Utente:IlariaMan/Orujo

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Orujo di erbe.

L'orujo, [1] anche conosciuto come acquavite di orujo, è la bevanda alcolica distillata proveniente dalla buccia dell' uva. A volte, di forma più generica, si chiama orujo qualsiasi tipo di acquavite.[2]

Definizione nominale

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Orujo proviene etimologicamente dal latino classico “involucrum”, con il significato di involucro. Nel latino tardivo ha perso la prima sillaba, convertendosi in “volucrum”, più vicino già a “orujo”. Il dizionario della Reale Accademia Spagnola dà come prima accezione di orujo “buccia dell'uva, dopo la spremitura e privata di tutta la sua sostanza”. Ma accoglie una terza accezione che dice "acquavite". Come seconda accezione parla di “residuo dell'oliva tritata e pressata, dalla quale si estrae olio di inferiore qualità". Anche se in queste due accezioni questo dizionario menziona solo l'oliva e l'uva, nell'occuparsi della parola “caspia" la accredita come "orujo di mela".



La “brisa”, secondo lo stesso dizionario, è uno specifico orujo: quello dell'uva.[3] Un'altra parola spagnola sinonimo è casca. Il dizionario della RAE la definisce come “buccia dell'uva dopo essere stata pistata e spremuta”.

Al di fuori della lingua spagnola

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Esiste il termine schnapps, che gli inglesi scrivono con due p e i tedeschi con una sola p: Schnaps. È una parola di origine medioevale non latino, imparentata con grape —uva in inglese—, con grappe —grappolo d' uva, in francese— e con le italiane grappo, grappolo e grappa. Si chiama “grappa” il raspo che rimane del grappolo, dopo aver tolto l'uva. Si intende anche, come seconda accezione, l'acquavite ottenuta per distillazione alcolica delle vinacce.[4]

In italiano la "casca" si chiama vinaccia: “vinaccia vergine”, se non è fermentata e “vinaccia fermentata”, se lo é. In tedesco si usano i termini "Tresterbranntwein" o "Tresterschnaps". Trester è l'orujo propriamente detto, ossia, la buccia. In francese sia l'acquavite di orujo che l'orujo stesso sono chiamati “marc”. “Marc” proviene da “marcher” e fa riferimento al pestaggio con i piedi dell'uva.

In inglese si utilizza la parola francese “marc” per designare l'acquavite. Per designare la vinaccia si utilizza la parola “pomace”, proveniente dal latino “pomum”, che significa frutto, qualsiasi frutto e non soltanto la mela, chiamata in latino “malum”. “Grape pomace” sono le vinacce mentre la sansa è chiamata “winery pomace”.

In portoghese e in galiziano la parola usata è “bagaceira” o “bagazo”, che proviene da “bago”, che significa chicco d'uva, proveniente a sua volta dal latino “baca”, che in spagnolo é diventato “baya”. Il termine serve per designare sia l'acquavite, sia la vinaccia con cui si fa. In Galizia l'orujo si conosce come “augardente” o “caña". In realtà "augardente" é una parola molto generica, che si può applicare a liquori diversi dall'orujo.


In catalano si dice "oruxo".

Tipi di orujos

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Quando si parla di orujo come bevanda, si intende il distillato ottenuto dalla sansa o dalla buccia dell'uva, indipendentemente che sia fresca o fermentata, insilata o non insilata. Alcune distillerie realizzano anche il distillato di bucce con il vino, in cui, nell'alambicco, oltre al vino devono esserci le bucce. In questo si differenzia l'acquavite di vinacce da quella di vino chiamata "brandy". Nel caso del brandy, nel liquido che si distilla non sono presenti questi residui solidi chiamati "orujos". Quando si distillano unicamente le bucce d'uva in corrente di vapore, l'alcol che si ottiene dopo questo processo è chiamato acquavite di vinacce, base di tutti i liquori di orujo che si elaborano dopo per macerazioni o miscele con altri tipi di prodotti. Questa è la differenza essenziale tra l'acquavite di vino e quella di vinacce.

La bevanda chiamata orujo non è l'acquavite risultante dalla distillazione del vino ottenuto pestando fortemente l'uva, bensì l'acquavite risultante dalla distillazione delle bucce dell'uva.

