Utente:Facquis/Sandbox/9

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Industria[modifica | modifica wikitesto]

Cantieristica navale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Arsenale di Venezia e Galea.
Una galea veneziana del XV secolo

Tra le attività manifatturiere quella che rivestiva maggiore importanza era la cantieristica navale, a Venezia erano infatti presenti numerosi squeri, piccoli cantieri navali dediti alla costruzione di barche di piccola dimensione e di navi modeste come le cocche. La costruzione della galea, la maggiore nave veneziana sia da guerra che mercantile, però avveniva nell'Arsenale di Stato[1][2]. Risalente alla seconda metà del XII secolo, in pochi decenni divenne il maggiore complesso industriale dell'Europa medievale[3]. Gestito e regolato da diverse magistrature l'arsenale era adibito principalmente alla cantieristica navale, attività che occupava i tre quarti del personale e che era organizzata nella corporazione degli arsenalotti, oltre agli arsenalotti erano presenti anche le maestranze dedite alla produzione cordame, delle armi e dei cannoni[4].

Tessitura e abbigliamento[modifica | modifica wikitesto]

Scuola dei Varoteri, ovvero dei conciai delle pelli di scoiattolo

A partire dal XIV secolo l'industria tessile, inizialmente confinata sull'isola di Torcello, si diffuse in tutto il Dogado divenendo in poco tempo la manifattura più diffusa in tutta la Repubblica di Venezia. La lavorazione della lana avveniva nei mulini del Dogado e dello Stato da Tera, dove era concentrata la maggior parte della produzione. Grazie agli sviluppi tecnologici i panni lana veneziani erano ritenuti di ottima qualità e nel 1602 il settore laniero arrivò a occupare circa 36 000 persone[5], per poi decrescere rapidamente ed essere soppiantato dalle produzioni nord europee dopo la peste del 1630[6].

Anche se di minor importanza, la lavorazione del cotone e del fustagno ricopriva un ruolo rilevante nell'economia veneziana occupando nel XV secolo circa 6 000 persone, oltre un terzo della manodopera dell'intera industria tessile dell'epoca. La tessitura del fustagno era avvantaggiata dalla possibilità di importare il cotone a prezzi competitivi dai mercati orientali. Alla lavorazione del cotone erano collegate un gran numero di arti come quelle dedicate al confezionamento dei vestiti e alla produzione delle vele per la navigazione. La concorrenza tedesca, che a differenza della Repubblica di Venezia disponeva di grandi piantagioni di lino e canapa, provocò a partire dal XVI secolo a un continuo declino della produzione veneziana di fustagno[7].

Tintoria[modifica | modifica wikitesto]

La qualità dei panni di lana prodotti dipendeva da due fattori, i fili dell'ordito e la tintura. La prima corporazione europea di tintori nacque a Venezia nel 1243 e ciò permise di elaborare diverse procedure riassunte da Giovan Ventura Rosetti nel Plictho de l'arte de tentori del 1540, dove in particolare venivano spiegate le lavorazioni per ottenere il rosso, l'azzurro e il nero, colori che a Venezia uscivano particolarmente bene. Il rosso d'alizarina e lo scarlatto erano le due tinte più pregiate e pertanto era possibile tingere di questi colori solo panni prodotti a Venezia o importati da ponente, inoltre sempre secondo il principio di controllo qualità era vietato l'uso del ben più economico legno di pernambuco, che a differenza delle altre due preparazioni scoloriva. Alla fine del XV secolo la corporazione fu suddivisa in Arte maggiore e Arte minore, alla prima appartenevano i tintori da seda, da guado, da grana e da cremese. I primi erano esperti nella tintura della seta, i secondi con l'uso del guado (anche se spesso era utilizzato l'indaco) per ottenere la colorazione blu, mentre gli altri due per la tintura rossa. A causa dell'uso di sostanze chimiche o organiche come il sangue, la tintoria era un processo estremamente inquinante e insalubre, pertanto i provveditori alla sanità nel XV secolo introdussero numerosi provvedimenti per limitare questa attività in città e di conseguenza i laboratori si spostarono in laguna e in terraferma[8].

