, utilizzando la tecnologia con creatività, intelligenza, e iniziativa per promuovere, ad esempio, l'educazione.»

Noam Chomsky Possibile articolazione della voce

  • L'antefatto (Sintesi dell'impresa fiumana)
  • Il comandante e i suoi pretoriani (D'Annunzio e la cupola legionaria)
  • I Legionari partecipanti (provenienza, età, ideologie politiche, ecc.)
  • L'annessione all'Italia (voluta unilateralmente da D'Annunzio. Reazioni dell'opinione pubblica e della classe dirigente italiane)
  • Il nuovo ordine legionario (carta del Carnaro ed altro)
  • Aspirazioni e frustrazioni
  • La fine di un sogno (Il natale di sangue e la fine dell'occupazione)
  • Il grande scippo (da parte del fascismo) %questa ha senso come voce autonoma

Citazioni basilari e annedoti del periodo su Gabriele D'Annunzio

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«Lenin così si rivolge agli emissari europei comunisti a Mosca "C'è un solo uomo in Italia, capace di fare la rivoluzione. D'Annunzio". La Russia sarà l'unico stato che riconoscerà l'esistenza di Fiume. In effetti alcuni organi collegiali (militari) del governo fiumano assomigliano più ai soviet che alla monarchia costituzionale italiana. Gli ufficiali di qualsiasi ordine e grado hanno pari peso nelle decisioni. L'inazione, il congedo di cui godevano anche i soldati fiumani e le defezioni per contrasti col programma di Governo e con il Vate indeboliscono lo spirito. Per finanziarsi vengono usati gli "Uscocchi" etnia che risale ai pirati costieri adriatici, che assaltano navi e chiedono riscatti. Ceccherini stesso se ne vail 20 novembre 1920 con il seguente messaggio "..la sistematica inversione dei valori disciplinari è troppo grave...veniamo qui chiamati da V.S. come generale e come tali ce ne andiamo..." Alla vigilia di Natale del 1920, il nuovo governo Giolitti ordina al Gen. Caviglia la presa di forza della città con un violento cannoneggiamento dal mare sulle installazioni militari e di governo. Lo stesso D'Annunzio rimane lievemente ferito e dopo sei giorni di scontri capitola. Dovranno passare ancora quattro anni poi anche Fiume e Zara saranno Italiane. Il Vate, dopo il rifiuto di Mussolini a sostenerlo in quel fatale 1919 e il capovolgimento di fronte del 1920, ne ignorò l'autorità fino alla morte»

dal sito da Fiamme Cremisi

sinota,che non e' stato specificato da Fiamme Cremisi,che gli Uscocchi del D'annuzio,sono gli stessi Legionari di Fiume,un gruppo,ovviamente,comandati da Romano Manzutto


«La Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani emanò un Ordine del Giorno in data 21 Settembre 1922 di precisa e intraprendente opposizione alla montante marea fascista. Secondo Tom Antongini,segratario di D'annunzio fu in quell'occasione che Mussolini definì D'Annunzio "Malatestino": mai ingiuria fu sì vituperosa e raggelante nella sua malvagità, poichè D'Annunzio fu autenticamente un rivoluzionario, mentre il buon Malatesta giungeva a proposito soltanto per le insurrezioni da operetta.»

sinota che la considerazione dell'Antongini su Errico Malatesta e' di nessuna validita' storica

D'Annunzio, intanto, in varie dichiarazioni affermava invece:

«"Ho voluto rientrare nel silenzio. Ho voluto essere un capo senza partigiani, un condottiero senza seguaci, un maestro senza discepoli. Ho tentato di distruggere in me tutto il gelo e tutto l'ardore della mia vita strategica. Nessuno saprà quale muta battaglia abbia chiuso in sè questo luogo di pace - il Vittoriale - e quanto sia crudele in questo luogo di pace non avere pace mai. C'è oggi in Italia una giovinezza esplosiva e una decrepitezza ingombrante. Ci sono istituti politici più morti di una cassapanca fessa e tarlata, ma anche demagoghi che credono di aderire alla realtà e non aderiscono se non alla loro camicia sordida".»

da anarcotico

Si puo' dedurre facilmente che la sporca camicia fosse quella dei fascisti,in quel periodo accadde qualcosa che forse spieghera' la "conversione"del D'annunzio:il volo dell'Arcangelo,come il "vate" stesso spiego' l'accaduto mettendolo in forma onirica.Il volo "fascinoso"avenne alle ore 23 del 13 Agosto 1922 per un accadimento piuttosto singolare,appoggiato al parapetto della finestra,piuttosto bassa,nella quiete di vestaglia e pantofole,"scivolo'" verso il basso,questo a detta di Ugo Ojetti,mentre a detta dell'ex legionario Anselmo Viti,al momento dattilografo del "Vate",fu ritrovato un'ora dopo con meta' della faccia tumefatta e sangue dal naso,circola un'altra versione ad hoc,forse costruita dal D'annunzio o da chi voleva strumentalmente mitizzare il personaggio:che ineguendo nella foga amorosa una delle sue varie "Ermioni",(Ermione e' la ninfa della Pioggia nel Pineto,un delle poesie di D'Annunzio,la piu' nota per musicalita' del testo) sbagliasse la mira per la presa ed abbracciasse il vuoto invece che "ermione".Un pragmatico funzionario di pubblica sicurezza,non portato alla liricita',Giuseppe Dosi,fece l'ipotesi invece che fosseun fatto colposo o peggio:il "Vate"non chiari' mai il discorso,ma non e' da escludere che la conversione o quantomeno la messa a tacere sia stata opera ddi emissari squdristi fascisti,il proverbiale coraggio di D'Annunzio,su un aereo o a guidare un assalto non e' detto,proprio per le sue caratteristiche "aristocratiche",potesse esser di pari livello dopo una solenna mangalennatura,sopratutto con l'onta conseguente di offensivita' inaccettabile per un presonaggio come il "Vate".

Dopo il barbaro omicidio di Giacomo Matteotti ad opera di un gruppetto di fascisti,fra cui ex Arditi,(uno morira' combattendo poi con una brigata partigiana riscattandosi)capeggiati dal famigerato Dumini che guido' gli squadristi nei fatti d Sarzana il Vate dichiara:

«Sono molto triste di questa fetida ruina»

.E' il momento per portar un attaco militare rivoluzionario al regime fascista ma invece i partiti democratici scelgono l'Aventino,questa scelta verra' poi duramente condannata,anche con un'autocritica, da carlo Rosselli(Marco Rossi,Arditi del Popolo).Il Vate ha la possibilita' di ritornare ad essere il "Comandante" dei centauri di Fiume,ma la storia non gli rida' questa possibilita'.

Nel settembre dello stesso anno si svolge il Congresso Nazionale dei Legionari aMilano, con la presenza diSem_Benelli, fondatore della Lega Italica,(in difesa del Buono e del Sacro), minacciati dai marosi mussoliniani; la Lega Italica nel programma si dichiarava avversa al fascismo responsabile dell'appena avvenuto omicidio di Giacomo Matteotti. Benito Mussolini con il discorso del 3 Gennaio 1925 alla Camera dei Deputati e facendo un apparente repulisti dei responsabili stabilizza il regime.Le liberta' che avevano,anche se esigue ,gli oppositori vengono tolte,vedi arresto di Antonio Gramsci

ancora D'Annunzio

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Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola cosa pura: Fiume; vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... (Gabriele D'Annunzio, dagli estratti dell'orazione pubblicati sul «Bollettino del Comando di Fiume d'Italia» n.2, 13 settembre 1919).


Dal mezzogiorno di ieri ho assunto il Comando militare in Fiume liberata che mi propongo di tenere e di difendere fino all'estremo, con tutte le armi. Non vi fu mai al mondo causa più pura e più bella. Non vi fu mai al mondo Città più generosa e più costante, sotto il peso del disconoscimento e dell'ingiustizia, sotto la minaccia di tutte le profanazioni e di tutte le violazioni. (...) Eravamo un pugno di devoti entrando nella città come in una selva vivente di lauri. Oggi siamo un Esercito. Tutti si offrono, tutti accorrono a me. E' una divina gara di generosità, che mi ricompensa di tutta la passata tristezza. Nessun soldato di netto stampo italiano vuole abbandonare Fiume d'Italia. (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Agli ufficiali e agli equipaggi delle navi: Dante Alighieri - Nullo - Mirabello - Abba nelle acque di Fiume italiana, Fiume, 14 settembre 1919).


...Ieri il messaggero di un battaglione glorioso riuscì a eludere la vigilanza e a penetrare in Fiume per portarci una somma raccolta tra i poveri soldati che sono dall'altra parte. E l'atto era accompagnato da parole di tanta purità e di tanta gentilezza che mi sembrò di vedere nella terra il sorriso beato dei morti. Chi parla di disciplina violata? Chi parla di disgregata compagine dell'esercito? Chi parla di diserzione e ammutinamento? La disciplina vera non è un'arida formula costrittiva, non è una dura oppressione corporale. (...) Nessuna disciplina può proporre un atto criminale. La disciplina è una forza della coscienza profonda. (...) Chi viene a noi compie un atto di disciplina sovrana, e serve la Patria. Chi non viene a noi, è schiavo di un pregiudizio senza forza e senza vita. (...) Fiume, che è la più infelice e la più beata delle città terrene, sembra non debba aver mai requie. Ha in sé una predestinazione di martirio, che la consuma e la inebria. (...) A me, soldati d'Italia! A me tutti i soldati dell'altra parte! Voi dovete rimanere nel territorio che occupate. Voi non dovete lasciarvi smuovere. Appartengono all'Esercito italiano di Fiume tutti quelli che si sono offerti e che fino a oggi non hanno passato lo sbarramento. Da oggi tutto il territorio a levante di Fiume - con Volosca, con Abbazia, col Monte Maggiore e con tutto il resto - è nello stato di vigilanza e di resistenza come la città. La parola romana che fu gridata dagli occupatori della città sia ripetuta dagli occupatori del territorio, con la medesima fermezza, con la medesima fede: «Qui rimarremo ottimamente». Io confermo che si osserva così l'alta disciplina, si obbedisce così al supremo comando della Patria... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Soldati d'Italia, i consentimenti e gli aiuti alla lotta intrapresa..., Fiume, 22 settembre 1919).



...Cagoia è il nome di un basso crapulone senza patria, né sloveno, né croato, né italianizzante, né austriacante, che fece qualche chiasso a Trieste nei moti del 3 e del 4 agosto. Condotto davanti al Tribunale, interrogato dal giudice, egli rinnegò ogni fede, rinnegò i sozii, rinnegò se stesso; negò di aver gridato «Abbasso l'Italia» e altri vituperii, dichiarando di non saper neppure che una certa Italia esistesse; giurò di non saper nulla di nulla, protestò di non voler saper nulla di nulla, fuorché mangiare e trincare, sino all'ultimo boccone e all'ultimo sorso; e concluse con questa immortale definizione della sua vigliaccheria congenita: «Mi no penso che per la paura». (...) E' una grande parola storica, Fiumani. E' una parola sublime da far tatuare, col blu di Prussia, sul ventre sublime di colui che non si nomina. (...) Popolo di Fiume, combattenti di Fiume, battezziamolo. Sia questo il suo nome, da stasera e per sempre. - Il nome è gridato da un coro formidabile -. Ma come si può battezzare una simile lordura (...). Ma come dunque si battezza l'immondizia irremovibile? - Una voce grida: «Sputandoci sopra». Il consenso unanime si manifesta con un immenso clamore -. Ridiamo, compagni. Non siamo mai stati tanto sereni, tanto sicuri, tanto allegri. Ieri, a un Ardito scuro e asciutto come il suo pugnale, che stava considerando lo stemma di Fiume, domandai: «Che significa Indeficienter?». Mi rispose pronto: «Significa Me ne infischio, signor Comandante». Sì, nel latino di Fiume che è il solo buon latino parlato in Italia, Indeficienter significa proprio Me ne infischio. Laggiù a Roma, Cagoia e il suo porcile non immaginano quale schietta ilarità susciti in noi quello spettacolo di sopracciglia corrugate, di pugni grassocci dati a tavole innocenti, di menzogne puerili, di rampogne senili, di minacce stupide, di ringoiamenti goffi, in confronto della nostra risolutezza tranquilla, della nostra pacatezza imperturbabile. Noi ripetiamo: «Qui rimarremo ottimamente». Essi non sanno in che modo cacciarci. (...) Essi non osano neppure grattarsi la pera per paura di sconvolgere il sottil lavorio dei capelli fissati dal cerotto sulla indissimulabile calvizie. La mia è nettissima. - Quando il Comandante si scopre con un gesto di brusca ironia, tutta la folla è sollevata da un solo grido -. E ha la durezza del ciottolo ben levigato dal torrente. Il Dio degli Eserciti m'ha detto: «Ti darò una fronte più dura delle fronti loro». E non l'ha detto soltanto a me. L'ha detto a ciascuno di voi. Ci sono più di quarantamila teste dure oggi, in Fiume. M'inganno? - Cittadini e soldati rispondono con un urlo -. Se da stasera e per sempre il nemico lucano si chiama Cagoia, tutti gli italiani di Fiume si chiamano Teste-di-ferro... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Cagoia e le teste di ferro, Fiume, 27 settembre 1919).


