Hong Gildong jeon

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Hong Gildong jeon
Titolo originale홍길동전
Hong Gildong jeon
Altri titoliLa storia di Hong Kil-tong
AutoreHŏ Kyun
1ª ed. originaleXVI-XVII secolo
1ª ed. italiana2003
Genereromanzo
Lingua originalecoreano

Hong Gildong jeon (Hangul: 홍길동전; hanja: 洪吉童傳), tradotto in italiano nel 2003 come La storia di Hong Kil-tong[1], è un romanzo coreano scritto durante la dinastia Joseon e attribuito a Hŏ Kyun (1569-1618).[2][3] È considerato il primo romanzo coreano in vernacolare.[3][4][5][6]

Il protagonista della storia é Hong Kiltong, il figlio illegittimo di un ministro e di una serva, dotato di un'enorme intelligenza e di poteri magici che usa per derubare gli aristocratici corrotti. Nonostante i coreani amino paragonare Hong Kiltong a Robin Hood,[7][8] i motivi che spingono i due personaggi letterari a "rubare ai ricchi per dare ai poveri" sono fondamentalmente differenti. Mentre l'eroe inglese agisce per un motivo di pubblica utilità, desiderando rendere ai propri concittadini ciò che è stato loro tolto dalle tassazioni ingiustificate, Kiltong è mosso da un bisogno di autoaffermazione: poco considerato dalla sua famiglia, in quanto figlio illegittimo, cerca un modo per conseguire una posizione sociale che attesti il suo talento e la sua intelligenza.[9] Egli non contesta l'ordine che ha causato il problema, ma anzi aspira a farne parte.[10]

Secondo alcuni studiosi la figura del protagonista potrebbe essere ispirata a quella dell'omonimo bandito citato negli Annali dinastici (Wangjo-sillok), arrestato durante il regno di Yŏnsan-gun.[11]

Edizioni dell'opera

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Esistono almeno ventinove edizioni note dell'Hong Gildong jeon, suddivise in due "macro-famiglie" di codici: i testi manoscritti, o p'ilsabon, e i testi stampati, alla cui categoria appartengono i testi wanp'anbon e kyŏngp'anbon.[12] Fa parte di quest'ultimo raggruppamento il testo di ventiquattro fogli che va sotto il nome di Hannam, considerato uno dei più autorevoli e attendibili.[13]

I diversi codici sono scritti per la maggior parte in coreano, ma vi sono anche versioni in cinese; tutti risalgono a un periodo successivo al 1850. Hanno lunghezze molto diverse: tra i più brevi se ne annovera uno di soli diciotto fogli, mentre tra i più lunghi uno di ben ottantanove. La loro struttura narrativa è perlopiù omogenea.[14]

La struttura della trama è comune alle varie versioni dell'Hong Gildong jeon e si articola in tre parti.

La prima parte è ambientata all'interno della residenza della famiglia Hong.

Svegliatosi da un sogno che preannuncia la nascita di un eroe, il ministro Hong, dopo il rifiuto della moglie, decide di giacere con la giovane serva Ch'unsŏm concependo così il suo secondogenito, Hong Kiltong. Crescendo, il bambino si dimostra da subito più intelligente della norma e il padre lo predilige nonostante i suoi natali.[15][16]

Kiltong soffre a causa della sua condizione, dato che ai figli illegittimi non è concesso né accedere agli esami di stato né essere veramente parte della famiglia,[15][16][17] e una notte si confida con il padre che lo sgrida, temendo che egli possa ribellarsi alla sua situazione. Kiltong decide allora di andarsene; ne parla con la madre, rivelandole inoltre i propri timori su una delle concubine del ministro, tale Ch'o-nan[18], che egli ritiene invidiosa dell'affetto che l'uomo nutre per loro.[19][20]

Le previsioni di Kiltong si rivelano fondate quando Ch'o-nan, complottando con una sciamana, fa in modo che il ministro incontri un'esperta di fisiognomica. Quest'ultima lo raggira, insinuando che Kiltong potrebbe portare alla rovina della famiglia Hong; il funzionario, assalito dai dubbi sul destino del figlio prediletto, decide di relegarlo in campagna. Insoddisfatta della poco severa soluzione adottata, la concubina, con il benestare della sposa e del figlio legittimo del ministro, assolda un sicario. Quando questi prova a uccidere Hong Kiltong, il ragazzo, messo precedentemente in allarme da una presagio, lo disarma e lo uccide facendo uso della magia. Poi, in preda alla sdegno per quel complotto, trascina nella stanza anche la sciamana e la finisce.[21][22]