Seta[modifica | modifica wikitesto]

L'industria serica si insediò a Venezia agli inizi del XIV secolo grazie all'arrivo dei profughi lucchesi, in fuga dai continui attacchi subiti dalla loro città. All'inizio del XV secolo Venezia diventò uno dei maggiori centri dell'industria serica in Italia e in Europa con all'attivo circa 3 000 telai, che scesero a 500 a fine secolo per poi risalire a 1 500 alla fine del XVI secolo[9]. Con la nascita dell'Arte dei Tessitori di Seta la città di Venezia ottenne il monopolio del mercato del vestiario di lusso che nel corso del XVI secolo fu parzialmente ceduto anche alle città di Vicenza e Brescia[10]. I setifici veneziani offrivano una vasta gamma di prodotti che andava dall'ermisino[11] ai rasi, damaschi e velluti fino ai panni intrecciati con il filo d'oro. Questa moltitudine di merci riforniva le botteghe della città e alimentava anche una forte esportazione tanto verso l'Europa e l'Oriente, in particolare verso Costantinopoli[9].

Cuoio e pellicce[modifica | modifica wikitesto]

La lavorazione del pellame per ottenere il cuoio e le pellicce fu ben presto spostata sull'isola della Giudecca e causa dell'inquinamento prodotto fu vietato lo sversamento nei canali delle sostanze chimiche impiegate in conceria[12]. Le sostanze utilizzate erano varie e tra le principali figuravano l'allume di potassio, la calce, l'estratto tannico di corteccia di rovere, le galle di quercia e la più importante, l'acqua dolce che veniva trasportata verso le concerie dalle barche. L'approvvigionamento dell'acqua oltre che all'inquinamento causato portò i mercanti imprenditori a spostare le concerie da Venezia alla terraferma[13].

Le pellicce russe e le pelli d'agnello e montone venivano acquistate dai mercanti in tutta Europa e in Oriente, attraverso i fondachi, tutti i tipi di pellicce del Nord Europa affluivano a Venezia dove venivano trasformate. In tutto questo processo di lavorazione i mercanti rimanevano proprietari delle pellicce e si occupavano di importare le pelli e di esportare i vestiti confezionati a Venezia[14].

L'uso del cuoio era estremamente variegato, dalla produzione delle calzature all'impiego per la guarnizione dei remi e delle vele o ancora per la rilegatura dei libri o altri beni di lusso, lavoro svolto dai cuoridoro, artigiani che lavoravano il cuoio dorato. Erano presenti anche produzioni di guanti e calzature di lusso come i zopieggi, in Italia diffuse con il nome di pianelle. Gli animali da pelliccia erano i più diversi: martore, ermellini, linci, faine, scoiattoli, volpi e ovini le corporazioni che lavoravano queste erano quella dei varotarii, pelli di scoiattolo invernali, dei peliparii, pelli di ovini, e dei glirarii, pelli di ghiro[14]. Le pellicce erano molto diffuse soprattutto tra la nobiltà, sono citati ad esempio pellicce composte da 450 pelli di ermellino o 80 pelli di montone. Sul finire del XVI secolo anche l'industria delle pellicce ebbe un grande decremento passando a Venezia da 404 conciai a 150 nel 1744[13].