Dalmati è detto. E com'è detto, sarà fatto. (...) Ho in mente una vecchia canzone repubblicana di non so più qual linguaggio, una rude canzone di rivoltosi misurata da questo ritornello: «Finché ci sieno tre uomini in piedi, ci può essere un regno di meno nel mondo». (...) Troppo si parla di disperazione su questa sponda. Non c'è qui una disperazione inerme. C'è una speranza con gli artigli e col rostro. Disperati si chiamano anche i miei Arditi, ma in un senso di prodigio: disperati, ovvero certi di giungere in ogni modo alla meta che io indicherò domani ma che essi già guatano impazienti e obbedienti. Finché ce ne sieno tre in piedi, ci può essere una vergogna di meno laggiù. (...) Eia, Dalmati! Non dovete essere disperati se non nel senso che i Legionari di Ronchi danno al vocabolo... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Eia, Dalmati!, Fiume, 16 ottobre 1920).


Il Consiglio a questo punto respinge il «modus vivendi» e il 25 dicembre confermerà la fiducia al Comandante, che il 20 aveva arringato i Fiumani con l'orazione L'urna inesausta, pubblicata in volantino (Fiume, 20 dicembre 1919): . Perché io ho chiesto il voto solenne del popolo prima di porre la mia sanzione su ciò che fu deliberato dal Consiglio? (...) Il 24 di ottobre, nel mio discorso al popolo, io affermai quali fossero per noi i termini giusti. Dissi che senza Idria, senza Postumia, senza il nodo ferroviario di San Pietro, senza Castelnuovo, il confine resterebbe aperto a tutte le insinuazioni e a tutte le violenze; e che non solo Fiume ma tutta la Venezia Giulia sarebbe ridotta una «boccheggiante agonia italiana dentro un cerchio spietato». Tutto il popolo si sollevò in un consentimento unanime. (...) Il 14 di novembre noi sbarcammo a Zara per opporci alla ignominiosa intimazione wilsoniana contenuta nel documento a me noto e da me reso pubblico. Il 15 di novembre ritornammo da Zara sopra una nave inghirlandata e fummo accolti dall'allegrezza trionfale di tutto il popolo. L'impresa era stata compiuta per obbedire alla volontà di Fiume che fu sempre «contro il baratto». Dalla ringhiera dissi «Consentireste voi che la servitù dei Dalmati fosse il prezzo della salvezza di Fiume?». Mi rintrona tuttavia nell'anima il grido del popolo: «Mai! Mai!». (...) Ora queste proposte rompono di nuovo l'unità: non considerano se non Fiume e il suo territorio immediato. (...) Questo è un trattato glorioso per colui che lo firma come un capo di stato? Ma io, che ho gettato ai vostri piedi tutto quello che mi rimaneva dopo quattro anni di guerra, getto ai vostri piedi anche questa gloria. E non è che poca cosa: una gloriola. Per questo trattato, Fiume è salva, l'Italia è salva. Lo credete voi, nel vostro intimo? (...) Comprendete e piangete la mia angoscia, e quella dei legionarii. (...) Era necessario che il popolo, se le nostre vite e le nostre armi non più gli parevano necessarie a garantire l'esecuzione dell'impegno, lo dicesse senza ambiguità e senza indugio. Soltanto il plebiscito, sinceramente attuato, poteva placare gli animi ed evitare tumulti quando fosse ritenuta giusta - dinanzi alle promesse e agli agi - la partenza di tutti i fratelli devoti che serberanno per sempre l'orgoglio di essere inscritti nella legione fiumana. Il plebiscito fu proposto, fu decretato, non per la discordia ma per la pacificazione, non per un gioco di equivoci ma per una ricerca di verità. (..) Fiumani, ora e sempre, una sola è la vostra urna: quella della vostra vecchia insegna, quella della vostra anima eroica, che versa la fede e l'amore inesauribilmente. A quella sola io e i miei compagni abbiamo bevuto e vogliamo bere. .


Davanti alla nazione e davanti al mondo, di contro all'ombra di due continenti, la nostra bandiera è la più alta. (...) Tutti quelli che oggi patiscono l'oppressione e la mutilazione, tutti guardano a questo segno. L'ho detto. Dall'indomabile Sinn Fein d'Irlanda al rosso stendardo che in Egitto unisce la Mezzaluna e la Croce, tutte le insurrezioni dello spirito contro i divoratori di carne cruda si accendono alle nostre faville che svolano lontano. (...) Alla Lega delle Nazioni noi opporremo la Lega di Fiume; a un complotto di ladroni e di truffatori privilegiati opporremo il fascio delle energie pure. Questa è la nostra fede. Questa è la nostra causa. L'una e l'altra stanno sopra ogni meschinità d'uomini e ogni acredine di parte. (...) Chi non è con me è contro di me. Chi non è con noi è contro di noi. (...) D'un solo cuore, d'un solo fegato, d'un solo patto, con me, spalla contro spalla, gomito contro gomito, braccio sotto braccio, come quando voi fate la catena per gettare al sole o alle stelle le vostre canzoni vermiglie, con me, compagni con me compagno, fedeli a me fedele, con me, fino alla meta e di là dalla meta, fino alla morte e oltre! (Gabriele D'Annunzio, Con me!, Fiume, 30 marzo 1920).


Il mio esempio d'irrisione e di ribellione è già seguito da tutti gli uomini liberi. E sarà superato. In onta alla imbecillissima burbanza britannica di Lord Curzon io mi glorio di essere e di voler essere quel famoso «avventuriero irresponsabile» che nessuno osa castigare. (...) I Pacieri seduti intorno alla bisca pomposa mi sembrano non dissimili ai personaggi illustri d'un museo di cere. Io non so se siano più lugubri o più ridicoli... (Gabriele D'Annunzio, Ai biscazzieri di San Remo, Fiume, 27 aprile 1920).

I nostri tormentatori hanno passato ogni limite di crudeltà e di viltà. Oggi, attraverso la barra, essi tentano di dar mano ai traditori nascosti che noi scopriamo, perseguitiamo e inchiodiamo al muro. Si servono di un pretesto miserabile per affamare la città, per ridurla alla disperazione (...). Italiani di Fiume, quella vostra donna umile è anche ardita; e arditamente oggi grida - Ora basta! - Non la gerarchia sovrana degli Angeli raccoglie la sua parola. La raccolgono i Legionarii armati, che non domandano se non di provare il loro giuramento. Fiume, davanti all'affamatore di donne, di fanciulli e di vecchi, è una rocca di concordia e di volontà. In alto il cuore! In alto il ferro! In alto la fede! Tutta l'Italia non può esser vile. (Gabriele D'Annunzio, Cittadini di Fiume, Italiani di Fiume io dissi un giorno che soltanto la gerarchia sovrana degli Angeli era degna di raccogliere la parola della vostra pazienza..., Fiume, Stab. Tip. de La Vedetta d'Italia, 23 aprile 1920).


Abbiamo perpetrato un'aggressione a mano armata verso le truppe fedeli. Abbiamo rubato Quarantasei Quadrupedi. Abbiamo offeso l'Italia. Non sappiamo pensare italianamente. Non siamo italiani. Non meritiamo se non di essere affamati, ammanettati e fucilati. Ci rassegniamo. Ma bisogna che ultimamene io confessi di aver rubato stanotte il Cavallo dell'Apocalisse per aggiungerlo ai Quarantasei Quadrupedi su lo zatterone criminoso. Ha la sua brava bardatura generalizia; e un fulmine di Dio in ciascuna fonda. Cum Timore, Gabriele D'Annunzio.


Contro gli avvenimenti dolorosi e criminosi di Trieste, ordino che sia respinto col più fermo rigore qualunque tentativo di approdo fatto da nave carica di truppe italiane destinate a proteggere Valona. (...) I Legionari di Fiume non sono disertori né di Caporetto né di Albania; e non vorranno mai avere nulla di comune con gli Italiani indegni che si rifiutano di combattere e osano far pubblica professione di viltà. Valona deve essere tenuta a ogni costo, così come noi vogliamo tenere a ogni costo Fiume. (...) Un grande reparto d'assalto, bene armato, bene equipaggiato, bene allenato, prontissimo al fuoco, è già stato offerto alle autorità superiori dell'altra parte. (...) Un solo patto accompagna l'offerta. Questo, che al battaglione fiumano sia assegnato il posto più pericoloso e che non sia mai richiamato indietro. (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Contro gli avvenimenti dolorosi e criminosi di Trieste..., Fiume, 12 giugno 1920).


... C'è però una storia fiumana di Valona che conviene oggi chiarire. Vi ricordate delle notti tumultuose e vertiginose quando il vostro dolore e il vostro furore urlavano e tendevano le mani verso la ringhiera per chiedere di correre a vendicare i morti di laggiù? (...) Stabilii che della mia miglior gente fosse costituito un battaglione fiumano da inviare in Albania senza indugio. (...) Feci dunque l'offerta al Ministero della Guerra, chiedendo che il battaglione fosse ricevuto col debito onore, che potesse portare sul petto il segno di Ronchi, che potesse combattere col suo gagliardetto e che negli attacchi e nei contrattacchi avesse la testa, come conveniva ad allenatissimi assaltatori. (...) Dopo molti indugi, fui avvertito che il mio reparto dovesse comporsi di combattenti esciti da ogni obbligo di servizio, così da poterlo considerare come un battaglione di semplici volontari. Dopo dieci mesi di pazientissima espiazione, la famosa piaga inferita alla disciplina formale non pareva cicatrizzata ancora. Pur di servire, accettai la condizione penosa. E la domanda di dichiarare la forza precisa del reparto e la data della partenza non giunse se non alla fine di luglio, non giunse se non ieri! Conservo il documento. Non giunse se non con le prime notizie «ufficiose» del probabile sgombero di Valona. Allora io scrissi: «Le notizie ufficiose annunziano il prossimo abbandono di Valona! Se combattenti fiumani andassero laggiù, come potrebbero essi accettare una tanto criminosa complicità? Essi dovrebbero ribellarsi al comando iniquo, dovrebbero rimanere in campo e farsi abbattere fino all'ultimo». Così scrissi il 3 agosto. (...) Ma c'è chi domanda: «Come potete voi difensori di Fiume dolervi e crucciarvi che Valona sia restituita agli Albanesi? Non lottate voi contro ogni specie di usurpazioni e di oppressioni? (...) Ora chi può affermae in fede sincera, che Valona sia stata dalla poltroneria del Governo italiano e del Parlamento italiano restituita agli Albanesi? (...) Noi siamo stati fin dal principio i più schietti e i più caldi fautori della libertà albanese, e non soltanto in verbo ma in azione. (...) Dico che Valona italiana era il solo e il più valido presidio di quella libertà. Abbandonando Valona noi abbandoniamo il popolo albanese non soltanto alla sopraffazione delle due razze avide e avare che da tempo guatano il territorio ma alle sorprese della politica inglese e francese, entrambe inesorabilmente armate ai nostri danni nell'Adriatico e in tutto il Mediterraneo... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Valona, Fiume, 5 agosto 1920).

Argomentazioni che probabilmente non convinsero del tutto Léon Kochnitzky, che internazionalista lo era irriducibilmente, e che il 2 luglio dà le dimissioni dal suo incarico al Comando. L'11 giugno cade il Ministero Nitti, e a Fiume si festeggia il decesso di Cagoia. D'Annunzio pubblica il volantino Legionarii di Fiume, combattenti d'Italia, partigiani della Vittoria..., (Fiume, 11 giugno 1920): . ... Compagni, la sera del 12 maggio celebrammo la vittoria delle Teste di ferro. Nel nono trigesimo ricelebriamo la vittoria confermata delle Teste di ferro. Legionarii, è la nostra vittoria. Gridiamolo, non per piccola vanità ma per duro orgoglio «Chi Fiume ferisce / di Fiume perisce». E' ammonimento e sentenza. (...) Noi domattina, risvegliati radiosamente come nelle diane del Solstizio quando il Piave trascinava da Nervesa al mare grappoli di cadaveri austriaci alzeremo un'ara di pietre alla Vendetta dagli occhi inflessibili; e danzeremo intorno, segnando il metro con gli scoppi festosi delle nostre bombe a mano...


