Pace di Rodengo

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Pace di Rodengo
AutoreMaestro orafo lombardo
Datainizio XVI secolo
MaterialeArgento e metallo dorato
Dimensioni23,5×10,2×2 cm
UbicazioneMuseo di Santa Giulia, Brescia

La Pace di Rodengo è una scultura in argento e metallo dorato lavorati a niello (23,5x10,2 cm) di un maestro orafo lombardo di inizio XVI secolo, conservata nel Museo di Santa Giulia di Brescia.

La scultura, propriamente una pace anticamente utilizzata durante la liturgia cristiana, proviene dall'importante abbazia di San Nicola di Rodengo-Saiano, in provincia di Brescia[1].

Non sono noti documenti in grado di attestare data e vicende della commissione, né il nome del realizzatore che, data la preziosità dell'opera, è da identificare in un maestro orafo lombardo attivo agli inizi del Cinquecento e dal linguaggio molto aggiornato sui nuovi stilemi dell'arte rinascimentale[1].

Soppressa l'abbazia all'inizio dell'Ottocento, i beni in essa contenuti vengono in gran parte dispersi. La pace entra a far parte della collezione di Camillo Brozzoni, ricco e colto industriale bresciano, sicuramente in questo periodo. L'opera passerà infine al museo di Santa Giulia, per lascito testamentario, insieme a tutto il resto della collezione[1].

La pace è decorata da due bassorilievi principali in argento lavorato a niello, uno rettangolare al centro, raffigurante la Deposizione nel sepolcro, e uno semicircolare al di sopra, raffigurante l'Annunciazione, entrambi molto dettagliati.

Inquadra i due bassorilievi una cornice architettonica con lesene di ordine corinzio poggianti su un basamento con l'iscrizione "PACEM. MEAM. DO. VOBIS" e sormontate da una spessa trabeazione munita di fregio. Un'ulteriore cornice semicircolare circonda il secondo bassorilievo, mentre come coronamento sono posti alcuni delfini in posizione contrapposta e simmetrica.

L'opera raggiunge un livello qualitativo molto alto, soprattutto per la preziosità della lavorazione e il forte livello di dettaglio, sia nelle due scene figurate sia nella cornice, che si risolvono nell'ordine di centimetri se non di millimetri. Particolarmente raffinata, oltre alle due scene centrali, è la lavorazione delle candelabre delle due lesene e del fregio mediano, che in pochi millimetri sviluppano tralci vegetali, fiori e frutti[1].

Non sono comunque presenti novità a livello iconografico nelle due scene, bensì nella cornice architettonica che rivela, come detto, un maestro orafo dal linguaggio aggiornato e ormai completamente estraneo al gusto gotico ancora variamente radicato, tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, nell'area bresciana[1].

  1. ^ a b c d e Ragni, Gianfranceschi, Mondini, pag. 19
  • Elena Lucchesi Ragni, Ida Gianfranceschi, Maurizio Mondini, (a cura di), Il coro delle monache - Cori e corali, catalogo della mostra, Skira, Milano 2003