La prima parte si conclude con Kiltong che, resosi conto delle proprie azioni, corre a salutare il ministro, il quale, nel tentativo di convincerlo a restare, gli accorda il permesso di chiamarlo padre. Dopo aver dato l'addio alla madre, si dirige verso le montagne.[23][24]

Seconda parte

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La seconda parte si apre con Kiltong che, vagando senza meta, giunge in un covo di briganti. Questi lo accolgono con entusiasmo e lo sottopongono a una prova per farlo diventare il loro capo, suggellando il giuramento di fratellanza quando egli la supera. Dopo un periodo di allenamento, i briganti propongono a Kiltong di rubare il tesoro del tempio buddhista Haein. Spacciandosi per un nobile desideroso di studiare presso il tempio, Kiltong va in avanscoperta e getta le basi per il piano. Il giorno seguente si presenta nuovamente dai monaci e, dopo averli distratti con uno stratagemma, li fa legare da alcuni suoi compagni e ruba il tesoro, sparendo prima che possa venir dato l'allarme. Da quel momento la banda prende il nome di Hwalpindang (Società per il riscatto dei poveri)[25] e inizia a ridistribuire a chi non aveva di che sostentarsi le ricchezze sottratte ai templi e ai magistrati locali.[26][27]

La banda sottrae poi i beni del governatore di Hamgyŏng, un funzionario corrotto che vessa i cittadini, e Kiltong lascia un manifesto per rivendicarne il furto, dando il via a una furiosa caccia all'uomo che si rivela infruttuosa, in quanto il brigante, usando i propri poteri, anima sette fantocci di paglia a cui dona il proprio aspetto. I vari Hong Kiltong, ognuno a capo di un gruppo di briganti, si sparpagliano nelle otto regioni della Corea, usando i propri poteri, razziando ogni cosa e causando il panico, al punto che i governatori si vedono costretti a redigere un documento comune da mandare al re Sejong. Il sovrano convoca quindi gli uffici di polizia[28] e il comandante delle guardie di destra, tale Yi Hŭp, parte alla ricerca del fuorilegge.[29][30]

L'ufficiale, fermatosi in un'osteria per rifocillarsi, incontra un ragazzo che si mostra preoccupato per le sorti della nazione e che acconsente ad aiutarlo a catturare Hong Kiltong. Il giovane, dopo aver sottoposto Yi Hŭp a una prova d'abilità, lo conduce tra le montagne fino al covo di Hong Kiltong e, chiedendogli di attenderlo fuori, vi entra. Ben presto Yi Hŭp viene catturato da un gruppo di uomini armati che lo legano e lo portano in una specie di Palazzo Reale dove il comandante scopre che il ragazzo che l'ha condotto fino a lì è in realtà Hong Kiltong, il quale, prima di liberarlo, gli offre da bere e gli consiglia di lasciar perdere ogni tentativo di catturarlo.[31][32]

Le azioni di Hong Kiltong si fanno più spudorate e provocatorie; egli arriva ad uccidere i funzionari corrotti, mandandone notizia al sovrano che, spazientito, convoca i ministri per ordire un nuovo piano. Scoperta l'esistenza della famiglia di Hong Kiltong, re Sejong decide di farne arrestare il padre e il fratellastro Inhyŏng. Quest'ultimo, convocato dal sovrano, chiede la grazia per il padre e si offre egli stesso di catturare Kiltong.

Nominato governatore del Kyŏngsang, Inhyŏng fa affiggere in ogni regione dei manifesti in cui, facendo leva sulla virtù della pietà filiale, chiede al fratellastro di consegnarsi per evitare di causare la rovina del casato. Kiltong si presenta ben presto al cospetto del fratello che lo implora di costituirsi, cosa che il brigante fa. Contemporaneamente, però, anche nelle altre sette regioni viene catturato un Hong Kiltong e tutti e otto i briganti vengono condotti in catene a Seoul.[33][34]

Non riuscendo a individuare il vero Kiltong, il re fa convocare l'ex ministro Hong che, dopo aver dato indicazioni su come identificarlo, sgrida il figlio e cade a terra privo di conoscenza. Quando i medici falliscono nel tentativo di rianimarlo, gli otto Kiltong intervengono infilando in bocca al padre delle pastiglie e facendogli così riprendere i sensi. Gli otto banditi raccontano poi all'unisono della sofferenza causata dalla condizione di figlio illegittimo e chiedono al re di far cadere il mandato di cattura, in quanto Kiltong è intenzionato a lasciare il Paese e a non arrecare più alcun disturbo.

