Assedio di Lilibeo (276 a.C.)

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Assedio di Lilibeo
parte delle guerre greco-puniche
Mappa della colonizzazione della Sicilia.
Datadue mesi nel 276 a.C.
LuogoLilibeo
EsitoVittoria di Cartagine
Schieramenti
Comandanti
SconosciutoPirro
Effettivi
Sconosciutimeno di 30000 uomini
meno di 1500 cavalieri
Perdite
SconosciuteSconosciute
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L'assedio di Lilibeo si svolse nel 276 a.C., nell'ambito delle guerre pirriche e delle guerre greco-puniche, e vide contrapposti Pirro, re d'Epiro, alleatosi coi Sicelioti e i Cartaginesi che cercarono di difendere Lilibeo.

L'assedio di Erice del 277 a.C. aveva visto la sconfitta dei Cartaginesi che, di fronte alla scacciante avanzata di Pirro, si dovettero rifugiare a Lilibeo città fondata dai fuggitivi cartaginesi scampati all'assedio di Mozia del 398 a.C. di Dionisio[1].

La perdita di Lilibeo, rocca alquanto fortificata dei cartaginesi, avrebbe per loro significato la rovina dei loro domini in Sicilia e il trionfo di Pirro sui nemici[2]. Nonostante l'impresa di espugnarla fosse di enormi difficoltà già in partenza, Pirro pose l'assedio e preparò al meglio il suo esercito.

I Cartaginesi, consci dell'importanza di questa rocca, mandarono una richiesta d'aiuto a Cartagine che inviò grandi quantità di uomini e macchine[2]. Data la posizione della città, che era a ridosso del mare, i generali cartaginesi decisero di costruire mura formate da torri continue in direzione della terraferma; fatto questo si inviarono messi a Pirro per chiedere una tregua promettendo l'offerta annuale di un tributo. Pirro, chiamati a raduno i suoi generali, decretò che l'unica condizione che sarebbe stata accettata era quella di lasciare la Sicilia e tutti i possedimenti che il governo di Cartagine deteneva, oltre che a smantellare le navi che permettevano di dominare tra i mari[2].

L'esosa richiesta di Pirro, che avrebbe troppo indebolito i Cartaginesi, fu respinta e il re d'Epiro dovette passare all'attacco. Ma i Cartaginesi resistettero coraggiosamente agli assalti di Pirro, il cui esercito andava, di giorno in giorno, scemando in uomini. Tale era la quantità dei difensori e le macchine che per poco le mura riuscivano a contenerli. Le macchine che Pirro aveva portato con sé dall'assedio di Siracusa non erano in grado di far breccia e presto furono sostituite da altre nuove che, scavando il terreno al di sotto delle mura, cercavano di indebolirle. Tutti gli espedienti però, risultarono vani[2].

Dopo due mesi d'assedio, persa ogni speranza, Pirro dovette ritirarsi e sollevare l'assedio[2].

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre pirriche.

Nonostante la disfatta, Pirro pensò, forse sulle tracce di Agatocle di Siracusa, di portare la guerra direttamente in Africa. La mancanza di marinai però, spinse Pirro a ricercarli tra le polis di Sicilia[3]. L'eccessivo rigore e gli ingiustificati soprusi a danno dei Sicelioti, li spinsero a reagire contro il re d'Epiro che, sotto il contrattacco dei Cartaginesi, si dovette ritirare in Italia.

  1. ^ A. Tullio, cit., p. 75.
  2. ^ a b c d e Giovanni Emanuele di Blasi, p. 313.
  3. ^ Giovanni Emanuele di Blasi, p. 314.
  • Giovanni Emanuele di Blasi, Storia del regno della Sicilia, I, 1844.
  • Itinerari archeologici in Sicilia (a cura di Amedeo Tullio), ed. Flaccovio, Palermo, 2002, ISBN 88-7758-450-5