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Philip Jones Griffiths a Bali

Philip Jones Griffiths (Rhuddlan, 18 febbraio 1936Londra, 19 marzo 2008) è stato un fotoreporter gallese.

Nato in un'epoca in cui le fotografie accompagnate da didascalie andavano assumendo sempre maggior importanza all'interno delle riviste e sfogliando periodici di grande fama come Life, emerge in lui fin da bambino una passione per i reportage e la fotografia documentaria.

Noto in particolare per le sue fotografie relative all' assedio vietnamita, Griffiths visse personalmente questa guerra con l'obbiettivo di rendere consapevoli gli americani della brutalità della guerra e delle tragiche condizioni dei soldati e dei civili in Vietnam per modificare l'opinione pubblica statunitense, ponendo la sua stessa vita a rischio.[1][2][3]


Nato a Rhuddlan, in Denbighshire, Griffiths trascorre un'infanzia felice giocando in una squadra di rugby e frequentando scuole locali. Il padre, Joseph Griffiths, lavorava presso la London, Midland and Scottish Railway, una società ferroviaria brittannica, mentre la madre Catherine Jones era un'ostetrica.

Già all'età di 14 anni emerge in lui la passione per la fotografia ed inizia a costruire la sua carriera di fotografo negli anni '50 presso il Golden Sands Holiday Camp di Rhyl, scattando fotografie in occasione di eventi nunziali. Avviato dai genitori agli studi di farmacia presso l'università di Liverpool, nel 1959 viene assunto alla Boots, una nota farmacia londinese. Questo non gli impedì comunque di lavorare part-time per il quotidiano britannico The Guardian e come cameraman alla Granada Television, facendo emergere così la sua vocazione per la fotografia. Griffiths infatti svolgeva alla Boots il turno notturno per poter fotografare durante il giorno e vendere le proprie foto ai giornali e finanziare i suoi progetti futuri.

Da farmacista a fotografo, nel 1961 Griffiths entra in contatto con fotografi come Don McCullin, Michael Peto, Colin Jones e Jane Bown. Fa la conoscenza anche di Ian Berry, ex fotografo di Drum Magazine e primo membro dell'agenzia fotografica Magnum Photos. Costruisce la sua carriera iniziando a lavorare per il periodico britannico The Observer e nel 1962 ottiene il suo primo grande successo dirigendosi in Algeria per documentare la guerra fra l'esercito francese e gli indipendentisti algerini guidati dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN, Front de Libération Nationale).Per premiare questa sua iniziativa,The Observer riserva un'intera pagina alle fotografie da lui scattate.

Nel 1966 Griffiths diventa membro della Magnum Photos ed arriva in Vietnam. Qui scatta fotografie che immortalano le dure condizioni di vita dei vietnamiti, foto che avrebbero contribuito a modificare l'opinione pubblica statunitense nei confronti della guerra. La Magnum Photos ritiene queste foto troppo dannose per essere pubblicate e vendute ad un mercato dominato dai media americani, quindi Griffiths è costretto a rinunciare a questo reportage.

Nel 1973 partecipa in qualità di fotoreporter alla guerra dello Yom Kippur, per poi lavorare in Cambogia tra il 1973 e il 1975. Nella capitale cambogiana Phnom Penh Griffiths scatta fotografie di Jackie Kennedy in vacanza con un amico: uno scoop che gli permise di ottenere il denaro necessario per tornare a lavorare al suo progetto in Vietnam.

Nel 1977 si trova in Tailandia per poi trasferirsi nel 1980 a New York, dove viene promosso a presidente della Magnum , mantenendo questo incarico per 5 anni. Il suo lavoro lo vede presente in 120 paesi diversi, prima di morire a causa di un cancro nella sua casa a Londra nel 2008.