L'orizzonte della spiritualità di Fiume è vasto come la terra; va dalla Dalmazia alla Persia, dal Montenegro all'Egitto, dalla catalogna alle Indie, dall'Irlanda alla Cina, dalla Mesopotamia alla California. Abbraccia tutte le stirpi oppresse, tutte le credenze contrastate, tutte le aspirazioni soffocate, tutti i sacrifizii delusi. Come il vessillo rosso dei ribelli sul Nilo porta la Mezzaluna e la Croce, esso comprende tutte le rivolte e tutti i riscatti della Cristianità e dell'Islam. (...) Osate d'instaurare qui, in questi quattro palmi di terra, in questo triangolo rozzo, i modi dello spirito nuovo, le forme della vita nuova, gli ordinamenti della giustizia e della libertà secondo l'inspirazione del passato e secondo la divinazione del futuro; osate di scolpire qui coi ferri stessi del vostro lavoro una immagine dell'Italia bella da opporre a quella che su l'altra sponda par divenuta la baldracca stracca dei bertoni elettivi: osate di cancellare qui ogni segno di servitù morale e sociale, (...) ; liberate, dopo tanta pazienza, il vostro giovine vigore, inventate la vostra virtù, afferrate il vostro destino (...). Di subito, non sarete più una mummia di «corpo separato»; sarete una nazione vivente ...). Per mesi e mesi avete domandato l'annessione a un'Italia sorda. Farete voi le vostre annessioni e i vostri plebisciti, secondo il vostro ordine. (...) Avete avuto fino a oggi la passione di patire. Non avete voi finalmente la passione di vivere? (...) Il dramma del mondo è spaventoso. La guerra ha tutto scoperchiato, e non per la resurrezione. Ha scoperchiato tutte le tombe dov'erano sepolte le vecchie cose maledette. (...) Abbiamo penato e lottato per avvantaggiare i nuovi negrieri. (...) Giovani, liberiamoci. Rompiamo tutte le scorze, fendiamo tutte le croste. Incominciamo a rivivere. Incominciamo la vita nuova. Io non voglio logorarmi, né abbassarmi, né perdermi. Io voglio salvare la mia anima, come voi dovete salvare la vostra. Io voglio morire lottando. Non voglio morire languendo. Io non voglio cedere la mia primogenitura per un sacco di grano. Il grano io vado a prendermelo dove si trova. Domando alla città di vita un atto di vita. Fondiamo in Fiume d'Italia, nella Marca orientale d'Italia, lo Stato libero del Carnaro. (...) Ha parlato il coraggio. Il coraggio risponda. [Tutto il popolo s'agita e acclama]. IL POPOLO: Quel che vuole il Comandante. IL COMANDANTE: Se è così, il 12 settembre incomincerà la nostra vita nuova. E il dèmone della risolutezza sia con noi (Gabriele D'Annunzio, Domando alla città di vita un atto di vita, Fiume, 12 agosto 1920).



D'Annunzio visita lazzaretto di Pehlin a far visita ai Legionari colpiti dalla peste. Il 27 Ottobre 1920 viene pubblicato il Disegno di un nuovo Ordinamento dell'Esercito Liberatore, Fiume d'Italia, Tip. "Miriam", XXVII ottobre 1920, scritto in collaborazione con Guido Piffer, piace a Keller e Comisso non sopportabile per tradizionalisti come Sante Ceccherini:

Io mi propongo di fare del mio esercito uno strumento di guerra sempre più vigoroso e spedito. Lungi dal reprimere quello spirito di autonomia che si va manifestando nei varii reparti, io voglio assecondarlo. Ogni reparto dev'essere una perfetta unità tattica, dotato di quei mezzi che gli consentano di svolgere efficacemente un'operazione senz'altro concorso (...) A ogni reparto voglio lasciare una certa libertà nella foggia ma non senza stile, cosicché l'uno si distingua dall'altro e ciascuno rafforzi il suo rilievo e approfondisca il suo stampo... (pp. 22-23). Non m'importa d'avere un esercito denso. Mi basta di avere la mia Legione. Di contro a un mondo pieno di barbarie, di contro a un'Italia imbarbarita, mi basta di aver qui rivendicato «il gentil sangue latino». All'estrema battaglia io non voglio meco se non «il gentil sangue latino». Così la mia Legione fiumana avanzerà di bellezza la Legione tebana... (pag. 32).


Ai marinai d'Italia in Fiume italiana e a tutti i marinai d'Italia nell'Adriatico italiano (Fiume, 21 dicembre 1920):

Compagni, su la regia nave Puglia, davanti alla più romana delle città dalmatiche, furono messi ai ferri e trattati con una brutalità peggio che serba venticinque marinai italiani, rei d'aver tentato d'impedire che fosse issata all'albero la bandiera jugoslava. (...) Compagni, essi hanno compiuto un alto dovere nazionale disobbedendo a ordini ignobili, ricusandosi di servire i negatori prezzolati della vittoria e i nemici insediati dell'onore d'Italia. (...) Orazio Nelson era per tutto il popolo d'Inghilterra la figura indefessa e ardente del «dovere». E sopra la divina battaglia di Trafalgar quella sola parola risplendette come una folgore più potente del sole. (...) Egli stimava che ogni marinaio, come ogni altro servitore della Patria, dovesse avere il coraggio di obbedire agli ordini contro qualunque più disperato rischio. Ma anche stimava che vi fosse un coraggio più nobile e più raro: quello di disobbedire agli ordini quando gli ordini erano in conflitto con l'onore nazionale - in conflict with national honour. Ebbene, miei compagni, tutti gli ordini che oggi vi sono dati nell'Adriatico offendono atrocemente l'onore della nazione, l'onore d'Italia. Il vincitore sublime di Trafalgar (...) giuro che lancerebbe a tutte le navi questo messaggio «La Patria oggi confida che ciascuno di voi farà il suo dovere disobbedendo». Io, miei compagni, pongo per pegno della mia e della vostra disobbedienza contro i venditori e i traditori di Roma la mia vita tutta intera devota alla più bella Causa che mai sia stata data all'uomo per la gioia e per la gloria di ben morire.


D'Annunzio pubblica il volantino La Rinunzia (Fiume, 29 dicembre 1920):

...Essi confessano di non potere abbattere la resistenza eroica dei legionarii se non distruggendo la città, se non uccidendo i cittadini inermi. Essi dichiarano di voler distruggere la città senza voler lasciare uscire il popolo! (...) Nella storia delle ignominie militari non ce n'è una più bassa (...) E tanta ferocia è esercitata contro quel miracolo d'amore che si chiama Fiume, contro l'Olocausta! (...)

I colpi contro la stanza di D'Annunzio al Palazzo del Comando . Io non posso imporre alla città eroica la rovina e la morte totale che il Governo di Roma e il Comando di Trieste le minacciano. Io rassegno nelle mani del Podestà e del Popolo di Fiume i poteri che mi furono conferiti il 12 settembre 1919 e quelli che il 9 settembre 1920 furono conferiti a me e al Collegio dei Rettori adunato in governo provvisorio. (...) Attendo che il Popolo di Fiume mi chieda di uscire dalla città, dove non venni se non per la sua salute. Ne uscirò per la sua salute. E gli lascerò in custodia i miei morti, il mio dolore e la mia vittoria.


L'alalà funebre (Fiume, 31 dicembre 1920), «Chiunque il quale» è il generale Caviglia, incauto estensore dello strafalcione:

Il fatto militare è questo. Il 24 le truppe regie dovevano occupare la città. Oggi 31 le truppe regie non sono riuscite a imprimere nella nostra linea la più lieve inflessione. Noi siamo dunque vittoriosi. (...) Il vinto di Fiume e il millantatore di Vittorio Veneto, perché noi desistiamo dal combattere, minaccia di distruggere la cerchia di San Vito con un bombardamento continuato, quartiere per quartiere. (...) Tutti gli effetti del tirannico terrore erano stati premeditati e preparati con arte grossa da colui che passerà nella storia della ferocia sgrammaticata sotto il nomignolo di «Chiunque il quale» o miei allegri compagni. (...) C'è qualcuno di voi, o miei Arditi, che abbia quella medaglia coniata dal XXX Reparto di Assaltatori dopo Fontanasecca, dopo il Monte d'Avien, dopo la Spinoncia, dopo il Solarolo, dopo il Grappa, dopo Vittorio Veneto? Una testa di morto coronata di lauro serra fra i denti scoperti il pugnale nudo e guarda fisso dalle profonde occhiaie verso l'ignoto. Stanotte i morti e i vivi hanno il medesimo aspetto e fanno il medesimo gesto. A chi l'ignoto? A noi!


Le legioni s'attendevano l'ordine di lasciare la città e di marciare a levante. Volevano disseppellire i morti. Volevano partire «coi loro morti in testa». Era il ritornello di una canzone selvaggia, nata come tutte le altre dall'amore e dal dolore sanguinanti: «Noi ce ne andremo armati - coi nostri morti in testa! » (...). I legionari se la provavano fra loro annodati in cerchio, a tempia a tempia, a gota a gota, come se soffiassero insieme sopra un tizzo acre. Prima che il fuoco divampasse, ne avevano le labbra bruciate, i volti di bragia. (Gabriele D'Annunzio, Per l'Italia degli Italiani, Milano, Bottega di Poesia, 1923; pp. 272-273).


D'Annunzio pronuncia l'orazione Riconciliazione (Fiume, 2 gennaio 1921):

...Questi italiani hanno dato il loro sangue per l'opera misteriosa del fato latino, con terribile ebrezza d'amore i nostri, e gli altri con inconsapevole tremito. (...) La martire Fiume, simile a quella sua donna che da ferro italiano ebbe tronche le due braccia di fatica e non fece lamento, si solleva sui suoi piedi piagati e col moncherino sanguinante scrive nella muraglia funebre «Credo nella Patria futura, e mi prometto alla Patria futura». Inginocchiamoci e segniamoci, armati e non armati. Crediamo e promettiamo. Davanti a questi morti che riconcilia la nostra speranza, o mie legioni eroiche, o mia forza inseparabile, giuriamoci per una lotta più vasta e per una pace di uomini liberi.

Del 3 gennaio è l'ultimo documento pubblicato, il volantino Il commiato fra le tombe, (Fiume, 3 gennaio 1921): .

D'Annunzio nel cimitero di Cosala . Ieri nel camposanto di Fiume, la volontà di ascendere, che travaglia ogni gesta di uomini, toccò l'ultima altezza. Parve la nostra vita più alta ora nel cielo dell'anima. (...) Sapevano che io li conducevo verso la sommità di una bellezza a me stesso ignota? Quante volte nelle piazze, nelle corti, nei crocicchi, nei prati, su per le colline, lungo le rive, dalla ringhiera, quante volte avevo detto a questi poeti inconsapevoli le parole della più ebbra poesia? «Chi mai potrà imitare l'accento delle nostre canzoni e la cadenza dei nostri passi? Quali combattenti marciano come noi verso l'avvenire? Non eravamo una moltitudine grigia; eravamo un giovine dio che ha rotto la catena foggiata col ferro delle cose avverse e cammina incontro a se stesso avendo l'erba e la mota appicicate alle calcagna nude». Comprendevano. Dischiudevano le labbra perché si gonfiava il cuore. Bevevano la melodia. Credevano ch'io dessi loro da mangiare il miele del mattino: «il miele senza sostanza». (...) Non eravamo legioni armate; eravamo un'armonia ascendente. (...) Nessuno rimase in piedi: nessuno delle milizie, nessuno del popolo. E colui che versò più lacrime si sentì più beato. E qualcosa di noi trasumanava; e qualcosa di grande nasceva, di là dal presente. E ogni lacrima era Italia; e ogni stilla di sangue era Italia; e ogni foglia di lauro era Italia. E nessuno di noi sapeva che fosse e di dove scendesse quella grazia. Tale fu ieri il commiato che i Legionarii diedero alla terra di Fiume. E domani a un tratto la città sarà vuota di forza come un cuore che si schianta.

Claudia Salaris,la piu' importante storica della'arte sul futurismo

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«Inquieta e diversa lo era stata la città di Fiume, fra il 12 settembre 1919 e il cosiddetto «Natale di sangue» del 1920. La governava un poeta, per la prima volta al mondo, e il suo esercito era costituito da insubordinati di ogni grado e arma dell'Esercito Italiano. La gente che ci abitava, per più di un anno visse di pochi viveri, di feste e di spettacoli, di parole bellissime declamate e stampate quasi ogni giorno da Gabriele D'Annunzio, per tutti più brevemente «il Comandante». Olocausta, Città di Vita, Porto dell'Amore. Aveva una costituzione che metteva in discussione il concetto di proprietà, un regolamento dell'esercito dove fatti i conti la cosa più importante era di superare in bellezza la Legione Tebana, era punto di confluenza di tutti gli indipendentisti e anticapitalisti del mondo, dall'Egitto alla Russia bolscevica. Era un covo di pirati che per sopravvivere rubavano cavalli, dirottavano navi e compivano voli impossibili. Era un luogo di sperimentazione di forme alternative di vita: nudismo, naturismo, futurismo, omosessualità, libero amore, uso di droghe: "Fallito il progetto del «modus vivendi» inizialmente proposto dal governo italiano, la politica dannunziana si spostò sempre più verso prospettive rivoluzionarie. In questo nuovo contesto si affermava quel particolare clima psicologico che, usando le parole di D'Annunzio, fece di Fiume la «Città di vita»: una sorta di piccola «controsocietà» sperimentale, con idee e valori non propriamente in linea con quelli della morale corrente, nella disponibilità alla trasgressione alla norma, alla pratica di massa del ribellismo"»

(Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume, Bologna, Il Mulino, 2002; pag. 12).