Per piquette Grossman intende “un vino comune e ordinario usato in alcune zone della Francia”.[5] Il Petit Larousse Illustré del 1918 è più preciso e accurato e da la seguente definizione di piquette: “Bevanda che si ottiene gettando acqua sui residui della spremitura dell'uva. Di conseguenza, vino cattivo”. Piqueta (vinello) è una parola utilizzata solitamente nella terminologia del vino, ma non appare nel dizionario della Reale Accademia Spagnola. Il regolamento comunitario spagnolo, per quello che stabilisce l'organizzazione comune del mercato vinicolo, considera la piqueta ad effetti legali il prodotto ottenuto: 1º “mediante la fermentazione di residui freschi di uva macerati in acqua” e 2º “per impoverimento con acqua di residui di uva fermentata”.[6] La piqueta è un vino; non un'acquavite. Per ottenere l'orujo di piqueta, è necessario distillare la piqueta in presenza di vinacce.

Per “caldo de pozo” si intende il liquido residuale dei residui immagazzinati. Il dizionario della Reale Accademia per “vinaza” intende “specie di vino che si preleva dagli ultimi fondi”. Al riguardo conviene prestare attenzione alla distinzione tra “vinaza” e “vinazas”.[7] Anche con la vinaza si può ottenere acquavite di orujo, sempre che la distillazione sia accompagnata da vinacce presenti nel bollitore.

Non si deve cadere nell'errore —frequente anche nei dizionari delle bevande alcoliche— di intendere che l'acquavite di orujo sia fatta con vinello, fecce e con altri tipi di residui. Cosa ben diversa è che la legge permetta di vendere come orujo l'acquavite di orujo proveniente da fecce e residui insilati, ecc. E' frequente anche che la legge spagnola permetta una maggiore quantità di alcol metilico nell'acquavite di orujo che nelle acquaviti di vino. Senza andare più lontano, il regolamento comunitario 110/2008 stabilisce per l'orujo un contenuto massimo di alcol metilico di 1 000 g/hl di alcol a 100 % vol.[8] Invece, per le acquaviti di vino stabilisce un contenuto massimo di alcol metilico di 200 g/hl di alcool a 100 % vol.[9] Ma a volte l'orujo è fatto con la prima frazione del mosto e contiene molto poco alcol metilico. Quello che è definitorio dell'acquavite di orujo è che la distillazione si porti a termine con la presenza di vinacce; ma non che il vino utilizzato sia di cattiva qualità o che contenga alcool tossici.

Materia prima

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Chi coltiva uva può utilizzarla per produrre vino o acquavite. La tendenza naturale è produrre vino, brandy o orujo, secondo quello che si reputa migliore nel mercato, in cui la materia prima —l'uva— è la stessa. Negli sfruttamenti agricoli familiari si adotta il seguente criterio. Si pressa leggermente l'uva, e questa leggera pressatura produce un buon mosto, con cui si elabora un vino molto buono con grande successo. Questa prima pressatura può effettuarsi a una pressione di un chilogrammo per centimetro quadrato, che rappresenta il settanta per cento del mosto estraibile. Ma quell' uva già spremuta è ancora utile. Con un'altra pressatura a una pressione di 4 chili si ottiene un altro quindici per cento, che è già buono da bere come vino. Si può pressare ancora di più, fino ad arrivare a creare un'acquavite, o un brandy destinato all'alambicco per usi industriali. Con questo brandy, però, si può fare anche un'acquavite di orujo. La legge spagnola 25/1970 del 2 dicembre definiva ancora l'acquavite di vinacce tra i sottoprodotti dell'uva.

In Italia si è scoperto un ottimo mercato della “grappa”, cioè l'acquavite di vinacce, purché prodotta con materiali di buona qualità: prima frazione di mosto e vinacce di prima qualità. L'accoglienza di questo prodotto è stata eccellente. Per riscattare la vinaccia dalla sua reputazione di sottoprodotto economico, è stata posta grande cura nella presentazione in contenitori di vetro molto eleganti. La parte legnosa è stata totalmente eliminata. Non dimenticare che "grappa", oltre la bevanda, significa raspo, cioè la parte legnosa del grappolo. Quello che divenne un sottoprodotto fu il possibile vino da tavola risultante, dopo aver destinato la prima frazione del mosto alla produzione di acquavite di vinacce.

