Utente:Sarapd21/Sandbox2

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Invisibilità del traduttore[modifica | modifica wikitesto]

Il traduttore di libri di letteratura per l'infanzia e l'adolescenza è un traduttore letterario e come tale risulta soggetto a una condizione definita di "invisibilità".

Il concetto di invisibilità del traduttore fu teorizzato dal traduttore statunitense Lawrence Venuti in un saggio del 1995 intitolato The Translator's Invisibility: A History of Translation, in cui Venuti cerca di ripercorrere la storia della traduzione, soffermandosi in particolar modo su quella del mondo anglosassone.[1] Venuti mette in discussione il concetto dell'invisibilità del traduttore affermando che "[...] non solo costituisce una mistificazione dell’intero progetto della traduzione, ma anche perché sembra direttamente legata al ruolo di poco conto che è ancora oggi attribuito al loro lavoro. I traduttori, con pochissime eccezioni, ricevono a mala pena il minimo riconoscimento per il loro lavoro".[1] Secondo Venuti, la condizione di invisibilità del traduttore è principalmente dovuta a due fattori tra loro strettamente legati: il primo fattore è il modo in cui il lettore risponde alla traduzione che ha di fronte e come egli interagisce con essa; il secondo fattore è il criterio che viene seguito dal traduttore durante il suo lavoro di traduzione del testo fonte e dalla critica nella valutazione del testo di arrivo.[2]

Per quanto concerne il primo fattore, legato alla maniera in cui la traduzione viene recepita da parte del pubblico, il lettore ha la tendenza a guardare ciò che legge non come il prodotto di un lavoro di traduzione ma come un testo che è stato già originariamente concepito e scritto nella propria lingua.[2] Questa attitudine del lettore è dettata, tra le varie cose, dal tipo di approccio adottato dal traduttore durante il processo traduttivo. Venuti conia due termini per definire i due possibili approcci traduttivi che il traduttore può seguire: foreignization e domestication.[1]

Quando il traduttore adotta una strategia estraniante (foreignization), egli attua delle scelte traduttive che riportano nella traduzione tutte le differenze culturali e gli elementi di distacco presenti nel testo di partenza. Questo tipo di approccio va, per così dire, a "disturbare" il lettore, portandolo all'estero, avvicinandolo alla cultura di origine del testo.[1] Al contrario, quando il traduttore adotta una strategia addomesticante (domestication), è l'autore che viene "disturbato", è il testo fonte che si avvicina alla cultura di arrivo, eliminando gli elementi che rendevano percepibile nel testo la cultura d'origine e trasportando in tal modo il testo e il suo autore nella cultura di arrivo.[1] Attraverso questo approccio di addomesticazione del testo, il traduttore modifica le strutture semantiche originali che caratterizzano la lingua di partenza, nasconde ed elimina i riferimenti culturali che erano originariamente presenti nel testo fonte, ma soprattutto egli rende invisibile il suo intervento essenziale sul testo.[1][2] Venuti afferma, infatti, che una traduzione è considerata accettabile da editori, critici e lettori, nel momento in cui la sua lettura risulti fluida, scorrevole e senza intoppi, e sia in grado di riflettere il significato essenziale del testo fonte e le intenzioni dello scrittore, senza però far percepire il suo status di traduzione. In tal modo il lettore non farà alcuno sforzo per interpretare i riferimenti alla lingua di partenza o le possibili differenze culturali esistenti, in quanto queste risultano totalmente assenti dal testo finale.[2]

All'inizio del suo libro, Venuti cita lo scrittore e traduttore statunitense Norman Shapiro, che afferma: "Vedo la traduzione come il tentativo di produrre un testo così trasparente da non sembrare tradotto. Una buona traduzione è come una lastra di vetro. Si nota che c'è solo quando ci sono delle imperfezioni: graffi, bolle. L'ideale è che non ce ne siano affatto. Non dovrebbe mai attirare l'attenzione su di sé."[1] Una buona traduzione sarebbe, dunque, una traduzione che non appare come tale.