Ritenendo il matrimonio un' "opzione borghese", Griffiths non si sposò mai nella sua vita ma ebbe due lunghe relazioni che portarono alla nascita delle due sue figlie, Fanny Ferrato e Katherine Holden.[1][2][3][4][5][6][7]


I primi anni della carriera

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Prima di divenire celebre per il suo reportage in Vietnam, nei primi anni della sua carriera, quando ancora viveva in Gran Bretagna, Griffiths scatta una serie di fotografie che verranno poi a far parte del suo libro dal titolo Recollections , pubblicato nel 2008. Si tratta di una raccolta di fotografie raffiguranti la Gran Bretagna dagli anni '50 agli anni '70. Griffiths fotografa personaggi politici e celebrità britanniche come i Beatles, immortalati durante il loro primo concerto al teatro Empire di Liverpool nel 1963. È famosa ad esempio la foto scattata a Ringo Starr intento a firmare l'autografo di una fan, indossando soltanto le mutande ed una camicia. Fotografie che documentano la nascita della rivoluzione sessuale propria dei paesi occidentali, lo sconvolgimento della vecchia generazione e la sensazione di libertà nella nuova.

Nonostante politici e pop star, erano molte all'epoca le persone che vivevano in condizioni di povertà. Griffiths infatti scatta foto anche di minatori in Galles, di soldati nell'Irlanda del Nord e immortala le diverse proteste che affollavano le strade londinesi. Fotografie quindi volte anche a cogliere aspetti della quotidianità ed eventi politici importanti che hanno sconvolto la Gran Bretagna nell'arco di tre decenni. L'obbiettivo è perciò anche quello di mostrare la miseria dell'epoca.[8][9]

Un libro, Recollections, che suscitò la commozione del politico britannico Tony Benn, il quale ringraziò personalmente Griffiths per il lavoro svolto, commentando: "È un libro molto importante perché, per me e tutti quelli della mia età, è una cronaca di un periodo di storia che potrebbe sembrare lontano ma che ha portato a idee di grande importanza per il futuro".[8]


L'esperienza in Vietnam

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In seguito ad una serie di viaggi, emerge in Griffiths la volontà di dedicarsi ad un unico grande progetto che lo porta a dirigersi verso l'Oriente.

"Decisi che la cosa più importante da fare fosse appassionarsi a qualcosa, e non c'era bisogno di essere un genio nel '66 per capire che in Vietnam stesse accadendo qualcosa di veramente importante", sostiene Griffiths durante un'intervista. [4]

Donna contrassegnata con la denominazione VNC (vietnamita civile). Foto scattata in Vietnam da Philip Jones Griffiths. 1967.

Arrivato in Vietnam nel 1966 come fotografo della Magnum Photos, tra il 1966 e il 1971 Griffiths inizia a visitare scrupolosamente ogni provincia del paese per meglio comprendere le condizioni di vita dei vietnamiti, arrivando ad affezionarsi in fretta alla popolazione locale. L'amore per questo paese e per la sua gente lo porteranno a tornare in Vietnam e a raccontare le sue storie per trenta anni. Qui riesce a trovare quel coinvolgimento umano, etico e politico che stava cercando.

In Vietnam Griffiths inizia a scattare foto in bianco e nero con l'obbiettivo di scioccare l'osservatore ma non disgustarlo: voleva informare la popolazione, non far sì che questa, troppo impressionata, chiudesse il giornale rinunciando conseguentemente alla verità che si celava dietro i suoi scatti. Fotografa gli attacchi, le sofferenze, la guerra ma ciò che realmente gli interessava erano le contraddizioni. Rende i suoi scatti più realistici e naturali possibili cercando di cogliere la quotidianità e l'umanità nascosta nei cecchini annoiati e nei vietnamiti intenti a fare il bagno in un cratere formatosi dallo scoppio di una bomba. "Ho sempre cercato il lato caustico della vita, in cui c’è l’orrore ma anche l’umanità", sostiene Griffiths stesso in un'intervista.[4][10]

L'obbiettivo di Griffiths fu quello di essere quanto più oggettivo possibile e immortalare l'assurdità di una guerra fra una potenza mondiale e una popolazione semplice,per la quale tutti i media americani erano a favore e far conoscere agli Stati Uniti un popolo del quale non sapevano nulla. Ciò fu dimostrato dalla guerra stessa: nel 1968 i vietnamiti attaccano l'Ambasciata americana e Griffiths si trova a decidere se lavorare all' Associated Press e vedere pubblicate le sue foto in prima pagina, oppure rimanere alla Magnum e cercare di documentare la storia del Vietnam con maggior profondità e consapevolezza e lasciare una testimonianza più duratura. Decise di prendere quest'ultima strada. [10]

