Utente:Demiurgo/Guglielmo Blasi

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Guglielmo Blasi
Guglielmo Blasi processato per collaborazionismo insieme ad altri membri della Banda Koch, Milano, giugno 1946
Soprannome"Guglielmo", "Memmo", "il biondino"[1]
NascitaRoma, 1903
MorteRoma, 1964
Cause della mortemorte naturale
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia (settembre 1943-aprile 1944)
Bandiera della Repubblica Sociale Italiana Repubblica Sociale Italiana (aprile 1944-aprile 1945)
UnitàGAP
Banda Koch
Anni di servizio1943-1945
GradoGappista
ComandantiAntonello Trombadori, Carlo Salinari, Franco Calamandrei (nella Resistenza)
Pietro Caruso, Pietro Koch (nella polizia fascista)
GuerreGuerra civile in Italia
AzioniAttentato di via Rasella
Altre attivitàBilanciaio, delinquente comune
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Guglielmo Blasi (Roma, 1903Roma, 1964) è stato un partigiano italiano.

Blasi, uno dei pochi componenti di estrazione proletaria dei GAP centrali di Roma e nel contempo delinquente comune, partecipò a diverse azioni partigiane, tra cui l'attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, fino a quando il 23 aprile fu arrestato per un tentativo di furto in appartamento durante il coprifuoco. Per evitare la condanna, passò al servizio della polizia fascista nelle file della Banda Koch e la guidò alla cattura di diversi ex compagni di lotta e nella repressione del movimento clandestino.

Il tradimento di Blasi contribuì notevolmente al forte indebolimento della Resistenza romana nell'ultimo mese prima della liberazione della capitale, che fu l'unica grande città italiana a non insorgere nell'imminenza dell'arrivo degli Alleati.

Al servizio della Banda Koch fino alla fine della guerra, nel 1946 Blasi fu processato per collaborazionismo e condannato alla pena di trent'anni di reclusione, di cui tra condoni e altri benefici ne scontò meno di dieci.

Ingresso nei GAP[modifica | modifica wikitesto]

Antifascista della prima ora, nei primi anni venti Guglielmo Blasi fece parte degli Arditi del popolo[2]. Negli anni successivi alternò l'attività di bilanciaio a quella di ladro e altre attività illegali, finché nel 1932, dopo ripetute condanne, fu dichiarato delinquente abituale. In seguito alla caduta del fascismo, nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1943, Blasi fece parte della folla che saccheggiò e incendiò la redazione del quotidiano fascista Il Tevere in largo Corrado Ricci[1].

Agli inizi dell'occupazione tedesca di Roma Blasi, residente nella Suburra con una famiglia molto numerosa e povera a carico, entrò nei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), le formazioni partigiane cittadine del Partito Comunista Italiano. Inizialmente operò nella sesta delle otto zone in cui il movimento clandestino aveva suddiviso la capitale occupata, comprendente i quartieri Appio-Latino, Monti ed Esquilino.

Utilizzando come nome di battaglia il suo vero nome "Guglielmo", e noto anche con i soprannomi di "Memmo" e "il biondino"[1], Blasi entrò in seguito a far parte dei GAP centrali, operanti nel cuore della città[3]. Fu assegnato alla rete gappista al comando di Franco Calamandrei "Cola", composta da due dei quattro GAP centrali, il "Giuseppe Garibaldi" e il "Gastone Sozzi". Per il suo impegno nel movimento clandestino, Blasi percepiva ogni settimana settecentocinquanta lire, cifra che non lo distoglieva dal compiere occasionali operazioni malavitose insieme a un suo amico di vecchia data che militava nello stesso gruppo, il tassista Raoul Falcioni, definito dallo storico Mimmo Franzinelli «altro elemento dei GAP di dubbia moralità»[4][5].

Blasi fece inoltre la conoscenza dei componenti degli altri due GAP centrali guidati da Carlo Salinari "Spartaco", l'"Antonio Gramsci" e il "Carlo Pisacane", tra cui Rosario Bentivegna "Paolo", Carla Capponi "Elena" e Mario Fiorentini "Giovanni". Dei suoi compagni di lotta Blasi apprese, come imponevano le norme di segretezza dei gappisti, solo i nomi di battaglia[6].