@@@@@Comunisti Legione Gramsci

da L'Ordine Nuovo" e il canto sociale* di Cesare Bermani

«Legionari che cantano "Bandiera rossa", in "L'Ordine Nuovo", 15 ottobre 1921

Molti vessilli socialisti e comunisti continuano a lungo a mantenere il campo segnato a nero, mentre gli Arditi del popolo hanno addirittura vessilli neri e - almeno nel caso di Morciano - anche le squadre di difesa armata del Pcd'I (49). Invece il rosso è ormai vissuto da tutti come il simbolo distintivo dei "rossi". L'ottobre del '19, quando anche i legionari dannunziani avevano potuto fregiarsi senza remore della bandiera rossa, pare lontano. Di lì a qualche anno il fascismo riuscirà a instaurare un controllo quotidiano sull'uso del rosso. E, avendolo assunto per contraddistinguere le proprie divise, sarà altrettanto rigido nella regolamentazione del nero (50).

'No', rispose il giovane. 'Sei comunista?' 'Sì, sono comunista'. Quattro mani si allungarono per ghermire il fazzoletto e distintivo ma un altro fascista intervenne dicendo: 'Non vi vergognate? Siete quattro contro uno! E dovreste stringergli la mano poiché ha avuto il coraggio di affermare la sua fede'. I fascisti desistettero dal loro tentativo ed il giovane proseguì la sua strada, ma fatti pochi passi, altri due fascisti lo fermarono ripetendogli le stesse domande, alle quali diede naturalmente le stesse risposte. I due giovincelli fecero per strappargli il distintivo, ma anche questa volta sopravvennero alcuni legionari che li costrinsero a rimandare l'eroica impresa. Nacque un vivo battibecco tra fascisti e legionari e questi ultimi per indispettire i loro contraddittori si portarono sotto la Galleria Nazionale cantando 'Bandiera rossa', con grave scandalo di tutti i fascisti presenti i quali peraltro non hanno saputo reagire .»

@@@Gianni StelliD’Annunzio e il movimento dannunziano nelle analisi di Gramsci e dell’«Ordine Nuovo» [1] invece da [2]

«Un’analisi chiara del rapporto fascismo-dannunzianesimo è quella fornita da un articolo di Ruggero Greco, del 1° maggio 1921, sull’”Ordine Nuovo”, intitolato “Fascismo”.

Egli distingue due fasi o due aspetti del fascismo. Un primo, che pretendeva di avere un programma rivoluzionario ma che, pur facendo concessioni all’idealismo nazionalista, tuttavia celava già preoccupazioni di difesa classista ed era perciò, di fatto, rivoluzionario e conservatore.

Il secondo fascismo poi non fece che chiarire questa sua natura reazionaria. Dal primo aspetto del fascismo si staccò il ramo dannunziano, che sostenne ed affermò concezioni rivoluzionarie contro il governo centrale, lo Stato ed il regime. I legionari dannunziani, afferma Greco, vollero portare fino alle logiche conseguenze le premesse del primo fascismo.»

L'avventura fiumana ebbe termine nel dicembre del 1920, con il Natale di sangue. La politica dannunziana a Fiume, anche per via di tentennamenti e scelte non univoche da parte del poeta, passato su posizioni più radicali: se l'obiettivo di partenza era il ricongiungimento di Fiume all'Italia, adesso l'obiettivo dichiarato con la progressista Carta del Carnaro era quello di fondare uno stato libero fondato su valori assolutamente diversi e contrastanti rispetto a quelli su cui era fondato il regno d'Italia, ed appoggiato dalla Russia dei Soviet.

D'Annunzio aveva incominciato un percorso che, dal puro nazionalismo di stampo neo-risorgimentale, era approdato ad un'ideologia ben precisa, fermo restando le sue indecisioni, molto vicina al sindacalismo rivoluzionario di Alceste De Ambris. Questo risultò per molti inaccettabile per cui la Reggenza Italiana del Carnaro fu presa militarmente dall'esercito italiano .[5] . Vi furono alcune decine di morti da entrambe le parti negli scontri: Antonio Gramsci difese dalle colonne di L'Ordine Nuovo tanto D'annunzio quanto la Legione di Fiume mentre i dirigenti del Partito Nazionale Fascista dal canto loro elaborarono una mozione di condanna per l'attacco a Fiume, firmata all'unanimità eccetto un'unica astensione: quella di Benito Mussolini. fermo restando le sue indecisioni,vedi lettera autografata in possesso di Utente:Lupo_rosso ai bersaglieri di Ancona nella quale rivolgendosi ai bersaglieri con il termine Compagni fa rimbrotti credendo la loro rivolta antipatriottica,stesso caso per rivolta Arditi di Trieste,e' da notare che quando ex Legionari fiumani e loro ufficiali vanno da Giuseppe di Vittorio ,anarchico,allora,e fra i capi degli Arditi del Popolo l'unica condizione che gli chiedono e' che non sia infangato il tricolore eil Rivoluzionario risponde che cio' e' ben lungi dai loro costumi,gli ex Legionari si affiancano agli Arditi del Popolo e sconfiggono duramente gli squadristi del ras locale Caradonna,che ritroveremo ancora (coi discendenti) nei fatti di Reggio Calabria. in seguito da

«50. A. TASCA op. cit. p. 300. L’Autore sostiene che la linea di demarcazione tra legionari e fascisti resta imprecisata. Di diversa opinione è R. DE FELICE op. cit. nota 16. A. BALLARINI op. cit. p. 51; secondo l’Autore, Fiume, in base ai progetti dannunziani e zanelliani, era semplicemente un formidabile equivoco. Vedi anche “Rivista di Studi fiumani” anno XVII, II. semestre, 1997, n.s. p. 64. “L’Ordine nuovo” 22 luglio 1921, art. in cui si cita la lettera di D’Annunzio ai legionari processati in difesa di quanti furono condannati per l’insurrezione ed il complotto terroristico in relazione alle cinque giornate di Fiume, ed art. del 26 settembre 1921 “I legionari non aderiscano ai fasci” che si riferisce all’intervista del segretario generale della Federazione Legionari Fiumani Foscanelli che, in un convegno tenutosi a Roma, pose la questione del rapporto con i fasci. Un’adesione a questi, disse, sarebbe stata in contrasto con il principio animatore dell’impresa fiumana, che era stata essenzialmente rivoluzionaria, mentre i fasci erano uno “strumento della classe borghese”. “I legionari si staccano dai fascisti” del 1° dicembre 1921 e “Un appello ai legionari fiumani dopo la scissione con i fascisti” del 18 dicembre 1921.»

in seguito da

«R. DE FELICE op. cit. p. 95. Non è inoltre da sottovalutare quanto l’italianità di Fiume fosse importante anche da un punto di vista economico. Essa significava la prevalenza sul mare Adriatico e la possibilità, per Trieste, di non doversi confrontare con la concorrenza commerciale di Fiume, sbocco unico per i Balcani e per la Slovenia. Cfr. a proposito l’articolo di Maria Teresa Marcellini “La questione di Fiume nell’opinione pubblica di Trieste”(1918-1922), p. 68. In: “Rivista di Studi fiumani” anno VI, nn. 1-2, gennaio-giugno 1958. L’Autrice inoltre sostiene, a pagina 66, che l’importanza di Fiume italiana ebbe un significato diverso per la destra nazionalista (organizzata nei fasci di combattimento) che espresse le sue idee ne “Il Popolo di Trieste” (gemello del Popolo d’Italia) e per quelle del gruppo di uomini erroneamente definiti, ad esempio, da A. TASCA in op. cit., “indistinguibili dagli spostati che combatterono animati da uno spirito diverso”. Fiume fu per questi il completamento di un programma risorgimentale. Ne sono testimonianza i diversi articoli apparsi sul settimanale “L’Emancipazione”, che ne conteneva il programma. Solo in quest’ottica poteva essere accettabile il proposito di D’Annunzio di una Fiume anticipatrice di una rivoluzione repubblicana e socialista, italiana ed europea.»

Possibile articolazione della voce

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  • L'antefatto (Sintesi dell'impresa fiumana)
  • Il comandante e i suoi pretoriani (D'Annunzio e la cupola legionaria)
  • I Legionari partecipanti (provenienza, età, ideologie politiche, ecc.)
  • L'annessione all'Italia (voluta unilateralmente da D'Annunzio. Reazioni dell'opinione pubblica e della classe dirigente italiane)
  • Il nuovo ordine legionario (carta del Carnaro ed altro)
  • Aspirazioni e frustrazioni
  • La fine di un sogno (Il natale di sangue e la fine dell'occupazione)
  • Il grande scippo (da parte del fascismo)

Ti confesso che ho la netta sensazione, dopo aver scritto questa "articolazione", che rischiamo di fare una specie di sintesi fra: Carta del Carnaro, Stato libero di Fiume, l'Impresa di Fiume, Reggenza italiana del Carnaro, Natale di sangue (tutte voci che tu in maggior o minor misura hai contribuito a sviluppare e in cui hai inserito alcune parti del materiale qui presente). Stiamo attenti d'altra parte a non fare una Ricerca originale che qui viene vista come il fumo negli occhi. Intanto cominciamo, poi, strada facendo, vediamo i risultati: male che vada, rimpolperemo, integreremo, rettificheremo una serie di voci, prima fra tutte quella su Gabriele D'Annunzio.

A mezzogiorno del 12 settembre 1919, Gabriele D'Annunzio, alla testa di oltre 2.500 volontari (in massima parte granatieri del regio esercito, un plotone di bersaglieri, ex arditi e reduci della guerra '15-'18) partiti da Ronchi, occupa la città di Fiume. Alcuni irredentisti giuliani, con in testa Giovanni Host Venturi e Antonio Grossich mettono a disposizione del Vate le proprie squadre paramilitari fra cui anche un manipolo di giovani patriote fiumane armate (Rif.disponibile) In tutta Italia iniziano gli arruolamenti. Il generale Francesco Grazioli capo del corpo alleato in città, non interviene e i contingenti francesi, inglesi e statunitensi sono costretti ad asserragliarsi in alcune caserme del centro. In serata Gabriele D'Annunzio proclama solennemente, davanti a una folla commossa e plaudente, l'unione di Fiume all'Italia.

Mistica dannunziana

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Fin dalla partenza da Ronchi l'impresa di D'Annunzio è avvolta in un'aureola di leggenda che sconfina nel mito. A Ronchi era stato arrestato trentasette anni prima Guglielmo Oberdan, il martire italo-sloveno impiccato dagli austriaci a Trieste per aver attentato alla vita dell'imperatore Francesco Giuseppe e giurati di Ronchi divengono i sette ufficiali dei granatieri che hanno convinto D'Annunzio a capeggiare l'impresa; l'entrata a Fiume viene definita santa e santa è anche la città di Zara che attende di riunirsi alla sua consorella dalmata. Su di lui e sui suoi volontari veglia da lontano il Dio del Carnaro una divinità vagamente pagana con connotazioni guerriere. Il popolo di Fiume, immiserito dalla guerra, ha dato alla povertà l'aspetto raggiante della magnificenza. Questo stesso popolo è chiamato a giurare sulla bandiera tricolore, la sera del 12 settembre 1919, il sacro vincolo che unisce la loro città alla madrepatria italiana. %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%

Léon Kochnitzky

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«Per il Comandante d'Annunzio, Eià, eià, eià, Alalà». (cfr. Léon Kochnitzky, «Fiume et son Prophète» LE FLAMBEAU, Anno IV n. 1, 31 gennaio 1921; pag. 4). «Eia Eia Eia Alalà» era stato il grido inaugurato da D'Annunzio per la prima volta durante l'incursione aerea su Pola (8-9 agosto 1917). ancora Léon Kochnitzky


Une fanfare éclate: ecco passa la banda; une musique militaire traverse la ville; cela arrive à peu près trois ou quatre fois par jour à Fiume. Et chaque fois, tout le monde se précipite; on suit les musiciens, on les entoure; un cortège se forme: bientot la foule suit la musique sur le corso, vers la piazza Dante; quand la fanfare, à bout de souffle, s'arretête, les épigones reprennent le refrain, chantent, acclament, trépignent; le plus souvent, ils arrivent devant le palais et ne consentent a se disperser qu'après avoir vu leur idole: d'Annunzio et après avoir poussé de frénetiques «Alalà» en son honneur. (...) Je n'oublierai jamais la fête de San Vito, patron de Fiume, le 15 juin 1920 (...), on dansait partout: sur la place, aux carrefours, et sur le mole; on dansait, on chantait le jour, le soir et la nuit; ce n'etait pas la mollesse volupteuse des barcarolles vénitiennes; c'était une bacchanale déchaînée; au son des fanfares martiales on voyait tournoyer en rondes échevelées les soldats, les marins, les femmes, les civils (...). D'autres appelleront cela de l'hystérie. C'est le Bal des Ardents. Devant le monde hostile et lache, bravant le rire aigu des foules viles, Fiume danse devant la mort. Elle est un coeur, un torche. Elle est une Arche. (Léon Kochnitzky «Fiume et son Prophète» LE FLAMBEAU Anno IV n. 1, 31 gennaio 1921; pp. 19-23).



