Marcel Proust e i segni

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Marcel Proust e i segni
Titolo originaleProust et les signes
AutoreGilles Deleuze
1ª ed. originale1964
1ª ed. italiana1967
Generesaggio
Sottogenerefilosofico - letterario
Lingua originalefrancese

Marcel Proust e i segni è un libro scritto nel 1964 (con una seconda edizione aumentata nel 1970) dal filosofo francese Gilles Deleuze, pubblicato presso le Presses Universitaires de France.

Nel testo, a metà tra opera filosofica e critica letteraria, l'autore ribalta di centottanta gradi le interpretazioni classiche del noto romanzo di Marcel Proust: Alla ricerca del tempo perduto. Solitamente considerata come un'opera incentrata sulla memoria e sul ricordo, la Recerche andrebbe letta come un testo il cui tema principale è l'indagine dei segni che popolano il mondo. In un certo senso, l'opera proustiana è quindi un romanzo sul futuro. Secondo Deleuze, infatti, a fianco alla linea interpretativa principale della Recherche ne scorre un'altra, che vede il protagonista non soltanto ossessionato dalla questione della memoria, quanto impegnato a tentare di decifrare il mondo attraverso i segni che le persone e gli oggetti, più o meno involontariamente, gli inviano. I segni del mondo non sono solo quelli del linguaggio, dei codici familiari, di classe, legati ad un ruolo o a dei rapporti, come l'amicizia o l'amore; ma anche segni involontari del corpo, segni impliciti nelle cose che ci trasportano in altre dimensioni e altri mondi (come i segni legati all'arte)[1] di cui i segni legati al ricordo e al passato (come le famose madeleine) non sono che un caso particolare tra gli altri.

La Recherche delineata nel saggio deleuziano si rivela, così, come un romanzo di formazione, legato a una evoluzione personale (per questo si è detto che il futuro nel romanzo è importante quanto il passato). Un romanzo, pertanto, nel quale il protagonista è chiamato a un addestramento, a un percorso di apprendimento e di decodifica del mondo in favore del suo divenire uomo. Apprendere significa essenzialmente avere a che fare con i segni, che nella loro presenza-violenza ci costringono a cercare la verità, il senso perduto, ovvero va inteso come "ciò che dà da pensare"[2]. In particolare ciò è possibile nel momento in cui si incontrano un tipo particolare di segni, spesso veicolati dalle opere d'arte, che sono come "essenze sensibili" e possono essere descritti come "[...] reali senza essere attuali e ideali senza essere astratti"[3], pertanto, come scrive Deleuze riferendosi a Bergson, tali segni si presentano come virtuali, distanti, interessanti in quanto non più "l'individualità né il particolare, bensì le leggi, le grandi distanze e le grandi generalità. Il telescopio, non il microscopio."[4]

Il testo si segnala particolarmente significativo come abbozzo del pragmaticismo (o pragmatismo) che poi sarà certamente presente nel successivo pensiero di Deleuze anche attraverso i continui riferimenti alle teorie di Charles Sanders Peirce[5].

L'edizione italiana del testo, tradotto da Clara Lusignoli, è uscita una prima volta nella collana «La ricerca letteraria» di Einaudi nel 1967, poi riedita nella «PBE» (n. 465 e nuova serie n. 102) con le parti successive alla prima edizione tradotte da Daniela De Agostini (1986).

  1. ^ Marcel Proust e i segni, pp. 93-94.
  2. ^ prima ed. italiana, p. 32. "L'intelligenza ha bisogno di essere forzata, deve subire una costrizione che non le lasci scelta", dice a p. 70. Al punto che la stessa "verità" si presenta come "necessaria" solo se "non voluta" e "involontaria", cfr. p. 90.
  3. ^ ivi, p. 58
  4. ^ ivi, p. 78.
  5. ^ "Occorre essere predisposto ai segni, aprirsi al loro incontro, aprirsi alla loro violenza. [...] Pensare è dunque interpretare, è dunque tradurre. Le essenze sono ad un tempo la cosa da tradurre e la traduzione, il segno e il senso. Esse si svolgono nel segno per spingerci a pensare, si svolgono nel senso per essere necessariamente pensate [... in modo] fortuito e inevitabile.". ivi, pp. 95-96.

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