Secondo le memorie di diversi componenti dei GAP centrali, Blasi superò la selezione per l'ammissione nel loro gruppo, generalmente molto rigorosa[7], grazie al suo passato di ardito del popolo e al carattere audace e spregiudicato di cui aveva dato prova, oltre che per la sua «mira infallibile»[8]. I suoi precedenti penali e la sua perdurante propensione alla delinquenza comune erano invece ignorati dal partito[9].

Essendo uno dei pochi componenti dei GAP centrali di origini proletarie e in virtù del suo temperamento da autentico popolano romano, Blasi era ammirato dagli intellettuali marxisti suoi compagni di lotta, per lo più studenti – dunque di estrazione borghese – di circa vent'anni più giovani. Fiorentini spiegò: «Per noi studenti, tutti i membri della classe operaia erano incorruttibili»[10]; «Che poi non era neppure un operaio, era un poveretto, aveva una piccola attività. Ma comunque per noi l'operaio era un semidio, mentre noi eravamo dei borghesi»[11]. Tuttavia, alcuni gappisti affermarono di non aver mai avuto simpatia per Blasi. Bentivegna lo definì «uno che a me non è mai piaciuto, anche se dovevo riconoscergli un'apparente spavalderia»[12]. Maria Teresa Regard ricordò: «Con Guglielmo [...] non avevo nulla da spartire. Ritrovavo in lui i difetti del piccolo artigiano romano, un misto di cinismo e d'improvvisi scatti di sentimentalismo»[13].

Azioni armate[modifica | modifica wikitesto]

La ricostruzione dell'attività nei GAP di Blasi – definito dallo storico Gabriele Ranzato «gappista tra i più attivi e coraggiosi» – è complicata per un verso dalla «parziale damnatio memoriae» inflittagli dai suoi ex compagni a causa del suo tradimento, e per altro verso dalla scarsa attendibilità delle deposizioni processuali che egli rese nel dopoguerra, miranti a compensare le sue responsabilità di collaborazionista presentandosi come un valoroso ex partigiano[14]. Durante il processo Blasi si attribuì l'«esecuzione di 68 tedeschi»[15], ma l'esistenza di almeno una delle azioni che rivendicò, la «deposizione di una bomba nell'"Hotel Palace" e conseguente uccisione di 5 ufficiali tedeschi di cui 2 superiori», risulta del tutto priva di riscontri[16].

Secondo Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, «Le figure di Guglielmo Blasi e Raoul Falcioni sono rimaste nell'ombra, probabilmente perché contraddicevano il mito della purezza ideologica dei gruppi di fuoco comunisti», pur essendo Blasi «l'uomo di punta dei GAP»[17].

L'attentato di via Fabio Massimo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Attentato di via Fabio Massimo.

Nella sera di sabato 18 dicembre 1943 alcuni gappisti scagliarono una o più bombe all'interno della trattoria Antonelli, ubicata in un seminterrato al numero 101 di via Fabio Massimo. In merito a questo attentato esistono una pluralità di ricostruzioni contraddittorie nella memorialistica partigiana, generalmente tendenti a enfatizzare la portata delle perdite inflitte al nemico, quantificandole in circa una ventina tra tedeschi e fascisti uccisi o feriti. Una successiva analisi storiografica ha messo in luce che in realtà le vittime furono quasi interamente operai italiani del servizio di lavoro[18].

Blasi rivendicò il compimento di questo attentato durante il procedimento penale a suo carico per collaborazionismo, celebrato dinanzi alla Corte d'assise straordinaria di Milano nel 1945. Alcune contraddizioni nella sua dichiarazione fanno sospettare che Blasi abbia potuto attribuirsi il compimento dell'azione falsamente. Non confermata da nessun'altra testimonianza[19], la rivendicazione di Blasi trova un unico riscontro nel libro del 1965 Il sole è sorto a Roma, scritto dai partigiani comunisti Lorenzo D'Agostini e Roberto Forti[20][21].

L'attentato alla stazione Termini[modifica | modifica wikitesto]

Nel gennaio 1944 i gappisti attaccarono il posto di ristoro dei militari tedeschi alla stazione Termini nei pressi di via Giovanni Giolitti. Circa questa azione esistono diverse versioni. Lo storico Gabriele Ranzato, che su questo episodio cita un rapporto della Questura, colloca l'azione al 23 gennaio e riporta che l'esplosione provocò tre morti e molti feriti tra i tedeschi, oltre a coinvolgere quattro passanti italiani di cui uno rimase ucciso[22].