Nonostante la Magnum non volle pubblicare le sue foto, questo reportage sul Vietnam trova spazio nell'opera più importante di Jones Griffiths, Vietnam Inc . Questo libro, pubblicato nel 1971, viene considerato uno dei più importanti libri di fotogiornalismo di quel periodo. "Nessuna foto è superflua, ognuna è stata inserita per comunicare un messaggio", commenta Will Troughton, curatore della Biblioteca Nazionale del Galles. [11] Risultato di tre anni di lavoro, Vietnam Inc. contiene più di 250 fotografie che hanno contribuito a modificare l'opinione pubblica statunitense, mostrando agli americani le gravi conseguenze della guerra sul popolo vietnamita.[12][13] Ogni immagine è accompagnata da didascalie che ne aiutano la comprensione ed esprimono la rabbia e la disperazione del fotografo stesso. Le foto mostrano la calma e la dignità dei vietnamiti di fronte all'orrore della guerra e questo è a testimonianza della profonda affinità fra Griffiths e questa popolazione, la quale rievocava in lui i ricordi dell'infanzia in Galles e le persone che lì vi crescevano.

Nonostante queste foto mostrino la violenza della potenza americana, ritraendo bambini morti e villaggi bruciati, da alcuni scatti sembra emergere una certa simpatia nei confronti dei soldati americani, immortalati nella loro vulnerabilità e in atti di gentilezza, sconcertati e confusi. Probabilmente lo stesso Griffiths li considerava vittime di una guerra ai loro occhi priva di senso ma comunque condotta dal loro paese, in quanto altro non erano che ragazzini di 18/19 anni costretti ad abbandonare i loro campi e le loro fabbriche, per combattere un esercito esperto come quello vietnamita.[11][3]

Dall'esperienza in Vietnam nasce anche il libro Agent Orange: Collateral Damage in Vietnam , un reportage che documenta la tragedia in corso in Vietnam fra il 1961 e il 1971. In questo periodo è noto come gli Stati Uniti sganciarono sul territorio vietnamita 46 milioni di litri di Agent Orange, un potente erbicida utilizzato con l'obbiettivo di impedire all'esercito vietnamita di rifugiarsi nelle foreste e per distruggere le colture che garantivano l'approvvigionamento. Agent Orange è sia un tributo alle vittime, sia un appello alla giustizia. Gli effetti di questo composto chimico sono evidenti nelle foto scattate da Griffiths stesso: bambini mutilati, senza occhi e ingenti danni neurologici. Nonostante alcuni sostennero che il collegamento tra i soggetti mutilati da lui fotografati e l'esposizione all'Agent Orange non fosse scientificamente provato, queste fotografie sono la prova schiacciante della responsabilità americana dell'eredità di malattie che hanno colpito il Vietnam, provocando malformazioni del feto e cancro in molti individui.[14][15][4]


Il ritorno in Vietnam

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A differenza di altri fotoreporter che documentarono l'assedio vietnamita, Philip Jones Griffiths torna in Vietnam ogni anno dopo la fine della guerra nel 1973, per almeno 30 anni. "Philip Jones Griffiths è colui che ci ha mostrato il Vietnam come un paese, non come una guerra, e i vietnamiti come una comunità umana straordinaria", sostenne John Pilger (giornalista australiano). [16] Terminato l'assedio infatti, il fotografo della Magnum torna in Vietnam altre 25 volte, accumulando testimonianze sulla trasformazione post-bellica del paese. Pubblica così Vietnam at Peace, libro che mostra la forza con la quale il popolo vietnamita tentò di riemergere dalla devastazione della guerra. Griffiths fotografa la gioia della vittoria subito smorzata dal disagio provocato dalle conseguenze della guerra, a testimonianza di un paese tutt'oggi segnato dai tragici eventi che lo hanno colpito.[17]


La raccolta degli scatti di una carriera

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Fotografia scattata da Philip Jones Griffiths nel 1961, raffigurante un ragazzo che distrugge un pianoforte a coda con un masso, a testimoniare l'amore ambiguo per il rugby e per la musica, tipico del Galles.