Accasciatesi a terra le otto copie di Kiltong, ora di nuovo fantocci di paglia, il re rinnova l'ordine di cattura nei confronti del brigante che, facendo il giro della città, affigge sulle quattro porte principali un messaggio in cui afferma che si lascerà catturare solo quando verrà nominato ministro della guerra.[35][36]

La seconda parte si conclude con Kiltong che, dopo essere sfuggito alle catene e aver dimostrato di non poter essere catturato, viene nominato ministro della guerra. Presentatosi al cospetto del re, Kiltong lo ringrazia per l'onore ricevuto e lo informa della sua intenzione di partire, inducendo il sovrano a ritirare il mandato di cattura.[37][38]

La terza parte si apre con Kiltong che, dopo aver chiesto ai compagni di attenderlo, si libra in aria e si dirige verso sud, raggiungendo così il regno dell'isola di Yul,[39] una terra meravigliosa. Assicuratosi della prosperità del posto e avendo deciso di renderlo il luogo in cui trascorrere l'esilio autoimpostosi, Kiltong torna dalla banda chiedendo ai compagni di costruire delle barche e di prepararsi a seguirlo in una data precisa. Dopo essersi accomiatato nuovamente dal re e avergli spiegato ancora una volta le ragioni delle sue azioni illecite, Kiltong ritorna a Yul, più precisamente in quella che è diventata la sua nuova patria: Chedo. Qui fa costruire nuove case, migliora l'agricoltura e addestra i soldati.[40][41]

Mentre è sul monte Mangdang[42] a cercare del veleno per le frecce, egli viene a sapere della giovane Paek,[43] rapita da un vortice di vento, e si rattrista per la sua famiglia. Sulla via del ritorno, udendo delle voci, individua un gruppo di mostri e, senza farsi avvistare, riesce a colpirne il capo con una freccia avvelenata, causando un fuggi fuggi generale. Passata la notte sulle pendici del monte, il giorno seguente, mentre è intento a cercare delle erbe, si imbatte nei mostri della sera prima, che, non riconoscendolo, gli chiedono come sia giunto in quel posto sperduto. Kiltong si spaccia per un medico e i mostri, convinti che possa aiutare il loro capo, lo conducono nel loro rifugio. Giunto dal re dei mostri, l'ex-brigante gli somministra, al posto della medicina, un veleno mortale e stermina poi tutti i suoi sudditi con la magia.

In quel momento compaiono davanti a Kiltong due giovani donne che lo implorano di risparmiare loro la vita e di riportarle a casa. Una si rivela essere la giovane Paek, l'altra la figlia di un certo Cho Ch'ŏl. Ricondotte le giovani alle rispettive famiglie, la gratitudine dei loro genitori è tale che entrambe vengono offerte in sposa a Kiltong, che si ritrova così con due mogli.[44][45]

Qualche tempo dopo, scrutando il cielo, Kiltong scopre che il padre è in cattive condizioni di salute e, dopo aver trovato un luogo adatto,[46] edifica per lui sul monte Wŏlpong[42] una tomba consona a un re. Fa infine tornare i propri uomini a Seoul su una nave, raggiungendoli sulle sponde del fiume Sŏ, dopo essersi camuffato da monaco buddhista. In punto di morte, l'ex ministro Hong si raccomanda con la propria sposa e Inhyŏng di non fare discriminazioni tra moglie e concubine e tra i loro figli, si dice preoccupato per Kiltong ed esala l'ultimo respiro.

Al momento di celebrare i funerali, Kiltong, vestito da monaco, si presenta per fare le proprie condoglianze e piange la morte del padre, causando lo stupore tra quelli che non lo riconoscono. Dopo aver svelato la sua identità, viene portato dal fratello a incontrare la madre, Ch'unsŏm, e la moglie principale dell'ex ministro, che viene informata della tomba edificata da Kiltong per la sepoltura del padre.

