Utente:Fleurscaptives/Sandbox

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La denuncia sociale espressa da una canzone del genere non appartiene al singolo autore ma ad un intero gruppo di individui. Per questo motivo, il messaggio veicolato da un brano assume una rilevanza maggiore rispetto all’autore, che occupa a volte un ruolo marginale. Tuttavia, nell'età contemporanea, non sono rari artisti musicali divenuti popolari in tutto il mondo. Molti autori di canzoni di protesta, inoltre, hanno anche associato alla loro carriera musicale attività di Attivismo, a testimonianza del proprio impegno politico e sociale.[1]

Dylan è l’autore del famoso brano pacifista Blowin' in the Wind, scritto nel 1963, alla vigilia della Guerra del Vietnam e considerato una delle più conosciute canzoni di protesta. Egli stesso, tuttavia, lo definì "non una canzone di protesta o simili, poiché io non scrivo canzoni di protesta… L’ho scritta come qualcosa che doveva essere detto, da un individuo a un altro".[2]

America Latina

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Il Cile e la Nueva Canción Chilena

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In Cile, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, sorse un movimento musicale noto come Nueva Canción Chilena, simile ad altri nati in America Latina nello stesso periodo. Tra i principali esponenti del movimento ricordiamo Violeta Parra, gli Inti-Illimani e Víctor Jara.

Un merito da riconoscere al genere fu la ripresa di melodie e di strumenti tradizionali cileni, lontani dai modelli europei già largamente diffusi nel paese. La tematica più affrontata dagli esponenti della Nueva Canción era la denuncia contro la povertà e l'ingiustizia sociale. Il movimento cominciò presto ad ispirare studenti e intellettuali. Nei testi, venivano raccontate situazioni di disagio vissute dalle fasce più oppresse della popolazione. In Preguntas por Puerto Montt, infatti, Jara aveva attaccato direttamente il primo ministro cileno perché responsabile di un eccidio di contadini nel 1969. Alcuni brani simbolo della Nueva Canción vennero utilizzati da Salvador Allende durante la sua campagna presidenziale. L'anno successivo. In seguito al colpo di stato del 1973, gli esponenti del movimento cominciarono ad essere perseguitati per via dei loro ideali di sinistra. Molti furono costretti a lasciare il paese, e lo stesso Jara venne torturato e ucciso. Alcuni fra i brani più famosi di Victor Jara, come El Derecho de Vivir en Paz, sono oggi divenuti un simbolo, e vengono ancora intonati durante le proteste nel paese.[3]

Più recentemente, nel novembre 2019, il canto femminista cileno Un Violador en Tu Camino, eseguito per la prima volta durante le proteste di piazza dello stesso anno, è diventato virale in tutto il mondo.[4]

Il 2014 fu l'anno della cosiddetta Rivoluzione degli ombrelli, iniziata con lo scopo di ottenere dalla Cina il suffragio universale nel paese. L'inno non ufficiale intonato dai partecipanti durante le proteste fu il brano Boundless Oceans, Vast Skies, del gruppo rock di Hong Kong Beyond. Inoltre, una versione in cantonese del brano Do You Hear the People Sing?, dal musical Les Misérables, venne utilizzata come canzone di protesta simbolo del movimento. Anche in seguito, soprattutto durante i disordini e le proteste per la democrazia del 2019-2020, la musica ha continuato ad avere un ruolo fondamentale. I brani del 2014, infatti, sono stati utilizzati dai manifestanti anche in questa occasione. [5] Nel 2019, inoltre, il brano, Glory to Hong Kong, scritto da un anonimo, ha cominciato a circolare online fino a divenire la canzone simbolo delle proteste di quell'anno. L'approvazione di una nuova legge sulla sicurezza, nel giugno del 2020, ha portato ad un'ulteriore privazione della libertà di espressione. Ad esempio, riprodurre o intonare il brano Glory to Hong Kong è stato vietato in tutte le scuole del paese.[6]

I Canti della Resistenza sono un'insieme di canzoni popolari legate alla Resistenza italiana, insieme di movimenti opposti all'occupazione nazifascista durante la Seconda guerra mondiale. Il tema principale affrontato da questi brani è la lotta per la liberazione dell'Italia e dei suoi cittadini. Il brano Bella Ciao, sebbene abbia origini molto dibattute, è fra le canzoni più conosciute sul tema della Resistenza e può essere ritenuta una canzone di protesta. Bella Ciao viene ancora oggi intonata in più occasioni durante proteste per la libertà in Italia e nel resto del mondo.[7]