La condizione di invisibilità del traduttore tuttavia non si ferma al solo testo tradotto: il traduttore letterario è invisibile sia a livello testuale che a livello socio-economico.[2] La critica letteraria, infatti, ha sempre avuto un interesse particolare per la vita e la carriera degli autori, interesse che non si è tuttavia esteso alla vita e alla carriera dei traduttori di opere letterarie.[3] Difatti, quello che ci si aspetta normalmente è che il traduttore sia una figura che agisce nell'ombra, che si mette al servizio del testo in veste di "autore invisibile". Gli stessi studiosi della traduzione sono sempre stati mossi da questa tendenza, adottando delle strategie focalizzate sull'atto pratico di traduzione e sul peso che ha sul lettore, dedicando quindi pochissimo tempo e attenzione all'esperienza di coloro che hanno dato vita alla traduzione stessa.[3]

La Convenzione di Berna[modifica | modifica wikitesto]

L'invisibilità del traduttore sfocia in un mancato riconoscimento legale dello stesso, mentre allo scrittore straniero vengono attribuiti un ruolo cruciale e una priorità indubbia.

Un primo passo viene compiuto grazie alla Convenzione di Berna per la Protezione delle Opere Letterarie e Artistiche[4] (firmata il 9 settembre 1886), la Convenzione internazionale con cui gli stati membri si impegnano a tutelare i diritti degli autori e di ogni altro soggetto che sia titolare degli stessi diritti sulle opere letterarie e artistiche. L'art. 2 della Convenzione chiarisce che vengono protetti "come opere originali, senza pregiudizio dei diritti dell’autore dell’opera originale, le traduzioni, gli adattamenti, le riduzioni musicali e le altre trasformazioni di un’opera letteraria e artistica"[4]. Dunque le traduzioni godono di tale tutela in tutti i paesi dell'Unione.

Tuttavia, nonostante i progressi apportati dalla Convenzione di Berna, un'inchiesta del CEATL (Conséil Européen des Associations de Traducteurs Littéraires) svoltasi tra il 2007 e il 2008 mostra come, a livello europeo, permangano ancora differenze sostanziali tra i vari paesi per quanto riguarda fattori come la remunerazione, i sistemi di previdenza sociale e il regime fiscale dei traduttori letterari.[5] Attualmente in Italia la traduzione editoriale non è considerata esercizio di arte o professione, e a livello contrattuale non esiste alcun tipo di raccomandazione o accordo in termini di remunerazioni minime.[6] Inoltre il regime fiscale applicato non è quello applicato ai traduttori tecnici ma quello applicato agli autori: il traduttore editoriale, quindi, guadagna cedendo a una casa editrice il suo diritto d'autore sulla traduzione prodotta. Tuttavia, non vige alcun vincolo contrattuale che obblighi la casa editrice a pubblicare la sua traduzione.[6][5]

Invisibilità del traduttore di libri per l'infanzia e adolescenza[modifica | modifica wikitesto]

Il concetto di invisibilità del traduttore terrorizzato da Venuti è estremamente legato e pertinente alla traduzione di libri per l’infanzia e l’adolescenza. Infatti, se la traduzione è un processo indubbiamente complicato e caratterizzato da migliaia di sfaccettature e sfide da superare, queste ultime sono destinate a intensificarsi quando i destinatari delle opere letterarie sono dei bambini e/o ragazzi.

La traduttrice inglese Gillian Lathey tratta la condizione di invisibilità dei traduttori di letteratura per l'infanzia e l'adolescenza nella sua opera The Role of Translators in Children’s Literature: Invisible Storytellers (2010).[7] Lathey descrive i traduttori di questo genere letterario come "cantastorie invisibili": i traduttori, pur non avendo scritto il testo originale, devono avere capacità simili a quelle di uno scrittore, in termini di creatività stilistica e semantica, per poterlo tradurre con successo.[7] Questi traduttori sono dunque a pieno diritto dei cantastorie, ma il loro lavoro e le loro capacità rimangono spesso nell’ombra, in quanto i lettori ignorano di trovarsi di fronte alla traduzione di un testo concepito in un'altra lingua, epoca e cultura. Basti pensare che le prime traduzioni di molti classici rimangono tutt'oggi anonime.[7]

L'invisibilità che caratterizza i traduttori letterari è senza dubbio accresciuta dal ruolo marginale cui è relegata la letteratura per l'infanzia, rendendo i traduttori di questo settore i più invisibili di tutti e protagonisti di una vera e propria sfida letteraria.[7] Effettivamente, l’attribuzione di uno status letterario ai testi composti per i più giovani è stata spesso messa in discussione, poiché questi testi vengono ritenuti inferiori, fin troppo semplici e spesso anche banali. A tal proposito, proprio la brevità narrativa del testo e la presenza di immagini sono state considerate delle caratteristiche che, secondo alcuni, denoterebbero una facilità nella scrittura e quindi una conseguente facilità nella loro traduzione.