Secondo Carla Capponi, essa fu condotta il 24 gennaio da Maria Teresa Regard e da Blasi che, entrati nel locale travestiti da tedeschi, vi lasciarono una borsa contenente una bomba a tempo che esplodendo pochi minuti dopo uccise quattro tedeschi e ne ferì diciannove[23].

Maria Teresa Regard nel 1998 affermò invece di aver compiuto quest'azione «assolutamente da sola»[24]; dichiarazione in cui è stata rilevata la tendenza a rimuovere ancora una volta la presenza di Blasi[25]. Nella sua autobiografia pubblicata nel 2000, Regard scrisse di aver effettuato l'azione da sola il 24 gennaio travestita da «donna di vita», ma riconobbe a Blasi un ruolo minore: egli si sarebbe limitato a passarle la pesante valigia contenente l'esplosivo e a seguirla per un po', apparendole «un tipo insignificante», «un bassetto mingherlino, involtolato in un lungo pastrano liso, da barbone». Regard scrisse che la valigia contenente la bomba a tempo – preparata da Giorgio Labò e Gianfranco Mattei, due del gruppo degli artificieri dei GAP guidato da Giulio Cortini – fu da lei introdotta nel locale dall'esterno attraverso una finestrella sul lato della stazione verso via Marsala[26].

Blasi rivendicò il compimento di questo attentato in una memoria difensiva che scrisse durante il processo a suo carico per collaborazionismo, indicandolo erroneamente come «deposizione di una bomba nei locali del Kommandantur germanico di smistamento sito a fianco del ristorante Pagliani (Termini)». Secondo Ranzato, l'errore potrebbe essere una conferma del fatto che Blasi vi svolse un ruolo secondario[27].

Il mancato attentato in piazza Vittorio[modifica | modifica wikitesto]

Nelle sue memorie, Bentivegna scrive che nel febbraio 1944 Blasi «già mostrava i segni del cedimento che presto lo avrebbe fatto diventare un traditore», quando, dovendo far saltare dei camion tedeschi in piazza Vittorio insieme a Carla Capponi, all'avvicinarsi dell'ora del coprifuoco abbandonò a quest'ultima lo "spezzone" di tritolo e anche la sua pistola e si dileguò. Carla Capponi riuscì a superare un posto di blocco tedesco grazie all'intervento di un pompiere che si offrì di accompagnarla[28][29].

La sparatoria del 3 marzo[modifica | modifica wikitesto]

Il 3 marzo Blasi vendicò di sua iniziativa Teresa Gullace, una donna del popolo uccisa da un tedesco, freddando a colpi di pistola un milite fascista accorso sul posto per disperdere la folla, senza curarsi della sicurezza delle compagne gappiste presenti[12][30].

L'attentato di via Rasella[modifica | modifica wikitesto]

Insieme alla maggior parte dei membri dei GAP centrali, tra cui Carlo Salinari, Franco Calamandrei (rispettivamente comandante e vicecomandante), Rosario Bentivegna e Carla Capponi, il 23 marzo 1944 Blasi partecipò all'organizzazione e all'esecuzione dell'attentato di via Rasella. Tale azione, la più significativa mai compiuta dai GAP romani, consistette nell'esplosione di un ordigno al tritolo, nascosto in un carretto da spazzino, al passaggio di una compagnia del Polizeiregiment "Bozen" che marciava in colonna. Il giorno successivo i tedeschi reagirono uccidendo 335 prigionieri (dieci per ogni soldato tedesco ucciso dall'attentato, più altri cinque) nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Negli anni i gappisti hanno reso dichiarazioni contrastanti circa la partecipazione di Blasi all'azione del 23 marzo 1944. Nell'unico degli scritti dei gappisti coevo ai fatti, il diario di Calamandrei, "Guglielmo" non è menzionato nella descrizione della preparazione e dello svolgimento dell'attentato, ma è citato tra i gappisti che subito dopo si riunirono «festanti» in piazza Vittorio insieme a "Paolo" (Bentivegna), che aveva trasportato il carretto e acceso la miccia, e "Pasquale" (Balsamo), che aveva svolto un ruolo di copertura[31].