Nel 1957, a Torino, si formarono i Cantacronache, un complesso di poeti e musicisti che, nelle loro composizioni, denunciavano le problematiche dell'Italia del secondo dopoguerra. I Cantacronache sono considerati tra le maggiori influenze della canzone d'autore italiana degli anni Sessanta e Settanta, i cui autori pubblicarono numerosi brani di protesta durante gli anni della contestazione. Tra i cantautori italiani più influenti vi furono Fabrizio De André, Francesco Guccini, Rino Gaetano, Franco Battiato, Eugenio Finardi e altri.[8] Tra le canzoni di protesta del genere può essere citata La guerra di Piero, un brano di De André del 1964 contro la guerra.[9]

Regno Unito e Irlanda

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Gran Bretagna

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I brani della musica tradizionale irlandese che possono essere considerati canzoni di protesta sono numerosi. Nel corso della storia, i repubblicani irlandesi li hanno utilizzati per veicolare idee di protesta contro il predominio inglese sull’isola. Alcune ballate risalgono persino al diciottesimo secolo. Il loro scopo era, inizialmente, accendere uno spirito di ribellione nella gente comune. I temi affrontati sono numerosi: la libertà, la discriminazione religiosa, l'anticolonialismo, il repubblicanesimo.[10] Gli strumenti principali utilizzati erano la chitarra acustica, il Fiddle, il Flauto, le Uilleann pipes, l’Arpa celtica e altri. Tra gli esempi più conosciuti di canzoni del genere può essere citata Erin Go Bragh, scritta nel 1920 durante la guerra d'indipendenza irlandese.

Le ballate tradizionali vennero riscoperte in seguito, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, a causa dell'inizio del Conflitto nordirlandese (o Troubles), durato fino alla soglia del ventunesimo secolo. Il clima turbolento portò alla composizione di brani come Freedom's Sons. Di questo periodo è anche il brano Come Out Ye Black and Tans, scritta su una rivolta avvenuta a Dublino durante la guerra d'indipendenza e sedata dall'intervento dei soldati inglesi. La canzone è stata resa celebre dai The Wolfe Tones con la loro versione del 1972. [11] Nel 1972, Tommy Skelly scrisse Go On Home British Soldiers, in cui viene ripercorsa la storia della resistenza irlandese contro il dominio inglese.

Nella seconda metà del ventesimo secolo, in più, molti altri artisti celebri affrontarono il tema nella loro musica, nel tentativo di dare visibilità a ciò che stava accadendo oltremanica. La maggior parte di questi brani, più che invitare l'ascoltatore a ribellarsi, esortano le due parti alla pace e alla fine del conflitto. L’inglese Paul McCartney scrisse Give Ireland back to the Irish in seguito ai fatti del 30 gennaio 1972. Il brano scalò rapidamente le classifiche britanniche pur essendo stato bandito dalla BBC. Anche un altro ex-beatle, John Lennon, pubblicò nello stesso anno il brano Sunday Bloody Sunday, in cui attaccava duramente le intenzioni colonizzatrici degli inglesi. [12] Anche diversi artisti nordirlandesi affrontarono il tema. Fra gli altri, vi fu il gruppo punk rock di Belfast Stiff Little Fingers che, nel 1979, pubblicò l'album Inflammable Material. Nel brano Suspect Device, in particolare, presentano in modo efficace la situazione di emergenza che il loro paese stava vivendo in quel periodo. [13] Nel 1983, il gruppo rock irlandese U2 pubblica Sunday Bloody Sunday, un brano pacifista e fra i più conosciuti sul tema. Bono, cantante del gruppo e autore del testo, la descrisse come "la reazione incredula e scandalizzata di un giovane di fronte all'odio e alla violenza".[14]

All’interno della storia della musica degli Stati Uniti, la canzone di protesta ha sempre avuto una grande importanza, e il catalogo di canzoni del genere è molto vasto. I temi affrontati maggiormente sono: la povertà, la guerra e la discriminazione razziale e sociale. Alcuni dei brani fra i più conosciuti risalgono addirittura al 1776, anno della firma della dichiarazione d'indipendenza.