Dopo più di quarant'anni di carriera e circa 120 paesi visitati, Griffiths viene ricordato come un fotoreporter abile a catturare contemporaneamente la brutalità e la compassione della quale gli uomini sono capaci. Raccoglie così in Dark Odissey la testimonianza dei suoi viaggi in un mondo caotico, dal paese natio alla devastazione del Vietnam, attraverso Europa, Africa ed Asia.

Le immagini che vanno a costituire quest'opera colgono e mostrano ogni aspetto della vita umana, dalla violenza alla frivolezza, dalla morte all'amore, ponendo l'attenzione sulla devastazione ma allo stesso tempo sulla bellezza dei nostri tempi. Griffiths coglie i semplici sguardi di un bambino che osserva la madre sfigurata dalla violenza della guerra, gli occhi cupi di una donna errante fra le tombe del cimitero di Hiroshima e la gioia di un ragazzo che lancia un masso su un pianoforte. Ogni foto è contrassegnata da profonde note dell'autore, il quale commenta: "Ho viaggiato per oltre 140 paesi cercando di dare un senso a tutto questo. Ho scoperto che quasi tutte le mie convinzioni crollavano se sottoposte ad un esame minuzioso. La verità spesso è solo uno strumento che serve per l'obbiettivo di qualcun altro".[18][19]

Lo stile fotografico

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Nel corso della sua carriera Philip Jones Griffiths utilizza una vasta gamma di macchine fotografiche: subacquee, digitali, panoramiche, macchine fotografice più compatte e piccole... Seguendo le orme del fotografo francese Henri Cartier-Bresson, Griffiths ha sempre privilegiato la fotografia in bianco e nero, imparando a sfruttarne il suo potenziale emotivo. Nonostante questa sua vocazione, aveva bisogno di denaro per poter finanziare i suoi viaggi perciò fu costretto ad adeguarsi alle evoluzioni tecnologiche delle fotocamere per poter vendere le sue foto ai giornali che all'epoca privilegiavano la fotografia a colori. Inizia così ad utilizzare pellicole fotografice a colori, prediligendo per Kodachrome e Ektachrome, ristampando poi le stesse foto in bianco e nero per uso proprio. Infatti la maggior parte delle fotografie più famose di Griffiths sono state prima realizzate su pellicole a colori.

Dall'utilizzo di Extachrome emerge però un problema: il colore verde tende a dominare in modo orribile nelle sue foto perciò Griffiths, sfruttando le sue vecchie conoscenze da farmacista, realizza una sorta di scatola nella quale poter conservare le proprie pellicole. Questa scatola venne dipinta di nero e posizionata sul tetto dell' Hotel Royale di Ho Chi Minh, dove alloggiava. Le pellicole rimasero nella scatola oscura a sfruttare il calore del sole finchè non furono pronte e prive della sfumatura verde che le danneggiava.[11][4]

La Fondazione Philip Jones Griffiths

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Nel 2000 Griffiths fonda la Philip Jones Griffiths Foundation con lo scopo di educare le persone all'arte della fotografia, essere fonte di ispirazione per i giovani fotoreporter e preservare le sue fotografie. Gli amministratori della fondazione sono le figlie Fanny Ferrato e Katherine Holden, le quali si sono occupate e tutt'oggi si occupano dell'organizzazione di una serie di mostre fotografiche a |New York e Los Angeles. A seguito della morte del fotografo, il suo archivio fotografico ha ottenuto la possibilità di essere ospitato nel paese natale di Griffiths, in Galles presso la Biblioteza Nazionale che oggi contiene circa 30 mila sue stampe.