Durante i processi Kesselring (1947) e Kappler (1948) Blasi depose come teste a discarico e in tale veste accusò i suoi ex compagni dei GAP di aver compiuto un atto criminale. Secondo la testimonianza resa al processo Kappler, fu egli a procacciare l'abito e il carrettino da spazzino utilizzati da Bentivegna per l'esecuzione dell'attentato[32]. Allo scopo di negare ogni fondamento alle dichiarazioni di Blasi, durante il processo Kappler (a cui parteciparono come testimoni anche i principali componenti dei GAP centrali), fu negata la sua stessa partecipazione all'attentato, dapprima dal quotidiano comunista l'Unità[33] e in seguito da Calamandrei durante la propria deposizione[34].

Molti anni dopo, la partecipazione di Blasi all'attentato fu riconosciuta da Rosario Bentivegna[35] e Valentino Gerratana[8].

Arresto e passaggio alla Banda Koch[modifica | modifica wikitesto]

Il 23 aprile Blasi fu sorpreso durante il coprifuoco mentre era intento a scassinare un appartamento in via Orazio Coclite insieme a Raoul Falcioni e a un altro gappista non identificato di nome Aldo. Trovato in possesso di una pistola e documenti tedeschi falsi, per evitare la pena scelse di mettersi al servizio della banda fascista di Pietro Koch, guidandola alla cattura degli ex compagni. Caddero prigionieri diversi importanti membri dell'organizzazione, tra cui Salinari e Calamandrei (ma quest'ultimo riuscì a scappare da una finestrella in un bagno della pensione Jaccarino, sede della banda Koch). Alcuni dei gappisti sfuggiti alla cattura, come Bentivegna e Capponi, si spostarono in provincia[36].

Diffida (PDF), in l'Unità, edizione di Roma, n. 13, 28 maggio 1944, p. 2.

Marisa Musu: «Noi gappisti, ognuno all'insaputa dell'altro e ovviamente nascondendolo al Partito, girammo con la pistola in tasca per mesi e mesi a Roma ormai libera con la speranza di incontrarlo. Se lo avessimo trovato, lo avremmo ucciso, non ho dubbi. Almeno io l'avrei fatto, degli altri non posso dire, ma suppongo che non se lo sarebbero lasciati sfuggire»[37].

Guglielmo Blasi, la spia di Koch deve pagare i suoi tradimenti (PDF), in l'Unità, 27 giugno 1946, p. 2.

Sette condanne a morte, in La Nuova Stampa, 11 agosto 1946, p. 4.

Deposizione dell'autore dell'attentato di v. Rasella, in La Nuova Stampa, 9 aprile 1947, p. 1. Processato a Milano dopo la fine della guerra in quanto membro della Banda Koch, in quell'occasione Blasi aveva affermato di aver appreso che l'ordine di compiere l'attentato di via Rasella era stato impartito dal CLN. Al processo Kesselring, Blasi si disse convinto che in realtà l'ordine non fosse stato impartito né da Togliatti né dal CLN e che l'attentato fosse stato concepito e organizzato dallo stesso Calamandrei, il quale avrebbe poi parlato di ordini superiori per non assumersene la responsabilità.

Un traditore dei gappisti ha deposto pro Kappler (PDF), in Avanti!, 29 giugno 1948, p. 4.

