Utente:Pequod76/sandbox/18

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Linee generali[modifica | modifica wikitesto]

  • L'uso politico della storia in Italia ha coinvolto tutti i grandi temi fondanti della storia nazionale: il Risorgimento, le imprese coloniali, il ventennio fascista, la persona del Duce, l'impresa nei Balcani, il rapporto tra Stato e Chiesa, le leggi razziali, il ruolo del comunismo, della Resistenza, della RSI, la nascita della Repubblica.[1]
  • "rimozione dei crimini commessi in Italia, in Africa, nei Balcani, nell'Unione Sovietica".[1]
  • relativizzazione delle colpe naziste e depenalizzazione del fascismo italiano, delegittimazione della Resistenza, demonizzazione del comunismo.[1]

Il revisionismo del dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

  • Il revisionismo sorge già nel secondo dopoguerra: pubblicazione della letteratura memorialistica dei comandanti militari (Badoglio, Graziani, Roatta, Cavallero) e dei gerarchi (Ciano, Bottai, Gray, Amicucci).[1]
  • gennaio 1952: Giuseppe Brusasca, sottosegretario al Ministero dell'Africa Italiana, viene incaricato di organizzare un Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa. Il Comitato viene istituito l'11 gennaio 1952 (decreto interministeriale n. 140) [nota 6, p. 36]: su ventiquattro membri, quindici sono ex governatori di colonia o alti funzionari coloniali; gli altri, ad eccezione di Mario Toscano, "sono africantisti di indubbia fede colonialista": tra essi Raffaele Ciasca, Giotto Dainelli, Carlo Giglio e Giuseppe Vedovato. In una testimonianza del 21 agosto 1979 allo storico Angelo Del Boca, Brusasca confesserà di aver dovuto «fare il fuoco con la legna che avevo sottomano». Il risultato dei lavori finisce per essere un'operazione "scandalosamente agiografica"[2]. Giorgio Rochat rileva l'assenza di "qualsiasi requisito di serietà e di scientificità" nel lavoro del Comitato, criticando in particolare l'aderenza alle tesi fasciste più estreme, il non aver tenuto in conto le fonti non italiane, il non utilizzo delle fonti offerte dall'archivio del Ministero.[3] Prodotto del Comitato è L'Italia in Africa: alcuni autori, "contro ogni ragionevole disposizione archivistica", furono autorizzati a portare in casa propria diverse casse di documenti, che rimasero non consultabili per decenni: nonostante questa esclusiva, il testo non fa menzione dell'uso dei gas in Libia ed Etiopia. Complessivamente, L'Italia in Africa appare "un bilancio truccato", teso ad evidenziare una pretesa differenza dell'Italia nel panorama delle colonizzazioni europee d'Africa. Si tratterebbe di una sorta di "«revisionismo di Stato»" che non sembra avere corrispettivi in altri paesi.[3]
  • La tradizione dei libri-strenna viene inaugurata da Indro Montanelli negli anni sessanta.[4]

De Felice[modifica | modifica wikitesto]