...Je m'installai au Comando en qualité d'attaché au secrétariat particulier du commandant Gabriele d'Annunzio. A partir de ce moment, je vécus de la vie ardente des légionnaires, je cherchai à leur rassembler le plus possible; les travaux et les jours se succèdent; le reste du monde nous apparaît comme quelque chose de gris et de vague, l'aer perso dont parle Dante. Je respire dans la grande clarté qui rayonne de Gabriel d'Annunzio et de ce rayonnement, je vis. Je ne suis plus qu'un instrument sans volonté, un outil insensible entre les mains de l'artisan merveilleux. Il me plaît de n' être que cela. Cet épigonisme déférent n'a rien qui me puisse diminuer, amoindrir. (...) Je remercie Dieu qui m'a mis en contact direct et quotidien avec la plus parfaite de ses créatures et je considère attentivement ce prodigieux phénomène dans ses grandeurs et dans ses petitesses, dans sa puissance et dans sa faiblesse. (...) Cervantes n'entendait rien à la diplomatie. Lamartine ne savait pas commander une armée; Napoléon n'a pas écrit les Laudi. Le commandant de Fiume, le plus grand poète de notre age, est aussi un homme de guerre et un homme d'Etat. Les «Arditi» ne sont pas indignes d'un tel chef! Qu'ils sont beaux à voir lorsqu'ils s'en vont, aux soirs d'hiver, par les petites rues de la vieille ville; poignard au flanc, la gorge nue, ne semblent-ils pas, avec leur chaperon noir et leur chemise de toile noire, «Les sombres Séraphins d'une autre Apocalypse», de l'Apocalypse effrayante que nous vivons, écroulement du monde occidental? (Léon Kochnitzky, «Fiume et son Prophète» LE FLAMBEAU, Anno IV n. 1, 31 gennaio 1921; pp. 13-14).



Fiume viveva unicamente del suo porto. Il blocco paralizza la città, l'anemia la fa morir di morte lenta. Magazzini senza traffico, mediatori senza occupazione, marinai senza imbarco, armatori rovinati, dappertutto il lavoro fermato, la penuria: la fame, la malattia all'uscio del povero, diventano alla soglia del ricco la tentazione; l'adito agli affari loschi e ai mercati non confessabili è aperto: si comincia collo speculare, poi s'inganna, si baratta, si truffa. Si deve pur vivere; e si diventa «incettatori», o meglio pescicani (Léon Kochnitzky, La Quinta Stagione o I Centauri di Fiume, Bologna, Zanichelli, 1922; pag. 35).





Un corrispondente della Morning Post scrisse un giorno sullo scandalo che avrebbe provato un colonnello inglese, rigido come un mannequin, se avesse veduto sfilare un reggimento di legionari; al che il mordace Kochnitzky (...) gli obiettò: «Gabriele d'Annunzio non è un colonnello inglese, per fortuna». Eppure proprio il Kochnitzky indossava una giacca nera irreprensibile, che costituiva una vera stonatura fra le sgargianti e variopinte uniformi in circolazione, parecchie di un kaki terroso, appena ritagliate da migliaia di teli da tenda inglesi trovati in città. Taluni portavano abbondanti cravatte a svolazzo, altri preferivano la scollatura, v'era chi girava col fez degli arditi, chi l'aveva definitivamente sostituito da folte chiome pettinate all'indietro; la compagnia«d'Annunzio» usava i pantaloni corti; tutti indistintamente avevano un debole per il pugnale a sghimbescio infilato in modo da rimanere a portata di mano (Federico Augusto Perini-Bembo, D'Annunzio e Fiume per l'ordine nuovo. Prodromi momenti e conseguenze nazionali ed internazionali della «marcia di Ronchi», Firenze, Carlo Cya, , 1944; pp. 126-127).

Generale Nigra

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Il signor Generale Nigra, dal giorno in cui ebbe l'onore di assumere il comando della 45.a Divisione, non cessò di dimostrare al Comandante di Fiume, alle truppe fiumane, alla Causa nazionale la più cruda inimicizia. Alle denigrazioni, alle vessazioni, ai sorprusi d'ogni genere volle aggiungere cotidianamente le più basse ingiurie. (...) Ma a proposito del Comandante, l'ultima contumelia fu espressa in questi termini: «Chi sceglie a sua guardia d'onore manigoldi non può essere se non il più gran manigoldo». Per rispondere a questa brevità cesarea, nella notte del 27 gennaio, presi gli ordini del Comandante, i «manigoldi» della Guardia, con una speditezza ed una eleganza incomparabili, hanno compiuto la cattura del nemico. Il Generale Nigra, prigioniero, si è affrettato a dichiarare la sua venerazione verso il Comandante, il suo sviscerato amore per la Causa di Fiume, e la sua stima senza limiti per i Legionari. Egli ha perfino chiesto il nastrino dei colori fiumani per ornarsene! Come era stato giudicato il Capo, ora è giudicato l'uomo... (Dal volantino Il Generale Nigra Com.te la 45.a Divisione prigioniero dei Legionarii di Fiume, Fiume, 27 gennaio 1920).

Questa «Disperata» fu la falange eletta dei legionarii: la guardia del corpo del Comandante: manipolo di uomini decisi, spregiudicati, violenti nell'adorazione e nell'impeto: fiore della rivolta e della libertà, passato attraverso il setaccio della guerra e degli stati d'animo, se non delle idee, rivoluzionari. Erano mastini ed erano fanciulli: sicuri come truppe di colore, consapevoli come «soldati della morte», lieti e canori come atleti in gara continua. Alcuni elementi moralmente impuri non la deturparono, ma le diedero un colore crepuscolare di gente maledetta dai saggi e dai mediocri, che costituì il suo fascino più orgoglioso. (Mario Carli, Trillirì. Romanzo, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 174-175).


Prendendo la Russia come modello tipico di rivoluzione sociale, si vede anzitutto che il bolscevismo è stato un movimento, non tanto grettamente espropriatore, quanto rinnovatore, perché ha voluto ricostituire in base a ideali vasti e profondi l'edificio sociale, assurdamente sbilenco sotto il decrepito regime zarista. Inoltre il bolscevismo russo, animato da un potente soffio di misticismo, non si è mosso con quei criterii di pacifismo codardo, che fanno dei cortei proletarii italiani altrettante processioni d'innocenti agnellini (...). Il popolo russo ha saputo anche difendere la sua rivoluzione, e gli eserciti di Lenin si sono battuti, spesso, vittoriosamente, contro i bianchi paladini della reazione. Assodato poi che i socialisti italiani non credono nella rivoluzione, non la vogliono e non fanno nulla per provocarla, possiamo stabilire in modo definitivo che noi legionarii non avremo mai alcun contatto, e neppure alcun cenno d'approccio, con quella ottusa cocciuta grettissima cretinissima Chiesa che è il Partito Ufficiale Socialista italiano... (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pag. 106-107).

Il nostro sogno più caro di artisti e di lottatori è sempre stato quello di sollevare la miseria materiale e spirituale delle masse, e se domani avremo modo di sopprimere in loro prima la fame, poi l'ignoranza, potremo dire di aver raggiunto uno degli obiettivi fondamentali di tutta la nostra azione. Noi chiediamo di meglio che chiamare accanto alle élites anche i rappresentanti del «numero» a partecipare alla vita collettiva, a decidere dei propri interessi e del proprio destino. Il soviet (altra parola-spauracchio per i mosci borghesi di tutti gli Stati) è un prodotto così ragionevole e così utile dei nuovi tempi, ed è già così diffuso, sotto la forma sindacale, negli ambienti amministrativi e industriali, che non si capisce perché non debba entrare senz'altro nella vita politica e militare (...). Indiscutibilmente Fiume e Mosca sono due rive luminose. Bisogna, al più presto, gettare un ponte fra queste due rive (ib. pp. 109-110).


Guido Keller aveva preparata e animata l'impresa fiumana col suo entusiasmo geniale di combinatore di piani. Spirito sottile, penetrante, arguto e pensoso, aveva delle doti futuriste di demolitore e sfottitore. Conosceva la frenesia dell'azione e la calma superiore della cerebralità pura. Amava la vita da uomo immaginoso e beffardo, che sapeva giocare con le cose e con gli uomini e inventare divertimenti paradossali. (...) Nel campo di Mirafiori (da lui ribattezzato Miramosche) aveva fondato nel 1915 la «confraternita dei peli al vento» che aveva il compito di cresimare ogni aviatore novizio, tosandogli per intiero i capelli e spargendoli al vento.

Il Comandante caporale d'onore degli Arditi . Fu da questo che d'Annunzio prese lo spunto per battezzare gli aviatori (e poi i legionarii di Fiume) «teste di ferro». Erano note le sue ricognizioni in pigiama, sul suo apparecchio da caccia. Bruno si ricordava di averlo trovato qualche volta, dopo un volo rischioso, disteso sotto un albero, completamente nudo, immerso nella lettura di un giornale o di un libro. A bordo del suo apparecchio c'era sempre un minuscolo servizio da the, e fiori, sigarette, scatole di biscotti: un vero salotto volante. (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 153-154).


Furst, il tipo più malizioso e sollazzevole, meno bellicoso meno utile e più simpatico, dell'impresa: giornalista e nottambulo, complottatore e bevitore, grande ammiratore di Keller e suo complice nelle beffe fantasiose e ammonitrici fatte agli organi ufficiali della Città; e Mino Somenzi, lo scultore monumentista e avanguardista, dalla testa geniale e orgogliosa di pazzo illuminato, issata sopra un collo altissimo che si lasciava ravvolgere da una cravatta lunga come la marcia di Ronchi: mago chilometrico e stupefacente, dai gesti di fachiro, dal tono imperioso, dalla voce stentorea, braccia-rastrelli di roulette e gambe-trampoli della Landa, nero, misterioso, elegante, febbrile, interessantissimo; (...) e Cerati, il futuro redattore della «Testa di Ferro», il mio compagno ardito-futurista, giunto poi per la nostra idea fino alle ultime conseguenze: al carcere e alle Assise, superate stoicamente e brillantemente; e Sandro Forti, l'acuto cervello precocissimo, duttile e intuitivo, capace di passare da una lirica ultra-avvenirista a un misurato articolo di economia politica (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 201-202). Non posso evitare di descrivere Attilio Crepas e Luciano Barbesti. (...) Essi rappresentano il più stupefacente fenomeno di auto-valorizzazione attraverso il trucco e la fantasia (...). Egli [Attilio Crepas] aveva, alla fine della guerra, costituito nella sua Ferrara un Fascio futurista, i cui dirigenti erano due valorosissimi mutilati ed arditi, il maggiore Ronchis e il tenente Imegli... mai esistiti sulla faccia della terra. I giornali d'avanguardia del 1918 furono pieni del nome di questi due signori, che svolgevano una propaganda febbrile e un'organizzazione poderosa... nel cervello di Attilio Crepas. Il quale, smentito e smascherato più volte, non si lasciò mai turbare né imbavagliare, e continuò imperterrito la sua«azione» politico-giornalistico-letteraria, recandosi a Fiume la prima volta in divisa di sergente degli arditi, con sei o sette nastrini di medaglie sul petto; respinto, ritornandovi tranquillamente, con qualche medaglia di meno ma con lo stesso inalterabile aplomb. Non so, in verità, se ammirare di più questo grandioso mistificatore o il suo affine Barbesti, magnifico esemplare anche lui della stessa tendenza, con più scaltrezza forse e più praticità: pieno di medaglie, di ferite, di gradi immaginarii, piene le tasche di bombe non immaginarie, girava le vie di Fiume e di Milano palpando allegramente i suoi petardi, che non si sa a che cosa dovessero servire. Accusato, accusava a sua volta, e riusciva a ottenere libertà facendo chiudere nel carcere fiumano alcuni fra i più noti legionarii. Interessantissimo questo elegante ragazzo rossiccio, dai modi aristocratici e dall'r scivolante, geniale e amorale, capace di negare le cose più evidenti e di affermare le più assurde con una sicurezza da render perplessi. (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 202-203).


Siamo poeti. Evviva! Ma dei poeti che vogliono e sanno vivere. Dei cercatori di formule nuove e di sostanza occulta. Ci siamo lanciati allegramente in questa suprema avventura dello spirito, in fondo alla quale ignoriamo ciò che ci attende. Intanto, chiamateci pure «bolscevichi». Credo che nel nostro spirito, munito di ogni comfort, ci sia posto anche per il bolscevismo. Ma non limitateci, per carità! (...) Non vogliamo cartellini o barriere o traguardi fissi. (...) Intanto Gabriele d'Annunzio oggi è chiamato «compagno» dai proletari di Fiume, come ieri fu chiamato «caporale» dagli arditi e «sergente» dai bersaglieri. Non meravigliatevi di nulla: domani egli potrebbe celebrare un rito di fachiri o danzare una «fantasia» con gli arabi civilizzatissimi dell'Egitto. (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pp. 124-125).


