Leggi fascistissime

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Voce principale: Storia del fascismo italiano.
Benito Mussolini negli anni 20 del XX secolo

Le leggi fascistissime,[1] o leggi eccezionali del fascismo,[2] furono una serie di atti normativi, emanati tra il 1925 e il 1926, che iniziarono la trasformazione dell'ordinamento giuridico del Regno d'Italia nel regime fascista.[3]

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Il primo passo legislativo che consentì alle leggi eccezionali del fascismo di essere approvate dal Parlamento a larga maggioranza fu costituito dall'approvazione della nuova legge elettorale del 1923, la legge Acerbo.

Essa modificò l'essenza del sistema elettorale proporzionale introducendo un forte premio di maggioranza, che assegnava i 2/3 dei seggi al partito che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi alle elezioni[4]. Alle elezioni politiche italiane del 1924 la Lista Nazionale ottenne il 64,9% dei voti e dunque permise a Mussolini ed al PNF, senza necessità di premio di maggioranza, di ottenere quella larga maggioranza necessaria per trasformare il Regno d'Italia nel regime fascista.

Ma dopo la larga vittoria elettorale seguì, paradossalmente, il periodo di maggiore crisi nella fase iniziale del governo Mussolini, ossia il rapimento e l'uccisione del deputato socialista unitario Giacomo Matteotti, seguiti dalla cosiddetta secessione dell'Aventino da parte dell'opposizione parlamentare.[3]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Supremazia del governo sul parlamento[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato.

Con la legge del 24 dicembre 1925, n. 2263 venne affermata la supremazia del potere esecutivo sul potere legislativo.[5] La denominazione di Presidente del Consiglio dei Ministri venne mutata in Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato, il qual smise di ricoprire un ruolo di primus inter pares.[6] Il Primo Ministro era responsabile dell'indirizzo politico di fronte al Re, e a loro volta i ministri lo erano rispetto al Re e al Primo Ministro.[7] La legge subordinò al governo anche il parlamento, il cui ordine del giorno era dettato dal Capo del Governo, che aveva anche la facoltà di chiedere il riesame di una legge respinta dalle camere.[7] Il parlamento fu anche privato dalla possibilità di votare la fiducia al Capo del Governo, che essendo responsabile solo nei confronti della Corona, poteva essere nominato e revocato solo dal Re.[7] Secondo il ministro della giustizia e degli affari di culto Alfredo Rocco il potere esecutivo diventava così «il depositario e l'organo di tutte le funzioni dello Stato generalmente considerate».[5] All'epoca dell'introduzione della riforma Benito Mussolini, oltre a essere Capo del Governo, ricopriva anche l'incarico di ministro degli esteri ed era ad interim ministro della guerra, ministro della marina e ministro dell'aeronautica.[8]

La successiva legge n. 100 del 31 gennaio 1926 diede facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche, tramite decreti legge immediatamente esecutivi, senza efficaci garanzie d'intervento da parte delle assemblee legislative.[9][10]

Nomina governativa delle amministrazioni locali[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Podestà (fascismo), Consulta municipale e Governatorato di Roma.

La legge n. 237 del 4 febbraio 1926 rafforzò il potere dei prefetti e abolì il carattere elettivo delle amministrazioni comunali e provinciali, svoltesi fino al 1925, affidando l'amministrazione dei Comuni a funzionari di nomina del Governo, i podestà (mentre a Roma la giunta comunale fu sostituita dalla figura del Governatore, sempre di nomina governativa, con il regio decreto-legge n. 1949 del 28 ottobre 1925).[10] Anche se inizialmente la figura podestarile fu prevista solo per i comuni con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti[11] già con il regio decreto-legge 3 settembre 1926, n. 1910 si diffuse a tutti i Comuni italiani.[12]Le autorità di nomina governativa sostituivano le amministrazioni comunali e provinciali elettive, che venivano quindi abolite, Legge n. 237/1926.[11]

Soppressione della libertà di stampa[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Censura fascista.

Il 20 gennaio 1926 entrò in vigore una legge sulla stampa (legge 31 dicembre 1925, n. 2307[13]) che disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avessero avuto un direttore responsabile riconosciuto dal procuratore generale presso la corte di appello della giurisdizione dove era stampato il periodico. Il regolamento attuativo dell'11 marzo 1926 precisò che il procuratore era tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale doveva essere persona non sgradita al governo, pena l'impossibilità a pubblicare.

Soppressione della libertà sindacale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Patto di Palazzo Vidoni.

Infine, la legge n. 563 del 3 aprile 1926[14] proibì lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati "legalmente riconosciuti", quelli fascisti (che già detenevano praticamente il monopolio della rappresentanza sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 tra la Confindustria e le corporazioni fasciste), potevano stipulare contratti collettivi.

Gli unici sindacati riconosciuti erano quelli fascisti; erano proibiti, inoltre, scioperi e serrate.