Le prime canzoni di protesta diffuse nel paese affrontavano la tematica della schiavitù, e circolavano fra gli stessi schiavi. Ne è un esempio il brano Go Down Moses (Let My People Go), di forte ispirazione biblica e religiosa. Numerose canzoni di protesta si diffusero largamente soprattutto durante la Guerra di secessione. Fu allora che si iniziarono a scrivere versi da abbinare a motivi tradizionali e patriottici. Ricordiamo, ad esempio, Battle Hymn of the Republic, il cui testo fu scritto dall'abolizionista Julia Ward Howe. Il brano divenne presto un inno per le forze dell'Unione. [15]

La musica ha continuato ad essere un potente mezzo di protesta anche nel secolo scorso, e si è rivelata cruciale in alcuni momenti della storia americana contemporanea. Nei primi anni del Novecento, la nascita dei sindacati nel paese favorì la scrittura di testi sui diritti dei lavoratori.

Nel 1905 venne fondata la IWW, associazione operaia attiva nelle principali città industriali americane. Gli operai iscritti alla IWW cominciarono presto a diffondere libretti contenenti testi di brani da intonare durante gli scioperi. Allora, la classe operaia, formata soprattutto da immigrati, era sfruttata e godeva di un numero minimo di diritti. Tra i maggiori autori di tali brani vi fu Joe Hill, un immigrato svedese considerato un eroe dal movimento operaio statunitense. Il brano più celebre di Hill è probabilmente la parodia della canzone religiosa In the Sweet Bye and Bye, ovvero The Preacher and the Slave. Il testo scritto da Hill critica con ironia l'idea di abbandonare una causa terrena per sperare, invece, nella salvezza eterna. [16]

La crisi del 1929 inasprì ancora di più la condizione dei lavoratori e ispirò cantautori come Woody Guthrie, destinato a divenire una delle figure più importanti del folk americano. Guthrie cominciò a girare il paese, esibendosi in numerose assemblee di lavoratori. Nel 1940, raccolse e pubblicò l'album di protesta Dust Bowl Ballads. [15]

L'anno seguente, alcuni studenti ed ex studenti universitari formarono a New York il primo gruppo folk di protesta statunitense, gli Almanac Singers. Tra i fondatori del complesso vi furono Pete Seeger e Lee Hays. Il gruppo effettuò numerosi concerti nei vari stati americani, eseguendo brani in supporto dei lavoratori e contro la guerra in Europa. Alcuni dei loro testi, inoltre, sostenevano il non-interventismo degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Sempre nel 1941, pubblicarono l'album Songs For John Doe, che conteneva sei canzoni contro la guerra, dal testo e dalla musica originale, ma che sentiva la forte influenza delle ballate tradizionali americane. Dopo soli due anni, gli Almanac Singers si sciolsero, ma l'esperienza contribuì a consolidare la fama di Guthrie e di altri cantautori come Seeger, Josh White e Cisco Houston. [17]

Negli Stati Uniti del secondo dopoguerra, la musica assunse un ruolo cruciale nelle proteste contro il segregazionismo e a favore del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Pete Seeger riprese il brano I’ll Overcome Some Day, scritto nel 1901 dal pastore afroamericano Charles Albert Tindley. Ne modificò parte del testo e cambiò il titolo in We Shall Overcome. La versione di Seeger divenne, ed è ancora oggi, sfruttata da più movimenti di protesta, anche a causa della melodia facile da replicare e delle ripetizioni presenti nella struttura del brano. La canzone assunse presto una grande popolarità, tanto che Martin Luther King ne citò alcune parole in un discorso del febbraio 1965. Nello stesso anno, anche il presidente americano Lyndon B. Johnson citò i primi versi del brano quando firmò il Voting Rights Act.[18]

Gli anni Sessanta furono un periodo fondamentale per la musica di protesta. Il già citato folk subì le influenze di altri generi come il gospel e il rock. A partire dal 1963, i brani di Bob Dylan, Joan Baez e Phil Ochs ispirarono un'intera generazione. [15] Con l'evolversi dei movimenti di contestazione, le canzoni di protesta divennero sempre più popolari. Tali brani sostenevano ancora la lotta per i diritti civili, esprimendosi contro qualsiasi discriminazione. Successivamente, con l'inizio della Guerra in Vietnam, numerosi cantautori iniziarono a veicolare idee dichiaratamente pacifiste. Tra i brani di Bob Dylan, la figura più rilevante del genere, ricordiamo, oltre alla già citata Blowin' in the Wind, anche The Times They Are a-Changin', la ballata The Lonesome Death of Hattie Carroll o A Hard Rain's A-Gonna Fall, un avvertimento contro i pericoli del nucleare.