Abbigliamento[modifica | modifica wikitesto]

A sinistra la dogaressa nel 1581 in abiti tardo rinascimentali e a destra una donna del 1750 che veste la tonda

Per via del rapporto commerciale con l'Oriente a Venezia si diffusero ben presto l'abbigliamento sfarzoso tipico dei bizantini costituito per lo più da tonache ricamate o trapuntate di colore azzurro, colore simbolo dei veneti. Tra il popolo minuto invece erano diffusi lunghi vestiti di tela decorati da strisce colorate e solitamente le calzature erano sandali di pelle. Sopra la tonaca gli uomini spesso indossavano ampi mantelli oltre a cinture e cappelli. I vestiti delle donne nobili erano di seta ricamata, molto lunghi e scollati, solitamente indossavano anche mantelli a strascico e pellicce di una grande varietà di animali, tra i quali spiccava l'ermellino. Con l'istituzione delle corporazione nel XIII secolo anche l'Arte dei sarti fu regolata e tutelata con l'istituzione dei Sartori da vesti, i Sartori da ziponi e i Sartori da calze e si dedicavano rispettivamente a confezionare vestiti, giacche di fustagno e calze[7].

Con l'inizio del Rinascimento seguendo la moda europea, gli abiti delle nobildonne divennero sempre più sfarzosi, mentre gli uomini cominciarono a portare delle gonnelle abbinate a lunghe calze bicolore. Le strade non essendo selciate rischiavano di sporcare le vesti quindi si diffusero degli zoccoli molto alti che che venivano poi tolti una volta raggiunta l'abitazione. Tra il XV e nel XVI secolo l'influenza barocca portò agli eccessi gli abiti nobiliari che in questa epoca incominciarono a essere impreziositi anche da una produzione locale, il merletto di Burano[15]. Per evitare che i nobili e i patrizi spendessero enormi quantità di denaro nei capi d'abbigliamento nel 1488 la Repubblica emanò delle leggi atte a limitare l'uso dei vestiti esageratamente costosi, tanto che nel 1514 si istituirono i provveditori alle pompe che avevano il compito di vigilare sulla quantità di denaro spesa per feste private, abiti e altri beni di lusso[16].

Nel XVII secolo iniziò la moda della parrucca e dell'uso della cipria e i vestiti maschili aumentarono progressivamente il loro ingombro. Nel XVIII secolo nell'abbigliamento maschile si introdusse la velada, ovvero una sorta di ampio mantello riccamente decorato, al contrario tra l'abbigliamento femminile entrò in uso la vesta a cendà, un abito modesto che si componeva di un lungo vestito solitamente nero e di una sciarpa bianca. Le donne più povere invece indossavano la tonda un vestito bianco che con un cappuccio copriva il capo e che era legato da una cintura[17].

Vetreria[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Vetro di Murano.
Coppa di vetro decorato attribuita a Angelo Barovier

La storia dell'industria vetraria veneziana risale a prima del IX secolo, quando Venezia commerciava lastre di vetro prodotte nella capitale[18], che a partire dal 1291, al fine di evitare il propagarsi di incendi in città, furono spostate sull'isola di Murano[12]. Fino al XV secolo la maggior parte della produzione vetraria di Murano era focalizzata su prodotti di uso comune come finestre, bicchieri, bottiglie e vasellame, di conseguenza le arti presenti erano quelle dei fiolari, coloro che soffiavano il vetro e dei fenestrieri, dediti alla fabbricazione di finestre con intelaiature di piombo. A differenza delle vetrerie estere quelle veneziane erano stanziali e solitamente di proprietà dei mercanti che importavano materia prima e vetro di riciclo da Oriente per poi esportare il prodotto finito in tutta Europa, solitamente il forno era gestito da vetrai affittuari[14].

Sulla fine del XV secolo con l'aumento della produzione di beni di lusso e la scoperta di nuove tecniche si vietò ai vetrai di emigrare e si favorì l'uso di manodopera veneziana. Tra le nuove tecniche erano fondamentali l'uso della silice quarzosa e della cenere sodica anziché di quella potassica, in modo da evitare la formazione di inclusioni ferrose nel vetro. Sempre in questo secolo si perfezionarono le leggi dell'industria vetraria e si aggiunsero nuove corporazioni come quelle dei cristalleri, degli specchieri e dei stazioneri. Tra le merci prodotte figuravano anche vetrate colorate, pietre e perle di bigiotteria, specchi e occhiali, rendendo così la vetreria una professione artistica; tra i maggiori artisti del XV secolo figurava Angelo Barovier. Nel 1550 i segreti delle vetrerie veneziane erano ormai diffusi in tutta Europa e il numero delle vetrerie diminuì progressivamente passando da 35 a 20 nel 1621[19].