Soppressione della libertà di associazione[modifica | modifica wikitesto]

Venne istituito un monopartitismo di fatto, perché il regio decreto n.1848 del 6 novembre 1926 dava disposizione ai prefetti di sciogliere tutti i partiti, associazioni e organizzazioni che esplicano azione contraria al regime.[15] La ricaduta parlamentare di questa decisione si ebbe quando la Camera dei deputati, nella seduta del 9 novembre 1926, dichiarò la decadenza dei deputati aventiniani[16] - cioè quelli che si erano rifiutati di partecipare ai lavori della Camera a seguito del delitto Matteotti - e dei deputati comunisti che, pur avendo presenziato ai lavori in Aula nel 1924-1926, condividevano l'accusa secondo cui le elezioni del 1924 erano state inficiate da brogli e intimidazioni fisiche a favore del PNF.

Già a partire dalla XXVII legislatura, l'opposizione parlamentare era neutralizzata con la decadenza dei deputati aventiniani[16], che costituivano la quasi totalità dell'opposizione; la riforma elettorale del 1928 istituiva un monopartitismo con il sistema plebiscitario. Con la legge sulle associazioni tutte le associazioni di cittadini dovevano essere sottoposte al controllo della polizia: Legge n. 2029/1925 (chiamata anche legge sulla Massoneria, principale associazione in linea di mira);[17] tutta la stampa doveva essere sottoposta a controllo, ed eventualmente censurata se aveva contenuti anti-nazionalistici e/o di critica verso il governo. Il confino di polizia per gli antifascisti, con Regio Decreto n. 1848/1926 Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.[15]

Inasprimento delle norme sulla pubblica sicurezza[modifica | modifica wikitesto]

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943) venne istituito con Legge n. 2008/1926: aveva competenza sui reati contro la sicurezza dello Stato (per i quali era prevista anche la pena di morte) ed era formato da un collegio giudicante (formato da membri della Milizia e da militari).[18][19]

Fu istituita l'OVRA, la polizia segreta, il cui primo nucleo è istituito con Regio Decreto n. 1904[senza fonte];

Sviluppi successivi[modifica | modifica wikitesto]

Alle leggi fascistissime propriamente dette, emanate tra il 1925 e il 1926, fu aggiunta nel 1928 una modifica della legge elettorale per la Camera dei deputati (legge 17 maggio 1928, n. 1019[20]) che prevedeva una lista unica nazionale di 400 candidati scelti dal Gran consiglio del fascismo da sottoporre agli elettori per l'approvazione in blocco. Da allora in avanti le elezioni assunsero di fatto un carattere plebiscitario. Con la legge n. 2693/1928 il Gran consiglio del fascismo divenne la suprema autorità costituzionale del Regno d'Italia.[3][21]

Il regio decreto n. 1227 del 28 agosto del 1931 impose il giuramento di fedeltà al fascismo da parte dei professori universitari. Il 27 maggio 1937 fu istituito il Ministero della cultura popolare e nell'anno scolastico 1930-1931 fu adottato il libro di testo unificato.

Infine, la legge 129/1939 modificò lo Statuto Albertino sopprimendo la Camera dei deputati e istituendo al suo posto la Camera dei fasci e delle corporazioni, nominata in blocco dal Gran consiglio del fascismo e dalle corporazioni fasciste,[22] la cui portata reale dei poteri escluse i caratteri di effettiva titolarità della rappresentanza nazionale e di contitolarità, condivisa con il Re e con il Senato, del potere legislativo.[23]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Massimo L. Salvadori, fascismo, in Enciclopedia dei ragazzi, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2005.
  2. ^ Renzo De Felice, Fascismo, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1977.
  3. ^ a b c La perdita di Libertà degli Italiani con le leggi speciali fasciste, su AIPSZ, 4 giugno 2021. URL consultato il 19 febbraio 2022.
  4. ^ La trappola del '23. Così liberali e sinistra regalarono il governo a Mussolini, su www.ilfoglio.it. URL consultato il 25 ottobre 2023.
  5. ^ a b Gentile, p. 532.
  6. ^ Citino, p. 29.
  7. ^ a b c Citino, p. 30.
  8. ^ Nello, p. 110.
  9. ^ Legge 31 gennaio 1926, n. 100
  10. ^ a b Alberto Quattrocolo, Le prime leggi fascistissime, su Me.Dia.Re. Mediazione, Dialogo, Relazione, 20 novembre 2018. URL consultato il 25 ottobre 2023.
  11. ^ a b Legge 4 febbraio 1926, n. 237
  12. ^ Regio decreto 3 settembre 1926, n. 1910
  13. ^ Legge 31 dicembre 1925, n. 2307
  14. ^ Legge 3 aprile 1926, n. 563
  15. ^ a b Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848
  16. ^ a b Tornata di martedì 9 novembre 1926 (PDF), su storia.camera.it, Camera dei deputati, pp. 6389-6394.
  17. ^ Legge 26 novembre 1925, n. 2029
  18. ^ La perdita di Libertà degli Italiani con le leggi speciali fasciste, su AIPSZ, 4 giugno 2021. URL consultato il 19 febbraio 2022.
  19. ^ Legge 25 novembre 1926, n. 2008
  20. ^ Legge 17 maggio 1928, n. 1019
  21. ^ Legge 9 dicembre 1928, n. 2693
  22. ^ Legge 19 gennaio 1939, n. 129
  23. ^ Fascismo: la nascita della dittatura, su storiaxxisecolo.it. URL consultato il 28 novembre 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Riferimenti normativi[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]