Il giorno seguente Kiltong, Ch'unsŏm e Inhyŏng partono e scortano il feretro dell'ex ministro Hong fino alla sua eterna dimora.[47][48]

Inhyŏng dopo qualche giorno torna a Seoul e Kiltong resta a prendersi cura della tomba del padre. Trascorsi i tre anni prescritti per il lutto, ritorna ad occuparsi della città di Chedo, fa addestrare i soldati e dopo qualche tempo annuncia l'intenzione di attaccare il regno di Yul. Conquistato il monte Ch'ŏlpong, Kiltong manda una missiva al sovrano di quel regno, sostenendo di aver ricevuto il mandato celeste e informandolo che arrendendosi avrebbe avuto salva la vita. Il re di Yul, rendendosi conto di non poter sconfiggere le armate, si arrende.

Kiltong entra allora nella capitale e rassicura i cittadini sul loro futuro prima di proclamarsi re e di assegnare importanti cariche di stato ai propri generali e al precedente sovrano del regno.[49][50]

Il regno trova così la pace e Kiltong manda delle missive tramite il suocero Paek al re Sejong e alla propria famiglia. Il sovrano della Corea nomina quindi Inhyŏng proprio ambasciatore a Yul e il giovane vi si reca assieme alla madre, la signora Yu. Quest'ultima, alla propria morte, viene sepolta accanto al marito; Kiltong osserva nuovamente i tre anni di lutto, che si rinnoveranno all'avvenuta morte della madre naturale.

Trent'anni dopo, successivamente alla morte di re Kiltong, ormai padre di cinque figli,[51] e alla dipartita della regina consorte, sale al trono il principe ereditario.

Il libro si conclude con il regno di Yul che continua a prosperare generazione dopo generazione.[52][53]

Contesto storico-culturale e temi

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La paternità dell'Hong Gildong jeon viene comunemente attribuita a Hŏ Kyun (1569-1618) scrittore vissuto durante la dinastia Joseon, più precisamente durante i regni di Seonjo e del principe Gwanghae. Hŏ Kyun ebbe esperienza diretta del periodo di disordine finanziario e amministrativo e dello scoppio del fenomeno del banditismo che seguì le invasioni giapponesi di Hideyoshi.[54]

Con la "confucianizzazione" delle istituzioni avvenuta durante il primo periodo Joseon, la gerarchia sociale si era fatta più rigida,[55] ma, a causa dell'immobilismo statale conseguente alla guerra, la corruzione iniziò a dilagare e le discriminazioni sociali divennero ancora più evidenti. Hŏ Kyun nel suo Hong Gildong jeon si concentra sulla condizione dei figli illegittimi,[56] impossibilitati dalla società a intraprendere la carriera burocratica, ma anche altre professioni nel campo dell'agricoltura, del commercio e dell'artigianato.[54]

Nonostante non fosse una condizione che lo toccava personalmente - era infatti il figlio della seconda moglie di un ministro[57][58] - Hŏ Kyun aveva a cuore i problemi dei figli illegittimi, forse anche grazie all'influenza del suo maestro, Yi Tal, uomo di talento, ma di umili natali.[59][60] Le idee dello scrittore risultavano invise ai letterati della corte e furono probabilmente la vera causa per cui Hŏ Kyun venne condannato a morte a seguito di un'accusa di complotto nei confronti della famiglia reale.

Il suo romanzo viene quindi spesso interpretato come un "romanzo d'impegno sociale",[5][61] per la centralità assegnata al protagonista - un figlio illegittimo - e alle sue capacità, in un periodo nel quale il concubinaggio era una pratica comune e approvata, ma i figli concepiti fuori dal matrimonio subivano pesanti discriminazioni.[8]

Problemi di attribuzione

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La critica non é unanime nell'attribuzione della datazione e della paternità dell'opera,[62] e si divide principalmente in tre ipotesi:

  1. L'Hong Gildong jeon, così come lo conosciamo, è stato scritto da Hŏ Kyun;
  2. Hŏ Kyun è l'autore dell'Hong Gildong jeon, ma la versione che ci è pervenuta non è la sua;
  3. Hŏ Kyun non è l'autore dell'Hong Gildong jeon in nessuna delle sue forme.[63]