I comizi e i cortei di Fiume si formano istantaneamente, con rapidità fulminea: basta che una sirena fischi o che una fanfara suoni, e la dimostrazione è composta, e dilaga per tutta la città. (...) Basta vivere qui in un giorno di festa, per afferrare il lato veramente futurista di questi movimenti di folla. Il fatto che essa è composta per metà almeno di donne, contribuisce a renderla più fresca e più lirica. (...) Non avevo mai udito una piazza o un teatro gremito cantare con tanta violenza appassionata l'Inno degli Arditi, che qui tutti sanno a memoria e che ha preso il posto della Marcia Reale come inno ufficiale di tutte le occasioni. (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pag. 143).


...Istantaneamente, con la fanfara degli Arditi, si formò un corteo. Uno di quei cortei fiumani dinamizzati fino a diventare un misto di soldatesco, di goliardico e di carnevalesco, che furono poi imitati in Italia dai fascisti e dai legionarii. Una fiumana torrenziale di gente che si teneva strettamente abbracciata, da un lato all'altro della strada, formando scaglioni compatti e travolgenti come ondate di una marea demoniaca. E canti e voci scoppianti di ardore e grida di amore e risate fresche e affermazioni imperiose. Donne e uomini commisti, senza riguardo, senza bisogno di conoscersi, contatti di gomiti stretti, quasi a comunicarsi magneticamente un sentimento implacabile che straripava nei guizzi delle persone colte da frenesia. (...) «Se non ci conoscete / guardateci sul petto. / Noi siamo i disertori / ma non di Caporetto». I vecchi erano sempre assenti da questi cortei (...). Invece c'erano alla testa quei meravigliosi manipoli di futuristi e di arditi, capeggiati prima da Marinetti, stupendo arringatore di folle, poi da altri, non così geniali ma altrettanto dinamici: da Riccardo Gigante (...); da Caliceti (...); da Benagli (...); da Cabruna (...); da Castelbarco... (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 206-207).



Così il Reparto degli Ignoranti, comandato dall'ignorantissimo Capitano Argentino, ha proclamato di credere prima in d'Annunzio, poi in dio, poi nel suo capitano. (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pag. 74).


Fiume: Città-Simbolo, Città-Fulcro, Città-Polo, Città-Arcobaleno! (...) Sei stata il rifugio di ogni sorta di individui: dal purissimo combattente all'avventuriero più losco; dall'accorto pescatore politico all'artista geniale che aveva sete di un clima lirico e veniva a cercarlo sul tuo molo vibrante di canzoni; dall'idealista che veniva in traccia dell'Italia al mercante che veniva in traccia di Korosone; dal giornalista in fregola di corrispondenze sensazionali alla spia del regio cagoiano governo; dal soldato che obbediva disobbedendo, al generale che si aggrappava alla gloria fiumana per colmare la lacuna di quella mancata sul Carso o per aggiungere alle medaglie al valore il falso fulgore di una medaglietta parlamentare; dal colonnello in cerca di avventure femminili al pederasta in cerca di avventure maschili... Un po' di tutto è venuto a te, divina Fiume: purezza, ardore, ardimento, vanità, cocaina, fede, ipocrisia, moneta falsa, voracità, sacrificio. E tutto ciò tu hai accolto beatamente, fiduciosamente, perché tutto ciò si chiamava, indistintamente, Italia. Ma l'anima e il cuore della spedizione legionaria erano solo in quei pochi - né troppo vicini né troppo lontani a d'Annunzio - che avevano portato a Fiume una coscienza nuova, tendenze a nuove forme e a nuovi ritmi di vita (...). Fiume doveva essere, per loro, l'avanguardia di tutti i popoli in marcia verso l'avvenire, l'isola di prodigio che avrebbe dovuto muoversi attraverso gli oceani, portando la sua luce incandescente ai continenti affogati nel buio dell'affarismo brutale. Questo gruppo di illuminati, di invasati, di mistici precorritori, riuscì a creare nella Città del Carnaro quell'atmosfera di spasimo verso l'avvenire e di lirica ribellione alle vecchie fedi e alle formule antiche, che è stata detta «fiumanesimo». (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 165-167).


Ebbene, compagni memori, quella stessa deduzione e quello sdegno rovente e quel desiderio di fuggire dalle città per tornare subito «lassù» dove c'era dell'amore e dell'eroismo, dove c'era bontà generosa e coraggio e giovinezza vera, io l'ho sentito in questi giorni, affacciandomi in una città qualunque dell'Italia dopo un lungo periodo di delizioso esilio fiumano. Nausea, schifo, indignazione. Bisogno di ribellarsi e di roteare un poderoso randello frantumando tutto ciò che si ha intorno. Bisogno di urlare con violenza nel bel mezzo di un ambiente vigliaccamente tranquillo ed elegante. Desiderio prepotente di dire ad ogni passo, ad ogni muso che s'incontra, ad ogni smorfia che si sorprende: - Porci! Carogne! Miserabili! (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi, 1920; pag. 132).

Si deve dire che ci fu un uomo il quale prese ad un tratto in pugno tutto il destino dell'impresa. - Occorrono i camions? Interrogò egli. - Per l'appunto. - E vi disperate perché non ci sono? - Precisamente. - Allora fermi tutti. Ci penso io! Non disse altro. (...) Balzò in automobile e si precipitò a rotta di collo verso Palmanova (...). Furono a un tratto faccia a faccia: quegli che voleva i camions e quegli che doveva darli. (...) La polemica fu subito troncata da un gesto di minaccia. L'ufficiale di d'Annunzio sollevò il pugno armato di rivoltella all'altezza di quella fronte curva nel diniego inesorabile (...).

Il Comandante pochi minuti prima dell'entrata in Fiume . - O tu cedi o io sparo! L'altro impallidì. Poi disse: - Cedo alla violenza. Ed era precisamente il capitano degli Arditi Ercole Miani, triestino, conquistatore del Vodice. (Piero Belli, La notte di Ronchi, Milano, Quintieri, 1920; pp. 19-22).

Il Motto dei legionari era: «Me ne frego!» ed i cuori delle fanciulle si facevano rapire. Passavano svelti sfiorando la terra - il torso nudo - le gambe nervose - cantando inghirlandati di fiori dopo il nobile esercizio delle armi. (Guido Keller, in Krimer, Incontro con Guido Keller, Tivoli, Mantero, 1938; pp. 116-117).

Parto in volo. Offro al Vaticano delle rose rosse per frate Francesco - sul Quirinale lancio altre rose alla Regina ed al Popolo in segno d'amore. Su Montecitorio un arnese di ferro smaltato con delle rape legate al manico con uno striscione di stoffa rossa e un messaggio: «Guido Keller - Ala Azione nello splendore - Dona al Parlamento ed al Governo che si regge col tempo - la menzogna e la paura - la tangibilità allegorica del Loro Valore». (Guido Keller, in Krimer, Incontro con Guido Keller, Tivoli, Officine Grafiche Mantero, 1938; pag. 120).



Giovanni Comisso

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Guido Keller mi raccontò di avere formato in quei giorni una compagnia destinata alla guardia del Comandante, compagnia che aveva denominato «La Disperata». Molti soldati venuti volontari dall'Italia, essendo privi di documenti non erano stati accolti dal Comando e invece di andare via si erano accampati nei grandi cantieri navali della città. Andato a vedere cosa vi facevano, trovò che se ne stavano nudi a tuffarsi dalle prue delle navi immobilizzate, altri cercavano di manovrare vecchie locomotive che un tempo correvano tra Fiume e Budapest, altri arrampicati sulle gru, cantavano. Gli apparvero ebri e felici, li fece radunare e li passò in rassegna: erano tutti bellissimi, fierissimi e li giudicò i migliori soldati di Fiume. Inquadrò questi soldati che tutti chiamavano i disperati per la loro situazione di abbandono e li offerse al Comandante come una guardia personale. La sua decisione fece scandalo tra gli ufficiali superiori, ma il Comandante accettò l'offerta. Con la creazione di questa compagnia, Keller aveva cominciato a realizzare le sue idee di un nuovo ordine militare.


Grande parte del giorno questi nuovi soldati facevano esercizio di nuoto e di voga, cantavano e marciavano attraverso la città a torso nudo con calzoncini corti, non avevano obbligo di rimanere chiusi in caserma, ma gli stessi esercizi con la loro piacevolezza li persuadevano a tenersi raggruppati e alla sera per loro divertimento se ne andavano in una località deserta chiamata La torretta, dove divisi in due schiere iniziavano veri combattimenti a bombe a mano, e non mancavano i feriti (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso, 1951; pp. 59-60).


Il governo di Roma, la massoneria, la Banca Commerciale, e quasi tutti i partiti in lotta in Italia avevano in Fiume i loro emissari e costoro, anche legionari, si erano fatti avanti fiancheggiando D'Annunzio per influenzare le sue decisioni. Soprattutto si temeva in Italia che in Fiume si instaurasse un movimento radicalmente rivoluzionario in accordo con i partiti estremi e questi potessero trovare nell'esercito legionario quella forza militare che non avevano. (...) D'Annunzio, senza rinunciare ai nostri diritti sulla città italiana che voleva essere riunita alla patria, meditava intanto di assumere in sé e di accordare le idee migliori di tutti i movimenti politici e di conformarle alla più pura tradizione italiana. Questo per la politica interna, per quella estera meditava un'unione di tutti i popoli oppressi dalle potenze capitalistiche per ribellarsi alla loro egemonia. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; pag. 62)


Tu devi sapere che sei giunto in una città pericolosa per i tuoi giovani anni. Qui si fa senza alcun ritegno tutto ciò che si vuole. Le forme di vita più basse e più elevate qui s'alternano non altrimenti che la luce e le tenebre. (Giovanni Comisso, Il porto dell'amore, Treviso, Vianello, 1924; pag. 12).


Non ho mai visto ufficiali perdere le notti nel giocare alle carte, tutti i divertimenti erano indirizzati verso ebrezze immediate dei sensi. Durante la guerra certi nostri aviatori per sostenersi nei voli senza tregua, che avrebbero potuto addormentarli e perderli, usavano fiutare la cocaina. Alcuni di questi aviatori ne diffusero l'uso in Fiume, molti tenevano nel taschino della giubba una piccola scatola d'oro con la droga ravvivante. I miei amici la prendevano e invano volevano indurmi a provarla. Rispondevo loro che ero già in continuo stato di ebrezza. (...) Gli amori furono veramente senza limiti: la città fu effettivamente italianizzata nel sangue. Non si ebbero drammi di gelosia da parte di uomini, ma da parte di donne: le donne si disputavano l'italiano. Si vedevano gli arditi accompagnati dalle loro donne vestite di grigioverde. Nel disordine degli amori le malattie serpeggiavano diffondendosi... (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; pp. 73-75).


..Voi, serbo, avete comandato alla vostra famiglia col bastone. Noi invece comandiamo con l'amore. E la vostra razza a contatto con la nostra, si è squagliata come neve al sole. I vostri figli hanno sentito che noi comandiamo col bacio e sono venuti da noi. Il fatto è semplice, perché bisogna sapere che tutto nel mondo aspira all'amore. (Giovanni Comisso, Al vento dell'Adriatico, Torino, Fratelli Ribet Editori, 1928; pag. 103. E' la seconda edizione, con titolo modificato, de Il Porto dell'Amore). .


Guai se gli accadeva di preferire un reparto a un altro, ne sorgevano gelosie terribili, dove il reparto meno favorito andava a bloccare l'altro nella sua caserma puntando le mitragliatrici. Da prima a palazzo montava di guardia solo la Disperata, ma in seguito, per evitare che gli altri reparti ingelositi si accoltellassero con questa compagnia, dovette concedere per turno a tutti lo stesso onore. I suoi discorsi, i suoi proclami, furono belli come le sue migliori opere letterarie, certo i più influenti, perché i legionari a quelle parole non davano peso alla loro vita nel seguirle. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso, 1951; pp. 77-78).

Un giorno [Gabriele D'Annunzio] dalla finestra del suo ufficio vide gli arditi che se ne andavano a due a due presi per mano verso la collina e li indicò dicendo: «Guardate i miei soldati, se ne vanno a coppie come i soldati di Pericle» [nella seconda edizione del 1963 è riportato invece: «come la legione tebana»]. (...) A primavera faceva ogni giorno con un reparto diverso passeggiate per i monti e ritornava cantando con i soldati che tenevano rami fioriti infissi nella canna dei moschetti... (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; (pp. 77-78).


I legionari erano furenti contro il governo nazionale e nella rabbia si strappavano i distintivi dell'esercito italiano, al posto delle stellette si met-tevano i francobolli di Fiume. In Italia nessuno si era mosso a nostro favore, i partiti che dapprima ci avevano dato assistenza nulla fecero per noi. Tutta l'Italia ci avrebbe lasciati trucidare. Le truppe che ci erano venute ad assalire nella vigilia di Natale erano state eccitate con premi e con bevande. Il governo di Roma approfittò delle feste natalizie durante le quali non sarebbero usciti i giornali per compiere tranquillamente l'operazione. Il Comandante dalla nostra radio fece trasmettere a tutto il mondo l'annuncio del sacrificio mentre si compiva. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; pag. 111).