  • 1965: appare Mussolini il rivoluzionario, primo volume della biografia del Duce, con prefazione di Delio Cantimori. Grande successo di pubblico e di critica.[5]
  • La critica unanimamente riconosce a De Felice il grande lavoro di De Felice sugli archivi pubblici e privati, sulle carte di polizia, sui testi della storiografia critica nazionale e internazionale, in particolare quella anglo-sassone.[6]
  • A partire da quell'opera, "De Felice terrà banco per più di un trentennio, senza mai abbandonare il suo personaggio, del quale finirà per subire un certo fascino, tale da compromettere, in qualche occasione, la sua obbiettività di storico".[6]
  • 1990: esce Mussolini l'alleato: il Corriere della Sera indice una tavola rotonda. Vi partecipano Antonio Debenedetti (che la coordina), Lucio Villari, Pietro Scoppola e Piero Melograni. Sia Villari che Melograni elogiano il lavoro di De Felice, anche se l'ultimo avanza delle critiche[quali?]. A contrapporsi invece con decisione ai giudizi di De Felice è Nicola Tranfaglia, storico e docente universitario, nonché deputato della quindicesima legislatura.[6] Tranfaglia riscontra diverse contraddizioni nel testo di De Felice "che nascono dall'esigenza di conciliare giudizi in se stessi contraddittori, sul dittatore, sulla classe dirigente fascista, sui militari".[7] Secondo Tranfaglia sarebbe troppo scarso il rilievo attribuito da De Felice al ruolo delle opposizioni, che erano sorte già prima del 25 luglio 1943, e agli scioperi del marzo-aprile 1943 nel Nord Italia, né risulterebbe accettabile l'idea che il colpo di stato del 25 luglio sia una manovra tutta interna al fascismo. Infine, Tranfaglia ritiene che "per l'autore non esiste la psicologia del profondo - Freud e Jung non sono ancora nati - e le categorie piscologiche di cui si serve per capire la "molla" dei comportamenti del duce sono ancora quele positivistiche del secondo Ottocento, vaghe, oscillanti, indeterminate, quanto di più lontano ci sia da ogni forma di rigore scientifico".[7]
  • Via via che vengono pubblicati i volumi di De Felice, si acuisce uno scontro tra storici sulle tesi revisionistiche dello storico reatino: la cosa è ancor più evidente dopo la pubblicazione dell'intervista Rosso e Nero che De Felice rilascia a Pasquale Chessa (pubblicata da Baldini & Castoldi nel 1995). Secondo Giovanni De Luna si tratta del "manifesto programmatico del revisionismo italiano". Il volume Gli anni del consenso (1929-1936) suscita meno scalpore. In esso De Felice si occupa anche della guerra d'Etiopia.[7] Secondo Angelo Del Boca, non viene messa "sufficientemente in risalto la gravità dell'aggressione a uno Stato sovrano e i metodi spietati che hanno cartterizzato la campagna di conquista, che è costata agli etiopici oltre 300.000 morti fra militari e civili".[8] L'uso di armi chimiche in Etiopia, "forse il peggior crimine che si può imputare al fascismo", viene menzionata appena (un solo rigo).[9]
  • De Felice risulta poi indulgente anche con altri importanti personaggi fascisti: Rodolfo Graziani, "considerato nel mondo arabo un autentico «macellaio»", secondo De Felice "obbediva a degli ordini" (così in una intervista a Corrado Augias), lo stesso principio rifiutato dal Tribunale di Norimberga. Secondo Del Boca, De Felice commetterebbe un secondo errore nel suo giudizio di Graziani, il quale, infatti, "non [fu mai] un ufficiale disciplinato, ligio agli ordini" e anzi "cercò sempre un contatto diretto con il potere".[9] L'occupazione italiana in Etiopia, con le sue stragi, le deportazioni, i campi di concentramento, viene trattata da De Felice anche in Mussoli il duce. Lo Stato totalitario (solo una trentina di righe). De Felice giudica "particolarmente spietata" la reazione italiana all'attentato a Graziani (Addis Abeba, 19 febbraio 1937) e riferisce di 3.000 vittime, il numero più basso, contro le 30.000 di cui parlano le autorità etiopiche, mentre nel totale silenzio passano sia l'uccisione sistematica dei cantastorie locali che avevano predetto la fine dell'occupazione italiana, sia l'annientamento della città conventuale di Debra Libanos.[10]

Gli anni 2000[modifica | modifica wikitesto]

L'opera di De Felice suscita polemiche ma anche una rilettura della storia italiana che risulta benefica per il panorama storiografico: in particolare, Giorgio Amendola (Intervista sull'antifascismo) e Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza) sottopongono a serrata critica alcuni aspetti di quella che si rivela per alcuni versi una vulgata antifascista. Accanto a queste operazioni ve ne sono altre di tenore molto diverso, che provengono non tanto dal mondo accademico, quanto dalla classe dirigente (dichiaratamente non antifascista o anche post-fascista) e dal mondo del giornalismo.[11] Fabio Rampelli, ad esempio, capogruppo di Alleanza Nazionale nella giunta di Francesco Storace, allora presidente della regione Lazio, denuncia "testi usati abitualmente negli istituti superiori [...] troppo filomarxisti [e che] non garantiscono il pluralismo culturale"[12].[13]

I volumi contestati sono in particolare[13]:

  • A. Camera, R. Fabietti, Elementi di storia. XX secolo, Zanichelli
  • A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di storia 3. L'età contemporanea, Laterza
  • P. Ortoleva, M. Revelli, L'età contemporanea. Il Novecento e il mondo attuale, Bruno Mondadori
  • F. De Franchis, Dizionario giuridico italiano-inglese, Giuffrè
  • Carlo Salinari, Vocabolario della lingua parlata in Italia, Paravia
  • M. Materazzi, Verso il 2000, Thema
  • A. Brancati, Fare storia, La Nuova Italia