Secondo il pensiero di Lathey, contrario a questa corrente di pensiero, la traduzione della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza comporta innumerevoli difficoltà.[7] In aggiunta a determinate capacità tra cui la creatività, i traduttori di letteratura per l’infanzia e l’adolescenza svolgono da sempre anche un importantissimo ruolo di adattamento e filtro culturale verso il mondo dei più piccoli, andando quindi a formare le loro menti in dei momenti fondamentali della crescita. I traduttori di libri per bambini e ragazzi adottano strategie traduttive che possono essere in linea con quella che è la concezione dominante, in un dato momento, di infanzia o adolescenza, oppure possono metterla in dubbio.[7] Poiché l’infanzia e l’adolescenza sono concetti mutevoli che cambiano a seconda di concezioni sociali degli adulti, la traduzione per ragazzi ha un importante fattore geopolitico, ossia dipende dalle concezioni dominanti in un dato luogo e in un dato momento.[7] A tal riguardo, Lathey afferma che: "translators of children’s literature are mediators not just of unfamiliar social and cultural contexts, but also of the values and expectations of childhood encoded in the source text."[7]

Le principali difficoltà traduttive che si riscontrano nella traduzione di testi per l'infanzia e per l'adolescenza sono:[7]

  • censura o manipolazione di testi a seconda delle visioni contemporanee in fatto di educazione;
  • equilibrio tra esplicitazione, per aiutare il giovane lettore con minor esperienza di vita a comprendere il testo, e necessità di stimolarne la curiosità e svilupparne la tolleranza alla diversità;
  • scelta della difficoltà del testo in termini di leggibilità e strutture;
  • adozione di una grande creatività per rendere correttamente nella lingua target le due dimensioni (orale e visuale) proprie dei testi rivolti ai più piccoli.

L’invisibilità del traduttore nell’ambito della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza ha anche un importante carattere storico, come sottolinea Lathey.[7] Ad esempio, storicamente, la traduzione di alcuni testi non necessariamente originariamente indirizzati ad un giovane pubblico, ha avuto un ruolo centrale nel portare questi testi a diventare dei veri e propri classici dell’odierna letteratura per l'infanzia e l'adolescenza. Questo è il caso, per esempio, delle Favole di Esopo, delle Mille e una notte o delle favole francesi del XVIII secolo, che pur non essendo nate come testi rivolti ai bambini, lo sono diventate a seguito del processo traduttivo: testi per adulti possono, attraverso la traduzione, essere adattati e rivisti in ottica di un pubblico più giovane e questo processo avviene da secoli a questa parte.[7] In effetti, l’analisi comparativa di racconti autobiografici incentrati sulla lettura in giovane età e di libri oggi riconosciuti come letteratura per l’infanzia hanno dimostrato che i ragazzi hanno letto storie come quelle di Esopo o le Mille e una notte ben prima che venisse creato il genere della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. Questo, dunque, dimostra come la traduzione e l’adattamento di questi testi siano stati fondamentali nel renderli dei classici. Tuttavia, secondo Lathey, nonostante la centralità e l'importanza della traduzione nella letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, non esistono molti studi e ricerche che si interessino sistematicamente alla storia di questo genere di traduzione.[7]

  1. ^ a b c d e f g Venuti, Lawrence, The translator's invisibility : a history of translation, pp. 1-34, ISBN 978-1-138-09316-4.
  2. ^ a b c d e Lawrence Venuti, The Translator's Invisibility, in Criticism, vol. 28, n. 2, 1986, pp. 179–212.
  3. ^ a b Peter France, Translators and Their Worlds, in Translation and Literature, vol. 21, n. 3, 2012, pp. 295-298.
  4. ^ a b Convenzione di Berna per la Protezione delle Opere Letterarie e Artistiche (PDF), su fedlex.data.admin.ch.
  5. ^ a b CEATL, su CEATL.
  6. ^ a b homepage | AITI, su aiti.org.
  7. ^ a b c d e f g h i j k l Gillian Lathey, The role of translators in children's literature : invisible storytellers, Routledge, pp. 2-11, ISBN 978-0-203-84523-3, OCLC 671633585.