Un elemento che contribuirebbe ad escludere Hŏ Kyun come autore dell'opera verrebbe dal censimento delle opere dello scrittore realizzato dopo la sua condanna per una congiura; in esso non appare l'Hong Gildong jeon. Solo Yi Sik (1584-1647), scrittore appartenente al gruppo dei "quattro grandi maestri della letteratura cinese", nel suo T'aektangbyŏljip avrebbe attribuito l'opera a Hŏ Kyun, usando comunque toni dispregiativi e precisando che l'autore avrebbe preso a modello un racconto cinese su banditi e ladri: lo Shui-hu-chan.[64] Tale informazione sarebbe poi stata ripresa e "canonizzata " nel 1933 da Kim Taejun nella sua Storia del romanzo coreano.[13]

A sostegno delle ultime due ipotesi vengono indicati alcuni elementi del testo kyŏngp'an, come il suo aspetto dissacratore (in alcuni passaggi la figura del sovrano viene profondamente ridicolizzata) e il riferimento a Chang Kilsan, vissuto in Corea alla fine del XVII secolo e quindi dopo la morte di Hŏ Kyun.[65]

La prima ipotesi, invece, troverebbe sostegno in elementi come lo stile stringato e la sequenza temporale lineare, tipicamente d'ispirazione cinese, o l'uso della sola particella nominativa i, che lascerebbero aperta la possibilità che esso sia stato copiato da un manoscritto precedente.[66]

Edizioni italiane

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  • Hŏ Kyun, La Storia di Hong Kil-tong, a cura di Sofia Teresa Scerbo, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2003.
  • Hŏ Kyun, Hong Kiltong : Il brigante confuciano, a cura di Maurizio Riotto, Milano, O barra O edizioni, 2004.