Il successo del folk, tuttavia, fu molto breve. Nel giro di pochi anni le canzoni di protesta persero l'interesse del grande pubblico. I testi divennero sempre meno importanti e non più rivolti a una specifica questione, ma al malcontento generale. Nel 1965, inoltre, lo stesso Dylan abbandonò la chitarra acustica in favore di un suono più moderno. Nacque così un nuovo genere, il folk rock. Dylan scelse di non cantare più canzoni di protesta, preferendo affrontare nella sua musica temi che non riguardassero questioni nazionali. Nella seconda metà del decennio, le canzoni di protesta non erano più passate nelle maggiori radio americane. La guerra ancora in corso, però, invogliò altri autori a comporre brani in cui esternare sentimenti pacifisti. Tra gli altri, si ricordano Waist Deep in the Big Muddy di Pete Seeger, ma anche We Didn't Know di Tom Paxton, brano del 1965 in cui la popolazione americana viene accusata di fingere di non essere consapevole delle atrocità commesse in Vietnam durante la guerra. [19]

Da allora, il rock rimase per diversi anni il genere principale attraverso cui dare voce a determinati problemi sociali. Verso la fine degli anni Settanta, la protesta in musica ritrovò nuovi stimoli nella rabbia del punk rock, genere dalla forte connotazione politica, e, in seguito, dell'hardcore. Nel 1985, il gruppo hardcore Dead Kennedys pubblicò il brano Stars and Stripes of Corruption, caratterizzato da un testo fortemente critico contro il sistema americano. Nello stesso anno, i Ramones attaccarono Reagan in My Brain Is Hanging Upside Down (Bonzo Goes to Bitburg), in seguito allo scandalo causato dalla visita del presidente presso un cimitero di guerra tedesco. Nel 1991, alla vigilia della Guerra del Golfo, i Fugazi pubblicarono KYEO. Tra le altre canzoni di protesta del genere vi è anche la celebre Killing in the Name, singolo della band di Los Angeles Rage Against the Machine. Il brano venne scritto dopo le rivolte di Los Angeles del 1992 e denuncia episodi di brutalità della polizia e, in generale, delle forze dell'ordine statunitensi.[20]

Negli anni Novanta, inoltre, emerse il movimento riot grrrl, che condivideva la stessa aggressività del punk rock. Tra i gruppi più conosciuti del genere vi erano Bikini Kill e Babes in Toyland, i quali, nei loro testi, si esprimevano contro il sessismo e la discriminazione di genere.

Negli stessi anni, anche l'hip hop iniziò a diventare un genere sempre più popolare. Già negli anni Ottanta, il brano conscious rap di Grandmaster Flash The Message aveva messo in luce le condizioni di vita precarie degli afroamericani poveri. Pochi anni dopo, il gruppo di Compton N.W.A pubblicò Fuck tha Police, un altro brano molto popolare sulla brutalità delle forze dell'ordine contro le minoranze. Nei primi anni Novanta, all'inizio della Guerra del Golfo, i rapper Paris e Ice Cube pubblicarono rispettivamente i brani Bush Killa e I Wanna Kill Sam, entrambi critiche pungenti contro il presidente Bush. Nel 1993, Tupac scrisse Keep Ya Head Up, una canzone di protesta contro il sessismo nella scena hip hop dell'epoca. Il testo affronta anche altre tematiche come la povertà, il razzismo e la guerra.