Il Ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro invita il centro-destra ad un ripasso della Costituzione e parla di "censura inaccettabile"[14]. Migliaia di studenti scendono in piazza contro l'attacco ai libri di testo[15]. Anche per iniziativa del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi i toni della polemica vengono abbassati e Storace ritira la mozione[15]. Nell'aprile del 2008 Marcello Dell'Utri torna ad attaccare i libri di testo: "I libri di storia, ancora oggi condizionati dalla retorica della Resistenza, saranno revisionati se dovessimo vincere le elezioni. Questo è un tema del quale ci occuperemo con particolare attenzione"[16]. Quando, il 13 aprile, il PDL vince le elezioni, ha una maggioranza imponente, ma il progetto di Dell'Utri non viene perseguito: "si tratta di un'operazione rischiosa e del tutto inutile, perché l'onda lunga del revisionismo ha ormai raggiunto anche i lidi più lontani e protetti"[15]. Durante il primo decennio del XXI secolo, una schiera di storici si è dedicata a rivisitare alcuni momenti chiave della storia nazionale "con il preciso intento di offrirne", secondo Del Boca, "una versione edulcorata, purgata dagli episodi più crudi, più simile ad una favoletta che alla ricostruzione di un periodo storico"[17].

Tra questi Arrigo Petacco: secondo Del Boca, nella sua Faccetta nera. Storia della conquista dell'impero (2003), Petacco sforna un numero impressionante di errori. L'impresa d'Etiopia "viene contrabbandata come un'impresa necessaria e urgente", giustificata dalla crudeltà dell'imperatore Hailé Selassié. L'impiego sistematico delle armi chimiche si trasforma in Petacco in un uso "in situazioni particolari"[18].

Come Montanelli in passato e come poi Petacco, anche Bruno Vespa e Giampaolo Pansa sono protagonisti di questa formula editoriale del libro-strenna: Sergio Luzzatto denuncia quella che egli ritiene "penosa inconsistenza storiografica e [...] insidiosa valenza ideologica" del volume di Vespa Vincitori e vinti. Le stagioni dell'odio dalle leggi razziali a Berlusconi e Prodi[19]:

«La guerra di liberazione come una carneficina altrettanto sanguinolenta che gratuita; gli eccidi perpetrati dai neri ampiamente compensati da quelli perpetrati dai rossi; il delitto Gentile contro il delitto Rosselli, i fratelli Govoni contro i fratelli Cervi, il "triangolo della morte" contro la Resistenza sulle montagne, eccetera.[20]»

Quanto a Pansa, dopo un'iniziale sincera adesione ai valori antifascisti, con Il sangue dei vinti. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile (Sperling Kupfer, 2003) egli, secondo Del Boca, "comincia a gettare fango, a piene mani, sull'antifascismo e la Resistenza"[21].

«Egli sa benissimo, nel calcare la mano su certi lati oscuri della guerra di liberazione, di non rivelare nulla di nuovo, nulla di essenziale, nulla di indispensabile, perché lo hanno preceduto, sul piano narrativo, Fenoglio, Calvino e il sottoscritto, e, nell'ambito della ricerca scientifica, storici di professione come Claudio Pavone, Mirco Dondi, Guido Crainz, Santo Peli, Massimo Storchi, Ermanno Gorrieri[21]»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 9.
  2. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 11.
  3. ^ a b Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 12.
  4. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 19.
  5. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., pp. 12-3.
  6. ^ a b c Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 13.
  7. ^ a b c Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 14.
  8. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., pp. 14-5.
  9. ^ a b Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 15.
  10. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., pp. 15-6.
  11. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., pp. 16-7.
  12. ^ Simona Casalini, Lazio, AN censura i libri di testo: "Troppa storiografia marxista", la Repubblica, 10 novembre 2000.
  13. ^ a b Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 17.
  14. ^ Roberto Zuccolini, Libri di testo, la Lombardia con il Lazio, Corriere della Sera, 11 novembre 2000.
  15. ^ a b c Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 18.
  16. ^ Francesco Grignetti, Dell'Utri: via dai libri di scuola la retorica della Resistenza, La Stampa, 9 aprile 2008.
  17. ^ Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., pp. 18-9.
  18. ^ Arrigo Petacco, Faccetta nera. Storia della conquista dell'impero, ed. Mondadori, Milano, 2003, p. 10, citato in La storia negata, 2009, cit., p. 19.
  19. ^ Pubblicato a Milano da Mondadori nel 2005.
  20. ^ Sergio Luzzatto, Sangue d'Italia. Interventi sulla storia del Novecento, Manifestolibri, Roma, 2008, pp. 86-7, citato in La storia negata, 2009, cit., p. 21.
  21. ^ a b Angelo Del Boca, Introduzione a La storia negata, 2009, cit., p. 21.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]