Indebita limitazione di libertà personale

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Delitto di
Indebita limitazione di libertà personale
FonteCodice penale italiano
Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione II
Disposizioniart. 607
Competenzatribunale monocratico
Procedibilitàd'ufficio
Arrestonon consentito
Fermonon consentito
Penareclusione fino a 3 anni

L'indebita limitazione di libertà personale è un delitto contro la libertà personale previsto dal diritto penale italiano, punito dall'art. 607 del codice penale.

«Il pubblico ufficiale, che, essendo preposto o addetto a un carcere giudiziario o ad uno stabilimento destinato all'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, vi riceve taluno senza un ordine dell'autorità competente o non obbedisce all'ordine di liberazione dato da questa autorità, ovvero indebitamente protrae l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, è punito con la reclusione fino a tre anni.»

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

L'art. 607 c.p. configura un reato proprio del pubblico ufficiale, distinto in tre fattispecie.

  • Nella prima ipotesi, la condotta consiste nell'ammettere una persona in carcere o in un istituto destinato all'esecuzione di pene e misure di sicurezza senza un ordine dell'autorità. Si tratta di reato attivo e istantaneo.
  • Nella seconda, la condotta consiste nel non liberare la persona nonostante l'ordine. Si tratta di reato omissivo e permanente.
  • Nella terza, la condotta consiste nel ritardare illegittimamente la liberazione, a prescindere dall'esistenza di un ordine o quando esso non è conosciuto dal pubblico ufficiale.[1] Si tratta di reato omissivo e permanente.

Il pubblico ufficiale dev'essere preposto (direttore o chi ne fa le veci) o addetto (dirigente, segretario, ragioniere, assistente tecnico, medico, insegnante, cappellano) all'istituto; quest'ultimo non può consistere in uno stabilimento d'altro tipo rispetto a quelli menzionati dalla legge.[1]

Oggettività giuridica[modifica | modifica wikitesto]

La norma si inserisce nell'ambito della tutela della libertà personale del detenuto (art. 607-609 c.p.): questa libertà infatti, pur gravemente limitata e «residuale»,[2] non è mai del tutto soppressa.[3] La predisposizione della tutela è conforme alle previsioni degli art. 134 e 273 della Costituzione: il primo infatti punisce gli abusi (violenze fisiche e morali) sui detenuti;[4] il secondo sancisce i principi di umanità e rieducatività della pena.[5]

Trattamento sanzionatorio e critiche[modifica | modifica wikitesto]

I limiti edittali della pena consistono rispettivamente in 15 giorni nel minimo[6] e 3 anni nel massimo.

Poiché il reato rappresenta un'ipotesi speciale di sequestro di persona (che consiste a sua volta nel privare qualcuno della libertà personale),[7] e poiché quest'ultima fattispecie è punita con una pena più severa (da 2 a 8 anni di reclusione), si ritiene che l'art. 607 c.p. preveda un privilegio ingiustificato per gli operatori carcerari, in linea con l'ideologia ispiratrice del codice.[8] L'indebita limitazione di libertà personale è inoltre una figura privilegiata anche rispetto all'abuso d'ufficio, il quale a sua volta è sanzionato con una pena più elevata.[8]

La norma trova comunque scarsissima applicazione.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Antolisei, p. 162.
  2. ^ Antolisei, p. 163.
  3. ^ Corte costituzionale 349/1993.
  4. ^ Pulitanò, p. 224.
  5. ^ Brazzi, pp. 10-11.
  6. ^ Limite minimo generale per la pena della reclusione.
  7. ^ I principali elementi di specialità rispetto al sequestro di persona sono i soggetti del reato, che nel caso dell'art. 607 c.p. sono necessariamente un pubblico ufficiale (reo) e un detenuto (vittima).
  8. ^ a b c Pulitanò, p. 223.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]