Più recentemente, la nascita del movimento Black Lives Matter ha portato alla realizzazione di numerosi brani con tematiche antirazziste. Ne sono un esempio Freedom, brano della cantante pop Beyoncé, e Alright del rapper Kendrick Lamar, i cui versi sono intonati frequentemente dalla folla durante le proteste del movimento.[21]

  1. ^ Elizabeth J. Kizer, Protest song lyrics as rhetoric, in Popular Music and Society, vol. 9, n. 1, 1983-01, pp. 3–11, DOI:10.1080/03007768308591202. URL consultato il 14 novembre 2020.
  2. ^ The Political Bob Dylan, su Dissent Magazine. URL consultato il 14 novembre 2020.
  3. ^ (EN) George Torres, Encyclopedia of Latin American Popular Music, ABC-CLIO, 27 marzo 2013, ISBN 978-0-313-08794-3. URL consultato il 16 novembre 2020.
  4. ^ (EN) Charis McGowan, Chilean anti-rape anthem becomes international feminist phenomenon, in The Guardian, 6 dicembre 2019. URL consultato il 16 novembre 2020.
  5. ^ (EN) September 18, 2019 | Ho Chak Law | Comments, Do You Hear the People Sing? A Summer of Protest Music in Hong Kong, su Smithsonian Center for Folklife and Cultural Heritage. URL consultato l'11 dicembre 2020.
  6. ^ (EN) A brief history of HK protest music, su MCLC Resource Center, 18 luglio 2020. URL consultato il 20 dicembre 2020.
  7. ^ La vera storia di “”Bella ciao”, che non venne mai cantata nella Resistenza, su lanostrastoria.corriere.it. URL consultato il 4 gennaio 2021.
  8. ^ La canzone d'autore in Italia in "Enciclopedia Italiana", su www.treccani.it. URL consultato il 4 gennaio 2021.
  9. ^ Dov'è finita la musica di protesta in Italia?, su Rockit.it. URL consultato il 4 gennaio 2021.
  10. ^ (EN) Richard Parfitt, Musical Culture and the Spirit of Irish Nationalism, 1848–1972, Routledge, 19 agosto 2019, ISBN 978-1-000-51763-7. URL consultato il 15 novembre 2020.
  11. ^ (EN) Deirdre Falvey, Come Out Ye Black and Tans: Think you know what it’s about? You probably don’t, su The Irish Times. URL consultato il 14 novembre 2020.
  12. ^ (EN) Stephen Millar, Sounding Dissent: Rebel Songs, Resistance, and Irish Republicanism, University of Michigan Press, 2020, ISBN 978-0-472-13194-5. URL consultato il 14 novembre 2020.
  13. ^ Canzoni contro la guerra: Stiff Little Fingers - Suspect Device, su www.antiwarsongs.org. URL consultato il 14 novembre 2020.
  14. ^ Canzoni contro la guerra: U2 - Sunday Bloody Sunday, su www.antiwarsongs.org. URL consultato il 14 novembre 2020.
  15. ^ a b c Independent Lens . STRANGE FRUIT . Protest Music Overview | PBS, su www.pbs.org. URL consultato il 16 novembre 2020.
  16. ^ (EN) Joe Hill | American songwriter and labour organizer, su Encyclopedia Britannica. URL consultato il 5 dicembre 2020.
  17. ^ R. Serge Denisoff, "Take It Easy, but Take It": The Almanac Singers, in The Journal of American Folklore, vol. 83, n. 327, 1970, pp. 21–32, DOI:10.2307/538779. URL consultato il 5 dicembre 2020.
  18. ^ (EN) David A. Graham, Who Owns 'We Shall Overcome'?, su The Atlantic, 14 aprile 2016. URL consultato il 6 dicembre 2020.
  19. ^ (EN) Jerome L. Rodnitzky, The sixties between the microgrooves: Using folk and protest music to understand American history, 1963–1973, in Popular Music & Society, 24 luglio 2008, DOI:10.1080/03007769908591755. URL consultato il 6 dicembre 2020.
  20. ^ (EN) The Ramones: "My Brain Is Hanging Upside Down (Bonzo Goes to Bitburg)" (1985), su PopMatters, 21 giugno 2018. URL consultato il 7 dicembre 2020.
  21. ^ (EN) Brittany Spanos,Sarah Grant, Brittany Spanos, Sarah Grant, Songs of Black Lives Matter: 22 New Protest Anthems, su Rolling Stone, 13 luglio 2016. URL consultato il 7 dicembre 2020.