Metallurgia e oreficeria[modifica | modifica wikitesto]

Piatto in rame smaltato con lo stemma dei Polo

I metalli venivano principalmente importati dall'Europa centrale e dalle miniere dalmate dello Stato da Mar[20]. A partire dal XIV secolo per volere del governo a Venezia iniziò a svilupparsi l'industria siderurgica anche se la maggior produzione di armi e altri utensili in ferro proveniva dallo Stato da Tera, in particolare nella zona del Bresciano[9]. Il rame era largamente utilizzato dalla zecca di Venezia per la coniazione delle monete e dai laboratori del Trevigiano e nel Veronese dove venivano prodotti piccoli oggetti di uso comune, ma la maggior parte delle lavorazioni in rame proveniva dalla Germania e a partire dal XV secolo delle industrie di Jacob Fugger[21].

L'oreficeria era molto diffusa a Venezia e la relativa arte si suddivideva in gioiellieri, cesellatori, medaglisti, e in tessitori di fili d'oro e catenelle. Nel 1284 fu scorporata dall'arte dei gioiellieri quella dei cristallieri che era dedita alla lavorazione delle gemme e del cristallo di Rocca e per tutto il XVI secolo Venezia restò la prima città europea per la tagliatura dei diamanti. Oltre all'oro e all'argento era anche diffusa la lavorazione delle incisioni di rame, utili nella stampa, e la creazione di oggetti artistici di peltro. Era poi diffusa la lavorazione del bronzo per fusione che a Venezia divenne estremamente sviluppata e permise una grande produzione di statue e piccoli oggetti[22].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Hocquet, 1997, cap. 3 Le vie commerciali e i traffici, par. Le navi e la navigazione.
  2. ^ Zorzi, 2001, p. 122.
  3. ^ Storia dell'Arsenale, su comune.venezia.it, 19 marzo 2020. URL consultato il 19 marzo 2020 (archiviato il 14 giugno 2020).
  4. ^ Ciriacono, 1996, cap. 5 L'Arsenale.
  5. ^ Ciriacono, 1996, cap. 6 Il lanificio. La manodopera e i mercati.
  6. ^ Pezzolo, 1997, cap. 1 La popolazione.
  7. ^ a b Ciriacono, 1996, cap. 8 Il cotone.
  8. ^ Ciriacono, 1996, cap. 7 La tintoria: un "know-how" veneziano.
  9. ^ a b c Sella, 1994, cap. 11 Lo sviluppo industriale.
  10. ^ Ciriacono, 1996, cap. 9 Il setificio.
  11. ^ Ermisino, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 22 novembre 2020.
  12. ^ a b Zorzi, 2001, p. 121.
  13. ^ a b Ciriacono, 1996, cap. 10 Il pellame.
  14. ^ a b c Hocquet, 1997, cap. 1 Uomini e merci, par. Il mercante di Venezia.
  15. ^ Mutinelli, 1851, p. 71.
  16. ^ Mutinelli, 1851, p. 322.
  17. ^ Mutinelli, 1851, p. 3.
  18. ^ Zorzi, 2001, pp. 35-36.
  19. ^ Ciriacono, 1996, cap. 14 Il vetro.
  20. ^ Hocquet, 1997, cap. 1 Uomini e merci, par. Il commercio dei prodotti di prima necessità.
  21. ^ Ciriacono, 1996, cap. 11 La metallurgia.
  22. ^ Ciriacono, 1996, cap. 12 Le industrie d'arte e i "conspicuous consumptions".

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]