Utente:Nemesis2012/Sandbox

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Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Singolare, letterariamente, ma non infedele nella sostanza, è l’autoritratto che Stefano Miccolis – precocemente mancato il 1° dicembre 2009, a Corato, sua città natale – aveva steso pochi anni fa a corredo di un volume di Atti di un convegno labrioliano. «Preso da irrefrenabile fervore – scriveva di sé stesso – dedicò 10 anni della sua prima maturità al temerario tentativo di cambiare il mondo. Preso atto della inanità dei suoi sforzi decise alla fine degli anni settanta di approfondire la conoscenza di Antonio Labriola; ritenendolo un buon punto per capire la storia d’Italia, e concepì l’arduo disegno di erigergli un monumento con l’edizione del suo ricco carteggio [...] a tal fine si muove assai raramente dal luogo, Perugia, dove ha scelto di vivere e le poche volte solo nella speranza di arricchire il carteggio o nell’intento di meglio commentarlo. Per dipingere il suo costume di vita, ripeterebbe quel che Carlo Emilio Gadda diceva di sé “che cosa fai tutto il giorno – gli chiedono le persone indaffarate – non ti muovi? – No. Non mi muovo”». In questo curioso profilo gli elementi della sua biografia intellettuale ci sono pressoché tutti. Da Corato, presso Bari, si era trasferito per gli studi universitari a èPerugia, dove poi è rimasto tutta la vita, gaddianamente «non muovendosi», se non per occasioni di studio o per i sempre più frequenti ritorni nel luogo natale, dove alternava le cure di una residenza in campagna agli studi, mai trascurati, anzi perseguiti con una tenacia e una generosità non comune, nemmeno dopo un infarto che l’aveva colpito qualche anno fa. Si era laureato a soli 21 anni con una tesi su “Il pensiero politico crociano e la genesi del liberalismo” discussa con Enrico Berti, nel 1966-1967. Non ne fu contentissimo, ripeteva, ricordano i familiari, nonostante i pieni voti: da qui forse la molla a proseguire per suo conto nella ricerca. Tre anni dopo si abilitò, ancora cum laude, all’insegnamento. Dopo il matrimonio con Marina nel 1969 a Corato, e dopo aver insegnato in vari licei della provincia di Perugia, avrebbe poi occupato stabilmente una cattedra presso un locale istituto tecnico. Non entrò mai all’Università (per le bizzarrie di questo paese, o «le non laudabili», avrebbe detto Labriola, occorrenze della vita universitaria), né forse ha mai pensato di farlo, condividendo – con i suoi ‘maestri spirituali’, Croce e Labriola – una diffidenza, ma bisognerebbe invero dire qualcosa di più forte, per il mondo accademico. Quando veniva presentato a colleghi e docenti, in convegni o occasioni simili, gli si chiedeva regolarmente in che Università lavorasse: la risposta disorientava gli interlocutori, non tanto, evidentemente, perché il caso di uno studioso proveniente dai ranghi della scuola secondaria fosse inedito, ma perché lo spessore metodologico, la qualità, la coerenza, la continuità e la rilevanza dei suoi lavori, e la stima diffusa che glien’era derivata, non facevano sospettare che fossero frutto dello scarso tempo destinabile alla ricerca di un docente di scuola media, privo del supporto di una istituzione universitaria. Allo studio e all’insegnamento unì un’intensa attività politica, come responsabile del settore culturale del PCI per la Regione Umbria. Al PCI si era avvicinato da un’originaria formazione liberale. A Mario Pannunzio aveva scritto il 4 marzo 1966, in occasione della cessazione del «Mondo»: «Io, crociano fazioso, laico fino alla cima dei capelli, antifascista alla Gobetti, anticomunista alla Einaudi, liberale non malagodiano anche se iscritto alla GLI, ho perduto il giornale che non mi faceva sentire del tutto isolato in questa Italia clericale e reazionaria anche nei suoi partiti rivoluzionarî (o pseudo-rivoluzionarî»). Croce e Gobetti, dei cui scritti aveva una conoscenza non superficiale, e di cui raccoglieva da appassionato bibliofilo le pubblicazioni, rimasero sempre per lui dei punti di riferimento: con Labriola erano i segni di una Italia ‘civile’ del Novecento, i cui contorni egli vide drammaticamente e inesorabilmente sfaldarsi negli ultimi decenni. Fu certo dall’interno dell’esperienza nel PCI, ma anche dal giudizio sulle cose italiane, che maturò l’attenzione per il ‘caso Labriola’, al quale dedicò gran parte delle sue energie dopo l’abbandono dalla politica attiva. Nell’esperienza di Labriola, nel suo passaggio al marxismo, dopo gli anni dell’apprendistato alla severa scuola della Destra storica hegeliana, Miccolis vide – in un periodo in cui si discuteva ancora molto di lui, anche se già si intravedevano con la crisi dello storicismo i sintomi di un appannamento dell’attenzione storiografica – un momento