La fondazione si pone inoltre l'obbiettivo di sostenere i giovani fotografi delle generazioni future con borse di studio annuali.[20][21]

Nel corso della sua carriera, Philip Jones Griffiths pubblica 5 libri contenenti le sue fotografie più importanti:

  • (EN) Philip Jones Griffiths, Vietnam Inc., New York, Collier, 1971, ISBN 978-0714846033.
  • (EN) Philip Jones Griffiths, Dark Odyssey, New York, Aperture, 1996, ISBN 978-0-89381-645-2.
  • (EN) Philip Jones Griffiths, Agent Orange: Collateral Damage in Vietnam, Londra, Trolley Books, 2004, ISBN 978-1-904563-05-1.
  • (EN) Philip Jones Griffiths, Vietnam at Peace, Londra, Trolley Books, 2005, ISBN 978-1904563389.
  • (EN) Philip Jones Griffiths, Recollections, Londra, Trolley Books, 2008, ISBN 978-1904563709.
  1. ^ a b (EN) Amanda Hopkinson, Philip Jones Griffiths. War photographer whose reportage of Vietnam changed public perceptions, especially in the US, su theguardian.com, lunedì 24 marzo 2008. URL consultato l'11 maggio 2017.
  2. ^ a b (EN) Philip Jones Griffiths. British (Welsh), b.1936, d.2008, su pro.magnumphotos.com. URL consultato il 12 maggio 2017.
  3. ^ a b c (EN) Val Williams, Philip Jones Griffiths: Photographer whose Vietnam images changed photojournalism, su independent.co.uk, 22 marzo 2008. URL consultato il 13 maggio 2017.
  4. ^ a b c d e (EN) Graham Harrison, Philip Jones Griffiths, su photohistories.com. URL consultato il 13 maggio 2017.
  5. ^ (EN) Randy Kennedy, Philip Jones Griffiths, Photographer, Dies at 72, su nytimes.com, 20 marzo 2008. URL consultato il 13 maggio 2017.
  6. ^ Philip Jones Griffiths, su ccworld.it. URL consultato il 14 maggio 2017.
  7. ^ (EN) Will Troughton, Welsh History Month: Philip Jones Griffiths - a reputation forged in the crucible of the Vietnam War, su walesonline.co.uk, 8 ottobre 2015. URL consultato il 19 maggio 2017.
  8. ^ a b (EN) Recollections, su lensculture.com. URL consultato il 13 maggio 2017.
  9. ^ (EN) The early vision of Philip Jones Griffiths, su independent.co.uk, 19 gennaio 2009. URL consultato il 13 maggio 2017.
  10. ^ a b Carlotta Mismetti Capua, Parla Philip Jones Griffiths: “Con le foto cercavo la vita nell’orrore” (PDF), su download.repubblica.it, 24 aprile 2005, p. 5. URL consultato il 14 maggio 2017.
  11. ^ a b c (EN) Karen Sheard, Philip Jones Griffiths Retrospective: Exposing the face of war, su amateurphotographer.co.uk, 15 luglio 2015. URL consultato il 14 maggio 2017.
  12. ^ Vietnam Inc: A Photo-Journey Through the Villages, Fields, and Alleys of a Devastated Nation, Part I, su democracynow.org, 23 gennaio 2002. URL consultato il 15 maggio 2017.
  13. ^ Vietnam Inc. Part II: A Photo-Journey Through the Villages, Fields, and Alleys of Adevastated Nation, su democracynow.org, 24 gennaio 2002. URL consultato il 15 maggio 2017.
  14. ^ Agent Orange: Collateral Damage in Vietnam, su magnumphotos.com. URL consultato il 15 maggio 2017.
  15. ^ Gabriel Carlyle, Philip Jones Griffiths, 'Agent Orange: Collateral Damage in Vietnam', su peacenews.info. URL consultato il 15 maggio 2017.
  16. ^ Vietnam at Peace, su philipjonesgriffiths.org. URL consultato il 15 maggio 2017.
  17. ^ [=http://philipjonesgriffiths.org/photography/publications/vietnam-at-peace/ Vietnam at Peace], su philipjonesgriffiths.org. URL consultato il 15 maggio 2017.
  18. ^ (EN) Book - Dark Odyssey Philip Jones Griffiths, su pro.magnumphotos.com. URL consultato il 15 maggio 2017.
  19. ^ (EN) Dark Odyssey, su philipjonesgriffiths.org. URL consultato il 15 maggio 2017.
  20. ^ National Library of Wales home for Jones Griffiths archive, su bbc.com. URL consultato il 16 maggio 2017.
  21. ^ ABOUT THE FOUNDATION: Find out more about the Foundation, our work and aims, su philipjonesgriffiths.org. URL consultato il 16 maggio 2017.