Amava la poesia e, poeta anche lui, vagheggiava la realizzazione della «Città di Vita», della città degli artisti e per gli artisti; città senza leggi e senza agenti d'ordine; senza cimiteri e senza banche. Una città isolata, magari in un isolotto del Mediterraneo, senza strade simmetriche e senza case standard. (Krimer, Incontro con Guido Keller, Tivoli, Officine Grafiche Mantero, 1938; pp. 85-86).

sotto estratto da fino al 1932 del movimento Futurista come pittore e come poeta.Dopo un soggiorno a Parigi, si legò al gruppo dei "Vàgeri" di Lorenzo Viani;dopo un lungo periodo esclusivamente all’attività letteraria e giornalisticatorna alla pittura nel 1950 con le "fantasie colorate"...... Benedetta Marinetti ha definito precisazioni del sogno, di stati di animo, di sentimenti..... ritmi di liberazione dal male, dal peso della vita, dalla disperazione, dal terrore, dal vuoto nero ........ ..........Enzo Carli, pur nella rigorosa e meditate coerenza delle sue soluzioni espressive e nell’attualità del suo linguaggio, non è paragonabile ad alcuna altra esperienza che appaia stilisticamente affine, sfugge a qualsiasi tentative di schematizzazione critica........dal profondo di un’anima inquieta che si sta rivelando a se stessa, la registrazione immediate e fedele di una vicenda spirituale imprevedibile, ma sempre infusa di un dolcissimo, trepido calore umano.......duecento mostre personali in Italia e all’estero....... Biennale di Milano, al Premio Internazionale del Fiorino, al Maggio di Bari, al Premio Silvestro Lega...........


...Mi corre l'obbligo di avvertire che il Furst è altresì fortemente indiziato come un professionista della pederastia (...). E il peggio è che i soggetti fatti segno delle oscene mire libidinose del Furst, apparterrebbero - a quanto pare - ai più bassi strati della gerarchia militare e della società (soldati, camerieri, facchini) in conseguenza di che la inchiesta da esperirsi, mediante raccolta delle testimonianze di tutti costoro, implicherebbe una inevitabile pubblicità. Ciò posto, e poiché il Furst è alle dirette dipendenze di V.S. io mi son fatto dovere di soprassedere agli accertamenti di cui trattasi, non senza significarle per altro che, data la corrente disistima e il disprezzo, che ormai avvolge il Furst, così nell'ambiente militare che in quello civile, converrebbe ed urgerebbe di addivenire al di lui allontanamento. Faccio inoltre presente che il Furst continua sfrontatamente a vivere da signore nell'albergo Europa, senza pagare, perloché il suo debito, che una ventina di giorni fa ammontava a 4569 corone, a quest'ora dev'essere sensibilmente accresciuto. (Sante Ceccherini, dal documento n. 738 25 gennaio 1920. Per gentile concessione della Fondazione del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera).


Sul suo onore di soldato, può negare egli d'avere (...) solennemente dichiarato a mio figlio, tenente di Vascello, che la sua posizione non era più originata da cause politiche, che non era più questione di monarchia o di repubblica, ma soltanto di profondi odii personali derivati da offese rivolte da legionarii a lui ed ai suoi carabinieri? E se non lo può negare perché non cercò di difendere la sua persona con i mezzi cavallereschi in uso e volle invece anteporla alla Santa Causa cui aveva solennemente giurato fede? E per un incidente spiacevole quale un ignobile furto compiuto da alcuni arditi fatti arrestare dal Comandante, non parve sproporzionata reazione un complotto armato, la violenta infrazione d'un giuramento di fedeltà alla Città; l'abbandono improvviso della Città stessa senza consentire nemmeno che si potesse supplire al principale servizio d'ordine venuto a mancare di colpo, da un'ora all'altra? Non ebbe il suo ultimatum al Comando, la forma di un ricatto? Il servizio di polizia che oggi fanno i suoi carabinieri alle stazioni di Mattuglie e di Trieste: lo zelo con cui cercano di arrestare tutti coloro che fino a ieri furono loro fratelli di fede e di legione, non ha tutto l'aspetto della feroce vendetta di gente delusa in qualche folle speranza? (...) E potrei continuare (...), domandando al Capitano Vadalà anche il perché egli passò prima la barra, e di corsa veloce, lasciando a me la cura di salvare i suoi carabinieri, e tante altre cose ancora; preferisco finire rimanendo (...) nel dubbio che i «profondi occhi dolcissimi» del Capitano Vadalà, citati dal suo corrispondente debbono avere anche, guardando l'azzurro mare del Carnaro, una tinta non lieve di rimorso. (Sante Ceccherini, Una vivace smentita del Generale Ceccherini al capitano Rocco Vadalà, Fiume, 26/5/1920).

Ludovico Toeplitz

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Da quale misteriosa voragine / erompe / questa sete / di ribellione / di rossa ribellione / che mi agita / che mi fa spasimare / urlare / piangere coll'ignoto che piange / incendiare con chi sogna i bagliori selvaggi / sulle putride macerie dell'odierno / fastello? // Chi mi ha insegnato / la parola / che so dire al cuore dell'uomo / affranto, / che so dire al coraggio dell'uomo / sgomento, / che so dire a chiunque mi guardi / negli occhi, / assetato di vita? // (...) Mia madre? / Forse. / Mio padre? Forse. / Entrambi senza saperlo // (...) Non essi. / Il sangue loro. // - Di mio nonno / Bonaventura / Il sangue che s'era macerato, / per secoli / nel ghetto di Varsavia. // Ebreo polacco. Frustato. Umiliato. / Disprezzato come la cosa immonda - // (...) Io sono il bastardo / di due razze avverse / da secoli. // (...) Ho l'altera sicurezza / dell'uno; / ho la ribellione dell'altro: / urlano in me / tutte le bastonate / tutte le ingiurie / tutti gli sputi / che l'uno ha dato all'altro. // (...) Uomo. / Crogiolo di civiltà. / Mescolamento di razze. / Liberazione. / Verità / Luce. / Vento. / Aria, aria, aria. // Sete di rinnovamento. / Ribellione. // Adorazione del Sole. (da Liberazione, in Ludovico Toeplitz, Si rinnova la vita, Firenze, R. Bemporad & Figlio Editori, 1922; pp. 197 - 205).


F.T. Marinetti

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Ai socialisti ufficiali noi domandiamo: 1) siete voi disposti come noi a liberare l'Italia dal Papato? 2) vendere il nostro patrimonio artistico per favorire tutte le classi povere e particolarmente il proletariato degli artisti? 3) abolire radicalmente tribunali, polizie, questure e carceri? Se non avete queste tre volontà rivoluzionarie, siete dei conservatori, archeologi clericali polizieschi e reazionari sotto la vostra vernice di comunismo rosso (...). Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione. Al vostro immenso sistema di ventri comunicanti e livellati, al vostro tedioso refettorio tesserato, noi opponiamo il nostro meraviglioso paradiso anarchico di libertà assoluta, arte, genialità, progresso, eroismo, fantasia, entusiasmo, gaiezza, varietà, novità, velocità, record. (...) Vi sono masse umane tenebrose flaccide, cieche senza luce né speranza né volontà. Le rimorchieremo. Vi sono anime che combattono senza generosità per conquistare il piedestallo, l'aureola o la posizione. Convertiremo queste anime meschine ad una alta eleganza spirituale. Bisogna dare a tutti la volontà di pensare, creare, svegliare, rinnovare, e distruggere in tutti la volontà di subire, conservare, plagiare. (...) Solo l'inebriante alcool dell'arte potrà finalmente sostituire e abolire il tedioso volgare e sanguinario alcool domenicale delle taverne del proletariato. (...) L'Arte e gli Artisti rivoluzionari al potere. (F.T. Marinetti, Al di là del comunismo in Futurismo e Fascismo, Foligno, Campitelli, 1924; pp. 215-218).


Grazie a noi il tempo verrà in cui la vita non sarà più semplicemente una vita di pane e di fatica, né una vita d'ozio, ma in cui la vita sarà vita-opera d'arte. Ogni uomo vivrà il suo miglior romanzo possibile. Gli spiriti più geniali vivranno il loro miglior poema possibile. Non vi saranno gare di rapacità né di prestigio. Gli uomini gareggeranno in ispirazione lirica, originalità, eleganza musicale, sorpresa, giocondità, elasticità spirituale. Non avremo il paradiso terrestre, ma l'inferno economico sarà rallegrato e pacificato dalle innumerevoli feste dell'Arte. (F.T. Marinetti, Al di là del comunismo in Futurismo e Fascismo, Foligno, Campitelli, 1924; pp. 220-221).

Cesare Cerati

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Sandro [Forti] fu, con me, tra i fondatori del giornale dei legionari. Forse, anche con Sandro, fu il futurismo che ci avvicinò. Ma ben più profondi motivi ci legarono. Io sognavo, Sandro ragionava. Era un costruttore, Sandro, ed infatti - dove gli fu possibile nonostante tutte le difficoltà - più tardi costruì.

Mario Cerati Amici dispersi . Tutti presi da un'idea che non rinnegammo mai, portammo il nostro contributo di fede e di lavoro alla edificazione della Città di Vita, i suoi Statuti restano, documento e promessa. Vivemmo insieme undici mesi, in quell'atmosfera di esaltazione rovente che non può esser compresa da chi non la sofferse (o godette). Poi portammo il giornale a Milano. Avevamo creduto che la nazione fosse matura per accogliere la nostra propaganda. Sapevamo che certe proclamate simpatie erano basate solo su interessi elettoralistici, ma contavamo su altre forze che poi solo in parte ci seguirono quando si giunse alle tragiche giornate del Natale. Comunque pagammo di persona, dimostrando - non fosse altro - la nostra buona fede e la sincerità delle nostre aspirazioni. (Cesare Cerati, Amici dispersi, dattiloscritto inedito, 1960 ca

Garibaldo Marussi

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Non si lagnava la gente: c'era nell'aria odore di vita provvisoria; come se ognuno fosse preso da un sogno che sarebbe, inevitabilmente, svanito. (...) Ora la città respirava e il Palazzo era diventato di tutti. Non vi badavano quasi e se non fosse stato per il Comandante che lo abitava nessuno avrebbe più pensato a lui che invece, era destinato a sostenere una parte di estrema importanza nella vita della città. Attorno a lui si assiepava il popolo quando aveva bisogno di saziare la sua fame con le parole. Allora la massa diventava allucinata, strepitava e urlava per ore intere sotto alle sue mura, aggrappata alle lance delle inferriate, appiattita sotto i lauri, sbattuta contro le colonne e sulla ghiaia, perché il popolo sopravveniente a ondate, disertate le case, abbandonato il lavoro, aveva necessità di sentirsi svegliare e scuotere. Tutto pareva dovesse durare millenni. La vita scorreva radicata inconsapevolmente a quelle cose: gli uomini venuti di là dal mare, di là dalle montagne, giovani e vecchi, pensavano solo a un eterno presente. Era un mondo, quello, che viveva un suo clima innaturale, rumore d'armi, canzoni, discorsi. L'ebbrezza dell'avventura aveva avvolto tutti col suo fantasmagorico mantello e li faceva credere in forme surreali di vita (...). Venivano a Fiume, come al tempio dei miracoli, i rappresentanti dei popoli oppressi (...).

Primo Anniversario del 20 settembre (1920) . Passavano tutti per le sale del Palazzo ove il poeta accendeva, viva, avanti ai loro occhi la fittizia realtà dei sogni. I detronizzati, gli spodestati, gli esiliati, gli oppressi, venivano a quella nuova mecca, collocata sulle sponde orientali dell'Adriatico, per fiutare l'ascis di cui avevano bisogno onde affrontare ancora la vita e cancellare le vecchie, continue delusioni. (Garibaldo Marussi, Assalto al palazzo, Ancona, All'Insegna del Conero, 1940; pg. 14 e pp. 144-146).


Saper conquistare un contratto equo non è grande poesia? L'incontro viene riassunto nel manifesto Questo basta e non basta (Fiume d'Italia, 9 aprile 1920):

E in quella sala decente c'era veramente la figura della fame, c'era veramente la figura della miseria. Rivivevano le imagini delle mie domeniche d'udienza, con un rilievo crudele: le donne scarne, quasi esangui, esauste, che avevano venduto l'ultima masserizia e l'ultimo cencio; i bambini macilenti, (...) con un insostenibile sguardo che pareva passare attraverso le palpebre pavonazze; gli uomini malati, non so che fioche e roche disperazioni avvolte in una sciarpa di lana senza colore, avanzi insepolti della fatica che scava i polmoni, curva le ossa, brucia gli occhi, corrode le viscere. (...) E penavo per loro, e lottavo per loro. (...) Disputavo per loro il tozzo e il centesimo, come il padre, come il marito, come il fratello, come il figliuolo, come tutti quegli uomini amari che erano mal seduti su quelle poltrone molli e avevano dietro di sé il focolare, il desco, la culla. Questo costa tanto, e quest'altro costa tanto. Questo conviene, e questo non conviene. Questo basta, e questo non basta. Trattavamo dunque del ventre? No, trattavamo anche dell'anima. Facevamo anche un'opera d'anima. Di tratto in tratto passavano sopra noi il soffio umano e il fremito umano di quelli che laggiù radunati aspettavano all'aria aperta, con le mani libere dagli arnesi del lavoro, con il cuore libero dall'oppressione della servitù, con il dolore avido di chi sta per creare inconsapevolmente. (...) L'ordine nuovo non può sorgere se non dal tumulto del fervore e della lotta, misurato dal battito di tutti i cuori fraterni. E non può essere se non un ordine lirico, nel senso vigoroso e impetuoso della parola. Ogni vita nuova d'una gente nobile è uno sforzo lirico. Ogni sentimento unanime e creatore è una potenza lirica. Per ciò è buono ed è giusto che ne sia oggi interprete un poeta armato. Questo basta e non basta. (...)