Attualmente le acquaviti di orujo sono presentate con frequenza come monovarietali, indicando il vitigno con cui sono state prodotte: grappa di moscato, grappa di lambrusco, di godello, ecc. Giustamente il diritto comunitario, dopo aver imposto dei requisiti comuni a tutte le acquaviti di orujo dell'Unione Europea, ha stabilito a suo tempo che soltanto quelle italiane possono recare la denominazione di vendita “grappa”.[10] Dopo il successo delle “grappe” in molti paesi, hanno cominciato ad essere introdotte sul mercato le acquaviti di orujo. Moët & Chandon vende con successo un “marc di Champagne” molto raffinato e digestivo. In Galizia l'orujo o “augardente” ha smesso di essere una bevanda raccomandata preferibilmente a dei distillatori ambulanti chiamati “poteiros”, per migliorare tanto la materia prima come la distillazione, ottenendo denominazioni comuni come “Indicación Xeográfica Protexida Orujo di Galizia".[11]

Esistono una serie di bevande ad alta gradazione a volte chiamate “alcool bianchi”, ossia, trasparenti. Il rum può essere bianco o invecchiato. Ma l'acquavite di vino non invecchiato e pertanto cristallino, chiamato "holandas", ha smesso di avere il suo posto nel mercato come bevanda solita.[12] Le holandas sono un'acquavite di vino non invecchiato, a differenza di ciò che accade con il brandy. L'inclinazione per l'acquavite di vino invecchiato e marrone ha spostato quasi completamente il mercato dell'acquavite bianca di vino. Con l'acquavite di orujo risorge come bevanda abituale l'acquavite giovane e cristallina. In realtà la presenza di vinacce nel distillato è poco meno che simbolica. Tuttavia, qualche volta anche gli orujos sono invecchiati in botti di quercia, nelle quali acquistano delle caratteristiche simili a quelle del brandy. Ciò accade con la "grappa invecchiata", orujo invecchiato, di colore marrone chiaro. Se quello che si distilla è un buon vino quasi senza presenza di vinacce, il risultato è quello che potremmo chiamare un brandy bianco, se non lo si è lasciato invecchiare.

Questo alcolico, chiamato acquavite di orujo, può essere molto tossico e contenere molto acol metilico e isobutanolo, o al contrario essere molto meno tossico del brandy. Bisogna conoscere bene quello che si sta bevendo nel caso dell'orujo. Può risultare o molto tossico o tutto il contrario.

Acquaviti di orujo composte

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Oltre all'acquavite semplice di orujo - la più emblematica è la grappa, di cui abbiamo trattato fino ad ora -, l'acquavite di orujo è molto utilizzata per l'elaborazione di acquaviti composte: orujo di erbe, orujo all'anice, orujo alle ciliegie, ecc. Di solito si sceglie per queste acquaviti composte un orujo molto corretto e, pertanto, con pochi resti di vinacce. L'acquavite di orujo, come la vodka, è molto usata come base alcolica di liquori caserecci. Esistono molteplici ricette, facili da trovare. Solitamente sono abbastanza dolcificate. E secondo i gusti si aggiunge o no la cannella.

Spiccano tra gli orujos composti quelli di erbe, come il “Kalper”, catalano, o il “Zarate”, galiziano e tante altre marche commerciali. Fuori dalla Spagna, in Turchia, molti raki consistono in un'acquavite di orujo all'anice. Gli orujos all'anice sono frequenti anche in America del Sud.

Il menzionato regolamento comunitario spagnolo 110/2008 considera che la denominazione di vendita “orujo” è riservata alle bevande ottenute con le bucce dell'uva. Con il resto dei residui quello che si ottiene come denominazione di vendita è la “acquavite di residui di frutta”.[13] È possibile distillare sidro in presenza di bucce di uva e roba simile; ma né le leggi si occupano di questa possibilità, né le persone la mettono in pratica.