A. Ge., Bauer illustra i rapporti dei partigiani col Governo del Sud, in Corriere della Sera, 2 luglio 1948, p. 3.</ref>

A. Ge., Bencivenga afferma che Kesselring voleva ridurre Roma ad un campo di battaglia, in Corriere della Sera, 6 luglio 1948, p. 3.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Mughini 1991, p. 17.
  2. ^ Piscitelli 1965, p. 339.
  3. ^ Ranzato 2019, p. 194 n., rileva che «in nessuna testimonianza è indicato quando esattamente Blasi sia entrato a far parte dei GAP [centrali]».
  4. ^ Franzinelli 2001, p. 237.
  5. ^ Raoul Falcioni, su anpi.it. URL consultato il 23 luglio 2019. La breve scheda biografica di Raoul Falcioni nella rassegna Donne e Uomini della Resistenza a cura dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) omette di rilevare la complicità di Falcioni nelle operazioni criminali di Blasi, compresa quella che culminò nell'arresto di quest'ultimo. Lo stesso sito non dedica a Guglielmo Blasi alcuna scheda biografica.
  6. ^ Bentivegna 2004, p. 49.
  7. ^ Bentivegna 2004, p. 48.
  8. ^ a b Dichiarazione di Valentino Gerratana in Portelli 1999, p. 182.
    «A via Rasella c'era Guglielmo Blasi, il quale – mentre di solito i Gap [centrali] era la maggior parte di studenti, piccolo borghesi insomma – era uno dei pochi che era invece di origine proletaria. Aveva una mira infallibile, e quindi era apprezzato per questa sua qualità. Lui stava coi Gap, a via Rasella; [...]»
    .
  9. ^ Bentivegna 2004, p. 212.
  10. ^ Katz 1968, p. 215.
  11. ^ Fiorentini 2015, pp. 114-5.
  12. ^ a b Dichiarazione di Rosario Bentivegna in De Simone 1994, p. 240.
  13. ^ Regard 2010, p. 41.
  14. ^ Ranzato 2019, pp. 192-3.
  15. ^ Ranzato 2019, pp. 193 n.
  16. ^ Ranzato 2019, pp. 195 n.
  17. ^ Flores, Franzinelli 2019, cap. XIV.
  18. ^ Ranzato 2019, p. 190.
  19. ^ In Majanlahti, Osti Guerrazzi 2010, p. 125, la mancanza di riscontri nelle memorie dei gappisti è ricondotta alla damnatio memoriae che colpì Blasi a causa del suo tradimento: «Si sa poco di questa azione – Carla Capponi, per esempio, non ne parla nelle sue memorie – probabilmente per l'odio verso Blasi che aveva tradito ed era finito nella banda Koch». Tuttavia, contrariamente a quanto asserito dai due autori, l'azione risulta menzionata in Capponi 2009, pp. 145-6, ma senza che Blasi o qualche altro gappista ne sia indicato come artefice.
  20. ^ D'Agostini, Forti 1965, p. 169.
  21. ^ Ranzato 2019, pp. 192-4.
  22. ^ Ranzato 2019, p. 207.
  23. ^ Capponi 2009, p. 166.
  24. ^ Maria Teresa Regard, La mia vita di parte, intervista a cura di Alessandro Portelli, 20 aprile 1998, consultabile sul sito dell'ANPI di Roma e riprodotta in Regard 2010, p. 115 e ss.
  25. ^ Majanlahti, Osti Guerrazzi 2010, p. 120.
  26. ^ Regard 2010, p. 42.
  27. ^ Ranzato 2019, p. 207 n.
  28. ^ Bentivegna 2004, pp. 168-9.
  29. ^ Lo stesso episodio è narrato, con maggiori particolari, in Capponi 2009, pp. 189 ss.
  30. ^ Griner 2000, p. 346.
  31. ^ Calamandrei 1984, p. 158 (23 marzo).
    «In Piazza Vittorio, in mezzo alle giostre e ai tirassegni troviamo tutti, festanti: Paolo un po' attonito e stanco. Guglielmo vorrebbe andare a bere»
    .
  32. ^ A. Ge., Un teste afferma che Togliatti ordinò l'azione di via Rasella, in Corriere della Sera, 29 giugno 1948, p. 3.
  33. ^ Il traditore Blasi e un repubblichino testimoniano in favore di Kappler, in l'Unità, 29 giugno 1948, p. 2.
  34. ^ Clamoroso incidente, in La Nuova Stampa, 6 luglio 1948, p. 4.
  35. ^ Adattamento ed elaborazione dell'intervista originale a Rosario Bentivegna, su larchivio.com, 1994. URL consultato il 18 febbraio 2017.
    «[Blasi] Fu preso e non aveva scampo, era condannato a morte, e allora lui disse: "Alt, Signori, io sono uno di quelli che hanno fatto l'azione di Via Rasella," - ed era vero, c'era stato anche lui - "Se voi mi salvate la pelle, io vi faccio arrestare... Spartaco, Cola e quant'altri", e li fece arrestare»
  36. ^ Bentivegna 2004, pp. 223 e ss.
  37. ^ Citato in Dondi 1999, p. 143.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Saggi
Diari e memorie di gappisti
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