Utente:Jpr31/Sandbox

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Il contesto e le origini

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L'istituzione del Partito Fascista Repubblicano avvenne il 18 settembre del 1943,  solo pochi giorni dopo la liberazione di Mussolini dal carcere orchestrata dai nazisti in quella che era stata chiamata l'Operazione Quercia . La fondazione del Partito Fascista Repubblicano, come la neo-nata Repubblica Sociale Italiana, vanno quindi comprese nel contesto del tentativo nazi-fascista di mantenere il controllo del Nord Italia[1]. Il primo raduno del partito ebbe luogo al Congresso di Verona del 14 novembre 1943 dove venne emanato il Manifesto di Verona, un documento programmatico che tentava di armonizzare le diverse anime del fascismo: i gerarchi, i movimentisti e i fascisti di idee socialisteggianti. Il manifesto sancì la fondazione del Partito Fascista Repubblicano guidato da un leader che sarebbe stato eletto ogni cinque anni[2]. Il 15 novembre  del 1943, venne eletto il primo segretario,  Alessandro Pavolini . A lui si deve anche la creazione nel giugno 1944 delle Brigate Nere, create appunto con lo scopo di fungere da braccio armato del partito.  

Le relazioni con il popolo

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A causa del forte controllo dei tedeschi, il potere del Pfr nel contesto della Repubblica di Salò fu sempre molto limitato. Allo scopo di ovviare a questa connaturata debolezza il Partito tentò di ottenere il supporto dei pochi strati della popolazione che ancora simpatizzavano per il fascismo[3]. Nelle province sotto il controllo dei tedeschi, il Pfr era organizzato in tre enti denominati: “Politico”, “Amministrativo”, e “Assistenza” [3]. “L’assistenza,” chiamato anche “l’Ente nazionale di assistenza fascista”, venne costituito all’inizio dell’ottobre 1943[2]. Nella mente dei vertici del partito, l'Assistenza sarebbe dovuta essere una continuazione dei potenti quadri di militanti e volontari del precedente Partito Nazionale Fascista [3].

Organizzato in gruppi provinciali formati da privati cittadini, questo ente doveva svolgere diverse funzioni tra cui la gestione dei patrimoni confiscati agli ebrei e il supporto della popolazione italiana colpita dai bombardamenti[2]. Le donne ebbero un ruolo importante nell’Assistenza. I Fasci femminili si chiamavano “Gruppi” ed erano tipicamente formati dalle mogli dei combattimenti,  dei caduti o dei prigionieri. Il Consiglio dei ministri della Rsi istituì il Servizio ausiliario femminile del Pfr il 18 aprile del 1944[2].

Ci fu conflitto tra il Pfr e la chiesa cattolica durante questo periodo. I capi del Pfr pensarono che un paese secolo fu meglio per gli obiettivi della Rsi di difendere il paese durante la guerra e di promuovere le idee fasciste. Vorrebbero che solo i sacerdoti patriottici in favore del nazionalismo italiano li supportassero. In generale, il Vaticano criticò il Pfr per la sua propaganda ingannevole[2].

Le relazioni con gli ebrei e l’antisemitismo

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Il Pfr continuò la politica di persecuzione contro gli ebrei iniziata in Italia con le leggi razziali. Su questa scelta pesò non solo l'influenza degli alleati nazisti, ma anche il fatto che accanto ai badogliani e ai massonici, gli  ebrei venivano additati dai vertici del partito come i responsabili del crollo del regime successivo all'8 settembre [2]. L’articolo 7 del Manifesto di Verona specificava che: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”[2].

Questa ideologia si tradusse nell'arresto degli ebrei e nel sequestro dei loro beni. Il 4 gennaio 1944, un decreto iniziò per decreto di Mussolini il sequestro dei beni degli ebrei. Il partito ebbe un ruolo importante nel raccogliere informazioni relative alle proprietà degli ebrei presenti sul territorio e di comunicare queste informazioni ai capi provincia[2]. Nel luglio del 1944, nel contesto della militarizzazione del partito, venne creato il “Corpo ausiliario delle Squadre d’azione delle Camicie nere,” una sottodivisione delle Brigate Nere, che ebbe un ruolo chiave nei rastrellamenti degli ebrei[2].

Il PFR e il Fascimo nel Sud Italia

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Il Pfr supportò anche l'organizzazione di gruppi clandestini di fascisti che erano attivi nei territori del sud Italia. Lo scopo di questi gruppi era di tenere di tenere in vita la causa fascista e contrastare l'avanzata degli alleati. Malgrado il loro fallimento, la memoria delle loro operazioni di rappresaglia ebbe nel dopo guerra (e oltre), un ruolo importante nell'ideologia del neofascismo[2].

Il 28 aprile 1945, i partigiani rapirono ed uccisero Mussolini che tentata di fuggire al nord con il militare tedesco[1].

Il ruolo politico del Pfr non fu molto pratico in considerazione dell’occupazione tedesco. Infatti, Mussolini non frequentemente partì dal suo ufficio a Salò perché i tedeschi ebbero il controllo sopra di lui. I partigiani rapivano e uccidevano lui il 28 aprile 1945 durante il suo attentato di fuggire al nord con il militare tedesco[1]. Il Partito si sciolse lo stesso giorno della Morte di Benito Mussolini. Dopo la guerra in Italia, dei suoi esponenti come Pino Romualdi, Giorgio Pini e Giorgio Almirante, parteciparono alla fondazione il 26 dicembre 1946 del Movimento Sociale Italiano.

  1. ^ a b c Phillip Morgan, Italian fascism: 1915-1945, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2004, pp. 224-232.
  2. ^ a b c d e f g h i j Roberto D'Angeli, Storia del Partito Fascista Repubblicano, Roma, Castelvecchi, 2016, pp. 27-138.
  3. ^ a b c Dianella Gagliani, Il Partito nel Fascismo Repubblicano Delle Origini: Una Prima Messa a Punto, in Rivista di Storia Contemporanea, vol. 23, n. 1/2, 1° gennaio 1994, pp. 130-169.