chiave della vicenda politica italiana. Col Labriola, non purus philosophus, ma con quello delle conversazioni, delle lezioni e del commercio epistolare, sostenitore di un’idea della filosofia come «istrumento critico», atto a rileggere e ripensare i modi della vita e della cultura italiane, col Labriola severo osservatore dei vizi nazionali di lungo periodo, delle tare ereditarie degli intellettuali nostrani (la retorica, il pressappochismo, il conformismo, il trasformismo), fustigatore del dogmatismo settario, del massimalismo parolaio, del formalismo astratto, della politica gridata, Miccolis era particolarmente simpatetico. Definì molto presto il suo programma di lavoro: già nel 1983, recensendo i tre tomi dell’Epistolario usciti presso gli Editori Riuniti (Epistolario 1861-1904, con introduzione di Eugenio Garin, a cura di Delia Dugini, Valentino Gerratana, Renzo Martinelli, Antonio A. Santucci, voll. 3, Roma, Editori Riuniti 1983), pose il problema di una edizione complessiva del carteggio, fonte primaria e irrinunciabile per la ricostruzione – preliminare al lavoro interpretativo – della biografia e dell’itinerario intellettuale di Labriola. Riprendeva insomma, ma su basi più ampie e metodicamente assai più sorvegliate e mature, le cure che Luigi Dal Pane aveva dedicato al Cassinate, per sottrarlo all’oblio e ricostruirne integralmente figura e testimonianze. Nel 1980 Miccolis cominciò a render noti frammenti dell’epistolario: da allora, con invidiabile pazienza, si mise a sbrogliare il «nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire “gomitolo”» – ripeteva spesso con Gadda – del carteggio di Labriola, rintracciandone i resti per gli archivi privati e pubblici di tutta Europa, ricomponendoli, ridando loro un assetto cronologico credibile, correggendo le centinaia di errori di lettura, sviste e datazioni erronee che si erano accumulate in dozzine di edizioni parziali. Amava paragonare il suo lavoro più a quello di un detective (e anzi, di nuovo, proprio a quello del gaddiano commissario Ingravallo, che considerava, scherzando, quasi una proiezione letteraria di se stesso) che a quello di un filologo: ogni nuova acquisizione era un indizio o pista per giungere ad altri corrispondenti, ad altri fondi inediti, ad altri scritti sconosciuti, per chiarire note, personaggi e circostanze di un commentario sempre in progress. Alternava all’indagine principale severe – e temutissime! – istruttorie su edizioni di carteggi (da Croce, a Prezzolini etc.) o di testi, condensate in recensioni, che sono dei veri e propri sistematici errata corrige – non richiesti a dir vero dai curatori che ne uscivano talora malconci – ma da ritagliare e conservare uniti ai volumi recensiti, come un irrinunciabile strumento: Miccolis rifaceva per suo conto il lavoro, fiutava falle e sviste e ricontrollava sistematicamente le fonti. Le sue disamine sono parse a volte eccessivamente dure, anche per via di una graffiante ironia alla quale non sapeva sottrarsi: occorre però ricordare che Miccolis poteva ripetere con Labriola: «sono severo giudice di tutto e di tutti, e perfino di me stesso», tanta era la cura e lo scrupolo, mai soddisfatto, attorno alle proprie scritture. E questo gli è valso la stima e il riconoscimento intellettuale anche di chi con lui ha bruscamente polemizzato o dissentito. Il risultato di questo lavoro infaticabile – che come osservò Claudio Cesa, presentandolo pubblicamente – segna l’inizio di una «nuova fase» negli studi labrioliani, declinanti ormai a fine Novecento in apporti specialistici o in celebrazioni di ricorrenze, alterne per vivacità di contributi, è il grande Carteggio labrioliano. In uno spazio di tempo relativamente breve, apparvero dapprima, dall’esplorazione di nuovi archivi, le Lettere inedite (Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1988), poi Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel fondo Dal Pane, Archivio Storico per le Province Napoletane (Società napoletana di storia patria, 1990-91); e infine i cinque tomi del Carteggio (Napoli, Bibliopolis, 2000-06), edito per gli auspici e il contributo dell’Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli e dell’Università Orientale e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società napoletana di storia patria. Il Carteggio raddoppia il numero delle lettere rispetto all’edizione del 1983, e solo per questo dato numerico potrebbe considerarsi un evento letterario, probabilmente l’acquisizione più importante tra le fonti della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l’esperto più sicuro della impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva, del milieu degli infiniti contatti di un intellettuale che si vantava, iperbolicamente, di conoscere «mezza Italia», della