Adattamenti e riferimenti

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  1. ^ Kyun Ho, La storia di Hong Kil-tong, a cura di S.T. Scerbo, Rubbettino, 2003, ISBN 9788849807899.
  2. ^ Hŏ Kyun, 2004, p. 15.
  3. ^ a b Hŏ Kyun, Divagazioni dell'esilio, a cura di Tonino Puggioni, Milano, O barra O edizioni, 2003, p. 27, OCLC 1030980364.
  4. ^ Pihl, 1968, p. 18.
  5. ^ a b Hŏ Kyun, 2004, p. 12.
  6. ^ Hŏ Kyun, 2003, p. 41.
  7. ^ (EN) Charles Montgomery, Hong Gildong as the ‘Impossible Key’ to Korean Literature, su ktlit.com, 4 maggio 2013. URL consultato il 10 settembre 2018.
  8. ^ a b Hŏ Kyun, 2004, p. 11.
  9. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 9-10.
  10. ^ Hŏ Kyun, 2003, p. 14.
  11. ^ Hŏ Kyun, 2003, p. 44.
  12. ^ Le wanp'anbon sono le edizioni stampate al di fuori della capitale. Esse presentano termini dialettali e uno stile più vivace e colorito rispetto alle cosiddette kyŏngp'anbon, ovvero le edizioni stampate a Seoul. Cfr. Hŏ Kyun, Hong Kiltong : il brigante confuciano, Milano, O barra O edizioni, 2004, p. 39
  13. ^ a b Hŏ Kyun, 2004, p. 35.
  14. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 38-40.
  15. ^ a b Hŏ Kyun, 2003, pp. 57-59.
  16. ^ a b Hŏ Kyun, 2004, pp. 47-49.
  17. ^ letteralmente "chiamare il padre con il nome di padre ed il fratello con quello di fratello"
  18. ^ in coreano: 쵸난, traslitterato Ch'o-nan nell'edizione a cura di Sofia Teresa Scerbo e Ch'oran in quella a cura di Maurizio Riotto.
  19. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 60-61.
  20. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 50-52.
  21. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 62-66.
  22. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 52-57.
  23. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 66-68.
  24. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 57-59.
  25. ^ Nella storia coreana, il nome hwalpindang viene utilizzato negli ultimi anni del 1800 e nei primi anni del 1900 da società segrete anti-imposte organizzate da veterani del movimento Tonghak nel Chŏlla e nel Kyŏngsang con il fine di resistere ai proprietari terrieri yangban. Cfr. Mike Davis, Olocausti tardovittoriani : El Niño, le carestie e la costruzione del Terzo Mondo, Milano, Feltrinelli editore, 2002 e Cfr. Kim Eugene e Kim Han-Kyo, Korea and the politics of imperialism, 1876-1910, Berkeley University of California Press, 1967, pp. 116-117
  26. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 68-71.
  27. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 59-63.
  28. ^ L'ufficio per la cattura dei ladri (P'odoch'ŏng), a cui si fa riferimento, fu istituito nel medio-tardo periodo Chosŏn ed era diviso in due distretti chiamati "di destra" e "di sinistra". Cfr. Hŏ Kyun, Hong Kiltong : il brigante confuciano, Milano, O barra O edizioni, 2004, p. 66
  29. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 71-74.
  30. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 63-67.
  31. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 74-77.
  32. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 67-70.
  33. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 78-81.
  34. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 70-75.
  35. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 81-83.
  36. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 75-76.
  37. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 83-85.
  38. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 76-78.
  39. ^ Isola fantastica chiamata Yul nell'edizione a cura di Maurizio Riotto e Yuldo-guk nell'edizione a cura di Sofia Teresa Scerbo.
  40. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 85-87.
  41. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 78-80.
  42. ^ a b Non si sa se il riferimento all'omonimo monte sia voluto, se sia solo una coincidenza dovuta all'utilizzo nel testo di nomi sino-coreani per sottolineare l'attaccamento del protagonista alla patria o, ancora, se sia Hong Kiltong a chiamarli in questo modo, attribuendovi i nomi di luoghi della patria da lui abbandonata. Cfr. Hŏ Kyun, Hong Kiltong : il brigante confuciano, Milano, O barra O edizioni, 2004, p. 61 e p. 83
  43. ^ Cognome coreano
  44. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 87-89.
  45. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 81-83.
  46. ^ I luoghi per le sepolture venivano scelti in base a regole geomantiche. Cfr. Hŏ Kyun, Hong Kiltong : il brigante confuciano, Milano, O barra O edizioni, 2004, p. 84
  47. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 90-91.
  48. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 83-86.
  49. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 92-93.
  50. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 86-87.
  51. ^ Precisamente tre figli e due figlie, i primi due figli e la figlia maggiore avuti dalla moglie nata Paek, i restanti dalla moglie nata Cho.
  52. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 94-95.
  53. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 88-89.
  54. ^ a b Hŏ Kyun, 2003, pp. 39-40.
  55. ^ Hŏ Kyun, 2003, p. 37.
  56. ^ Hŏ Kyun, 2004, p. 31.
  57. ^ Hŏ Kyun, 2004, p. 33.
  58. ^ Hŏ Kyun, 2003, p. 27.
  59. ^ Pihl, 1968, p. 20.
  60. ^ Hŏ Kyun, 2004, pp. 33-34.
  61. ^ Questa definizione è messa in dubbio da altri critici che ritengono che i problemi del popolo siano trattati solo marginalmente e per questioni di trama. Essi fanno ricadere l'Hong Gildong jeon nella categoria dei tosul, ossia un romanzo incentrato sulle vicende di un supereroe con poteri magici. Cfr. Hŏ Kyun, La storia di Hong Kil-tong, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2003, pp. 46-47
  62. ^ (EN) Ryan Krull, The Rumpus Interview with Minsoo Kang, su therumpus.net, 13 aprile 2016. URL consultato il 10 settembre 2018.
  63. ^ Hŏ Kyun, 2004, p. 34.
  64. ^ Hŏ Kyun, 2003, pp. 44-45.
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  86. ^ (EN) Rebel: Thief Who Stole the People, su asianwiki.com. URL consultato il 10 settembre 2018.
  87. ^ (EN) Hong Gildong Festival, su jangseong.go.kr. URL consultato il 10 settembre 2018.
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  • Hŏ Kyun, Divagazioni dell'esilio, a cura di Tonino Puggioni, Milano, O barra O edizioni, 2003, OCLC 1030980364.
  • Hŏ Kyun, Hong Kiltong : Il brigante confuciano, a cura di Maurizio Riotto, Milano, O barra O edizioni, 2004, OCLC 708254068.
  • Hŏ Kyun, La Storia di Hong Kil-tong, a cura di Sofia Teresa Scerbo, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2003, OCLC 929658754.
  • (EN) Marshal R. Pihl Jr., The Tale of Hong Kil-tong: Korea's First Vernacular Novel, in Korea Journal, vol. 8, n. 7, luglio 1968, pp. 18-21.

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