L'acquavite di orujo nel mondo

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Un buon criterio per addentrarsi nel mondo delle acquaviti di orujo consiste nel raggrupparle sulla base della parola vernacolare utilizzata per designarle, indicando il paese di provenienza: “orujo” per la Spagna e i paesi di lingua spagnola; “bagaçeira” per il Portogallo e i paesi di lingua portoghese; “marc” per la Francia e i paesi di lingua francese o inglese; “grappa” per l'Italia; tsikoudia e tsipouro per la Grecia; zivania per Cipro; törkölypálinka per l'Ungheria, ecc.

L'orujo in Spagna

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Una bottiglia, "tocho de orujo cántabro" della casa 'Sierra dell'Orso'.
Gama de licores de orujo
Gamma di liquori di orujo

È una bevanda molto popolare in Cantabria, le cui origini risalgono al XIV secolo nella Valle di Liébana. In tempi recenti ci sono due momenti chiaramente differenziati, prima e dopo l'intervento di Hacienda. Prima che Hacienda esigesse l'etichettatura dei liquori, la produzione era totalmente familiare e il consumo, di conseguenza, era molto più limitato, praticamente non si vendeva una bottiglia di orujo fuori dalla valle lebaniega. Posteriormente, una volta che Hacienda ha cominciato a riscuotere le imposte corrispondenti, sono scomparsi quasi tutti i piccoli produttori, il cui spazio è stato occupato da imprese che si dedicavano esplicitamente alla produzione di orujo; ciò nonostante, si produce ancora in forma familiare, per consumo proprio. Attualmente si è convertita in una bevanda festiva comune in Cantabria, oltre ad avere delle giornate in cui si celebra annualmente il Giorno dell'Orujo, con un'affluenza massiccia.

Questa bevanda è molto popolare nelle zone del nord della Penisola iberica e in Galizia gode di una grande tradizione per quello che si produce e distribuisce a livello commerciale sotto la denominazione specifica di Orujo di Galizia e al contempo per quello che si produce in forma artigianale per autoconsumo.[14]

Ha numerose varianti: acquavite bianca, acquavite crema (crema di orujo) e l'acquavite di erbe o acquavite con caffè (liquore di caffè o liquore-caffè), i cosiddetti "tè dei porti" o "caffè dei porti" (passi di montagna) per i cacciatori e pastori di montagna, e altri meno conosciuti di questi.

L'orujo è anche una bevanda che si produce nella provincia di León, dove spicca la produzione di El Bierzo, e in quella di Zamora, specialmente nella regione montuosa di Sanabria.

Allo stesso modo si produce in zone di montagna dell'Andalusia, come la Sierra de Segura, soprattutto nel villaggio jiennense di Vites (Santiago-Pontones).

Note e riferimenti

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  1. ^ Pronunce per Orujo, su it.forvo.com.
  2. ^ http://lema.rae.es/drae/?val=orujo, in lema.rae.es.
  3. ^ Proviene dal latino brisa, che si pronuncia, scrive e legge allo stesso modo che in spagnolo, con lo stesso significato.
  4. ^ Così è la doppia accezione de Lo Zingarelli, ed. 1990, ad vocem “grappa”.
  5. ^ Harold J. Grossman, Grossman’s Guide To Wines, Spirits and beers, New York London, 3ª ed. p. 403.
  6. ^ Reglamento 1493/1999 del Consejo de 15 de mayo, Anexo I, n. 22.
  7. ^ In spagnolo, anche se la parola non appare nel dizionario dell'Accademia, si chiama "vinazas" il residuo liquido, con poco alcol, che risulta dalla distillazione di qualsiasi fermentato alcolico, che sia vino d'uva o di qualsiasi altra provenienza. Le "vinazas" che sono ottenute mediante la distillazione del rum, in spagnolo si chiamano anche "dunder", che è una parola inglese con origine incerta.
  8. ^ Anexo II,n. 6, vi.
  9. ^ Ibid. n. 4, a, iii.
  10. ^ Reglamento 1756/89 de 29 de mayo. Art. 1, № 4, f), 1.
  11. ^ Orujo de Galicia
  12. ^ Il dizionario della Reale Accademia Spagnola del 1970 pone a 65 il grado volumetrico di alcol che non deve essere superato per avere quel nome.
  13. ^ Cfr.Anexo II, n. 7.
  14. ^ Orujo de Galicia

 

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