spezzettata, dispersa e contorta bibliografia labrioliana, difficile da dominare: si era anche impadronito, in base a una sensibilità linguistica non comune, del “vocabolario” dell’Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe. Sulla base dei dati e delle rettifiche al carteggio, ma anche dell’esplorazione bibliografica, Miccolis ha offerto contributi decisivi alla biografia labrioliana, esposti un in nutrito numero di saggi sparsi nelle varie riviste cui ha sistematicamente collaborato («Rivista di storia della filosofia», il «Giornale critico della filosofia italiana», «Belfagor», «Critica storica», «Nuovi studi politici», etc.): la ricostruzione del periodo ‘moderato’ – del Labriola pubblicista degli anni Settanta – così come dell’ultimo tormentato interprete del marxismo e partecipe della vita politica italiana di fine secolo, sono fra i suoi contributi esegetici più rilevanti. E vale la pena anche menzionare almeno il profilo di Labriola steso per il Dizionario biografico degli italiani (e in parte riedito in «Belfagor» nel 2005), scheletro di una compiuta biografia che Miccolis non ha potuto e forse non ha voluto stendere, così impegnato sul piano del reperimento delle fonti che lo teneva lontano (anche questa volta in empatia col suo auttore) dall’idea di «fare il libro»1. Anche al di fuori del carteggio, gli apporti documentari di Miccolis alla bibliografia labrioliana sono notevoli: numerosi scritti politici, sconosciuti o rari, pubblicati in varie sedi tra il 1984 e il 1993, una gran quantità di recensioni, talora anonime, identificate attraverso una minuziosa e convincente analisi linguistico-concettuale; l’edizione delle vivaci corrispondenze alle «Basler Nachrichten» (Napoli, Bibliopolis, 1998); quella degli interventi di è[Labriola]] su Bruno (A. Labriola, Giordano Bruno scritti editi ed inediti (1888-1900), Napoli, Bibliopolis, 2008, pp. 29-48), raccolti insieme a chi scrive in seguito a una discussione fra noi – accanita e a tratti ruvida, come sempre, ma franca – sui dettagli degli spunti bruniani nel Carteggio; l’edizione critica de L’università e la libertà della scienza (Torino, Aragno, 2007). Tra i frutti delle ricerche di Miccolis è anche da ricordare la sua aggiunta alla bibliografia labrioliana – con la segnalazione di una ventina di titoli – edita in appendice a un suo lavoro del 1993 sul «Giornale critico della filosofia italiana» (Frammenti politici di Antonio Labriola con una postilla bibliografica). Né sono da dimenticare alcuni puntuali saggi su Croce, Sorel, Prezzolini, Turati ed altri: in tutto, il corpus degli scritti di Miccolis ammonta a più di 120 tra volumi, saggi e recensioni. Tra gli altri incuriosisce L’arco di Costantino e i Turchi nella pittura italiana del Quattrocento con due tavole fuori testo («Belfagor», 1998, n. 315, pp. 277-296), scritto quasi per scommessa con se stesso (per praticare, mi diceva, l’«invasione di campo», che è poi il segno autentico della «cultura»): un testo eccentrico, di un autore per niente incline alle nugae e che va inquadrato semmai nell’attività di insegnante che Miccolis ha svolto per parecchi anni presso l’è[Accademia di Belle arti di Perugia “Pietro Vannucci”]], dove teneva un regolare corso di estetica. Miccolis collaborava infine intensamente con l’Istituto italiano per gli studi storici, attraverso un lavoro oscuro e prezioso di revisione dei vari carteggi crociani via via messi in cantiere, e con l’Edizione nazionale delle opere di Croce, i cui volumi in parte passavano al vaglio del suo controllo sull’apparato. Da alcuni anni era anche uno dei principali animatori dell’Edizione nazionale delle opere di Labriola, da poco varata ed entrata in fase operativa: uno dei primi volumi, la cui uscita è prevista a breve scadenza, avrebbe dovuto essere l’XI (Da un secolo all’altro e altri scritti 1896- 1903), cui aveva atteso, in collaborazione con chi scrive, fino agli ultimi giorni. Dell’Edizione nazionale aveva contribuito a definire il piano editoriale, fissandone con chiarezza i criteri metodologici, e aveva studiato attentamente il problema del rapporto tra l’opera edita di Labriola e il fondo manoscritto della Società napoletana di storia patria: il proseguimento dell’Edizione, nei canoni di un severo esercizio critico ed ecdotico, costituirà probabilmente l’omaggio più importante e meno rituale allo studioso scomparso. Alessandro Savorelli e Stefania Miccolis hanno curato recentemente due raccolte di scritti: S. MICCOLIS, Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica, a cura di, Milano, Unicopli, 2010 (con un’avvertenza di Marzio Zanantoni), e, in corso di stampa, nei «Quaderni dell’edizione nazionale delle Opere di Labriola», n. 2., il volume Gli scritti politici di Antonio Labriola editi da Stefano Miccolis.