C'erano da una parte i datori di lavoro e dall'altra parte i lavoratori. Mi venne fatto di guardare le mani degli uni e degli altri: mani che si disponevano a serrare e mani che si disponevano a strappare. Bisognava finirla prima di sera. La declinazione del sole accompagnava la lotta. (...) Che m'importa delle dottrine? Ieri fu compiuta un'azione plastica, un'opera di vita. Quelli che vangano ed arano la terra, quelli che scavano il carbone e i metalli, quelli che fondono il ferro, quelli che si consumano all'ardore delle officine, quelli portano la vita eterna come io la porto...

carta carnaro

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L'articolo XIV recita:

Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei comuni giurati: la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l'uomo rifatto intero dalla libertà; l'uomo intero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono; il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo.

sagra tutte fiamme

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La sagra di tutte le fiamme, (Fiume, 1 novembre 1920): . La radunata dei Legionarii nel Teatro Fenice, alle 11 di ieri mattina, superò per ardore e per splendore tutte le altre, dal settembre di Ronchi a questa vigilia del settembre di libertà. (...) [Parla d'Annunzio] In mezzo a questo campo trincerato noi abbiamo posto le fondamenta d'una città di vita, d'una città novissima. (...) Qui, in questo breve libro, è il disegno della vostra architettura, è il lineamento del vostro edifizio. Voi avete posto mano a queste pagine. Queste pagine sono vostre. (...) Siamo liberi e nuovi, non oggi soltanto, ma dal giorno in cui la nostra prima autoblindata spezzò la barra dei buffoni con le due branche dei suoi tagliafili. La volontà di rivolta e la volontà di rinnovazione hanno creato in noi questo sentimento di libertà non conosciuto neppure dai più rapidi precursori. Non disobbediamo a nessuno perché obbediamo all'amore. Non prendiamo nulla perché tutto è nostro. (...) Io mi propongo di fare del mio esercito uno strumento di guerra sempre più vigoroso e spedito. Lungi dal reprimere quello spirito di autonomia che si va manifestando nei varii reparti, io voglio anzi secondarlo. Ogni reparto dev'essere una perfetta unità tattica, dotato di tutti quei mezzi che gli consentano di svolgere efficacemente un'operazione senz'altro concorso. (...) A ogni reparto io voglio lasciare una larga autonomia nelle questioni interne, anche quando per necessità tattiche mi convenisse formare aggruppamenti. A ogni reparto voglio lasciare una certa libertà nella foggia ma non senza stile, cosicché l'uno si distingua nobilmente dall'altro e ciascuno rafforzi il suo rilievo e approfondisca il suo stampo...

Ferdinando Gerra

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Nella notte il governo provvisorio della Reggenza emanava il seguente comunicato ufficiale: «Si annunzia che nel convegno di Rapallo fu stabilito fra il Governo di Roma e il Governo di Belgrado un accordo definitivo, il quale riduce la continuità fra la terra della Patria e la terra della Reggenza a una stretta linea litoranea tagiata nella zona a ostroponente di Castua. Si annunzia che nello stesso accordo furono definiti i termini di un nominato Stato indipendente di Fiume costretto nei confini dell'antico Corpus Separatum ungarico. Ora il Governo della Reggenza italiana del Carnaro dichiara di non poter riconoscere ai delegati convenuti a Rapallo il diritto di determinare il territorio e i confini di essa Reggenza senza che al dibattito siano stati ammessi i suoi Delegati: e aggiunge che ritiene non accettabili e non attuabili le deliberazioni illegali... (Ferdinando Gerra, L'impresa di Fiume, Milano, Longanesi, 1966: pag. 540).


Yoga=Unione! Unione di che cosa? Dei nostri principi umani che sono differenziati dalle nostre statiche ovagrigiastre perplessità di artificiosi costruttori di più o meno idiote tavole di valori allo scopo d'insegnamento di quel volapuk delle passioni che è chiamato MORALE. Un certo numero di spregiudicati fiumani si riuniscono per iniziare una potente lotta contro le persone, lotta che sarà vinta dagli individui. (...) Decidono codesti sciagurati che vogliono guarire l'epidermide terrestre dalla noiosa malattia dermosifilopatica chiamata UOMO PERSONALE (...) decidono di insegnare la scienza dell'Amore, cioè della Trasformazione. L'Amore come sensazione, come sentimento, come idea; interpretano la filosofia non come amore della Scienza, ma come Scienza. dell'Amore - decidono di fornire all'uomo il necessario per distruggere il Cielo per dare il Senso iniziatico della Terra. (dal manifesto Fondazione a Fiume della Yoga in Gerra 1966: pp. 482-483)

Zara il volantino

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I morituri vi salutano. I morituri salutano la Patria vicina e la Patria lontana. Essi dedicano il loro sacrifizio all'avvenire. (...) Il vittoriosissimo Birro della disfatta ammassa intorno a Fiume i suoi Carabinieri. La città è stretta da quei gendarmi che l'antecessore adoperava a schiaffeggiare i mutilati, ad atterrare i martiri sopravvissuti, a calpestare il tricolore. (...) Eia, fratelli! Se sarò colpito nella gola, troverò tuttavia la forza di sputare il mio sangue e di gettare il mio grido. Turatevi gli orecchi con un po' di fango fiscale. Viva l'Italia! . E il 5 dicembre fa lanciare su Zara il volantino Un uomo è perduto. Un uomo resta, (Fiume, 5 dicembre 1920): Che cosa sia la Patria lo sapete voi che per averla, per riaverla, soffrite da quindici mesi tutte le tutte le torture e tutte le miserie (...). Sapete voi quel che è accaduto a Zara? (...) I disertori di Zara hanno percosso col calcio del fucile le popolane urlanti che tentavano di aggrapparsi a loro perché non abbandonassero la città infelice che li aveva ricevuti in ginocchio, che li aveva tenuti in religioso amore, che non aveva mai dubitato del loro giuramento. (...) Udite. Il Governatore della Dalmazia e delle Isole Curzolane, l'Ammiraglio Enrico Millo, il 2 dicembre, in Zara la Santa, ai cittadini del Comitato di salute Pubblica silenziosi e severi, in presenza del generale Taranto e del capitano di vascello Bucci, complici indifferenti, dichiarò di essere intero al servigio del regio Governo. (...) Egli ha risposto: «Obbedisco». Io rispondo: «Disobbedisco». (...) Un uomo è perduto. Un uomo resta. Rinnovelliamo il ritornello della vecchia canzone repubblicana: «Finché ci sieno tre uomini in piedi, ci può essere un regno di meno nel mondo»...

Agli Italiani

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Agli Italiani (Fiume, Stab. Tip. de «La Vedetta d'Italia», 26 dicembre 1920): . Ci sono di là dall'Adriatico Italiani che, incapaci di sollevarsi e di fare giustizia, sentano almeno la vergogna? (...) O vigliacchi d'Italia, sono tutt'ora vivo e implacabile. E, mentre m'ero preparato ieri al sacrifizio e avevo già confortato la mia anima, oggi mi dispongo a difendere con tutte le armi la mia vita. L'ho offerta cento e cento volte nella mia guerra sorridendo. Ma non vale la pena di gettarla oggi in servigio di un popolo che non si cura di distogliere neppure per un attimo dalle gozzoviglie natalizie la sua ingordigia, mentre il suo Governo fa assassinare con fredda determinazione una gente di sublime virtù come questa che da sedici mesi patisce e lotta al nostro fianco e non è mai stanca di patire e di lottare. Hanno coperto l'assassinio tre giorni di silenzio bene scelti. E nel quarto giorno l'assassinio sarà glorificato.

Dicembre 1920. D'Annunzio con i legionari nei pressi di una barriera a difesa della città . O vecchia Italia, tieniti il tuo vecchio che di te è degno. Noi siamo d'un'altra Patria e crediamo negli eroi.


Era il principio della primavera 1921. Fiume era come un libro aperto, su cui qualcuno abbia interrotto la lettura, e io entrai di colpo in quell'atmosfera, e i miei occhi caddero sulla pagina culminante e drammatica. (...) Fiume era in un regime stranissimo da cui poi la liberò il colpo di dopo le elezioni. Porto Baros era in mano dei legionari, e davanti al porto grande stazionava una nave da guerra, il «Marsala». I bacini del grande porto, deserti, le macchine e le gru inerti come scheletri (...). Ma a Porto Baros quattro bastimenti si vedevano da lontano animatissimi, dal faro sventolava una bandiera tricolore, sulla diga presso il faro la tenda delle sentinelle del presidio assediato, presso la banchina quattro carabinieri di sentinella, e di fronte a loro uno dei legionari del presidio assediato, col fucile, il fez nero, la camicia rossa. Dal «Marsala» ancorato nel porto coi suoi cannoni protesi verso la città, si potevano vedere assai bene con un cannocchiale quelli che chiamavano ribelli. (...) Mi ricordo certi pomeriggi stagnanti in cui dall'Eneo quei disperati facevano sentire lo scoppio delle loro granate a mano che rompevano la monotonia dell'assedio e dell'attesa con le loro innocue esercitazioni. Erano come scoppi di collera. (...) Erano come belve in gabbia, e rifacevano mille volte la strada lungo il bastione del faro. Li comandava il tenente Tonacci. (...) Fiume era stata per qualche tempo il palcoscenico su cui si erano puntati stupiti gli occhi del mondo, e ora si avvolgeva in una inerzia infinita e in una malinconia da esilio. Il dramma creato da D'Annunzio, anche se egli era assente, si svolgeva fino all'ultimo atto. E io vidi quest'ultimo atto una mattina. Sul mare un poco gonfio, navi si delinearono raggiungendo l'orizzonte e non lasciando più che gli avvolgimenti del fumo. Erano le navi che riportavano ad Ancona gli assediati di porto Baros stremati. (...) .

Corrado Alvaro

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E io non vedevo più le sagome delle navi, ma mi pareva di scorgere gigantesco un cumulo d'uomini sdraiati sul ponte della nave, guardare il mare conteso e la costa di Fiume che tra poco sarebbe stata un ricordo, e verso cui sarebbero tante volte tornati i pensieri, come alle contrade dove si è stati giovani, forti, audaci. (...) Dico che a Fiume in quei giorni non ci si stava bene. La città viveva solo in piazza e in qualche caffè (...). Si continuò così a incollare sulle lettere francobolli con la testa del Comandante e a vedere nei negozi fotografie delle cinque giornate, a guardare le bandiere tricolori esposte alle finestre, in un'aria di aspettazione, e ad osservare con una stanca curiosità i segni della città che divennero famosi nei giornali. (...) Le prime notizie della votazione che risultava favorevole all'autonomia della città, le portò qualcuno con un sorriso storto e il viso livido. (...) Un'automobile piombò sulla piazza, carica d'uomini, e ci si sforzò bene a guardare se quelle aste che portavano in mano erano fucili. Una donna, coi capelli al vento, in piedi tra tutti quei giovani, gridava un grido di guerra, e per quanto ci si sia abituati a vedere codeste cose nei simboli patriottici, tuttavia non si poté fare a meno di pensare al suo sesso che là in mezzo diveniva aspro e nuovo (...). Nelle sale del palazzo dove eravamo entrati a chiedere la verità, v'era una folla di donne e di soldati vestiti da arditi. Una di quelle piangeva davanti a un tavolo da cui eran volate in terra le carte, e uno di codesti soldati gridava afferrandola tra le braccia: «Non piangere. Ci siamo qua noi». (...) Ma quando tentammo di parlare con un capo, un capitano siciliano, compreso dal suo ufficio, ci pregava di aspettare, dicendoci che la situazione era grave, che noi non potevamo telegrafare perché a Fiume c'era l'Italia, che Fiume era contro tutto il mondo, che tutti erano morti, che non esisteva più nulla e nessuno (Corrado Alvaro, «Fiume 1921», in Roma vestita di nuovo, Milano, Bompiani, 1957; pp. 191-198).





== Tra il 1921 e il 1925 i legionari cercheranno senza successo di organizzarsi come forza politica e saranno oggetto, insieme agli arditi, delle rappresaglie poliziesche del governo mussoliniano, subendo pestaggi, perquisizioni, arresti. Proveranno in tutti i modi a coinvolgere il «Comandante» nelle loro iniziative, ma è del tutto evidente che le battaglie parlamentari o associazionistiche non potevano minimamente riguardarlo. da [3]==