Utente:Barjimoa/SandboxP

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degli imperatori romani

Augusto[modifica | modifica wikitesto]

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Quasi a dispetto dell'indole apparentemente pacifica di Augusto, il suo principato fu più travagliato da guerre di quanto non lo siano stati quelli della maggior parte dei suoi successori. Solo Traiano e Marco Aurelio si trovarono a lottare contemporaneamente su più fronti, al pari di Augusto. Sotto Augusto, infatti, furono coinvolte quasi tutte le frontiere, dall'oceano settentrionale fino alle rive del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell'Etiopia, in un piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste lungo l'intero bacino del Mediterraneo e in Europa, con lo spostamento dei confini più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l'Elba (in sostituzione del Reno).[1]

«Tutte le altre guerre [oltre a quella in Illirico e Cantabria] furono dirette attraverso suoi generali, sebbene in occasione di alcune campagne in Pannonia e in Germania, intervenne di persona e rimase a poca distanza, allontanandosi da Roma per spingersi fino a Ravenna, a Milano o ad Aquileia [intesi come quartieri generali a ridosso del fronte bellico].»

«Sottomise, sia personalmente, sia con imprese fortunate [dei suoi comandanti militari], la Cantabria, l'Aquitania, la Pannonia, la Dalmazia insieme a tutto l'Illirico, oltre alla Retia, il paese dei Vindelici e dei Salassi, popolazioni delle Alpi. Fermò in modo definitivo le incursioni dei Daci, uccidendo tre loro capi, oltre ad un gran numero di loro armati. Respinse i Germani al di là dell'Elba, ad eccezione di Suebi e Sigambri che fecero atto di sottomissione e, una volta trasportati in Gallia, vennero sistemati nei territori vicini al fiume Reno. Ridusse all'obbedienza anche altre popolazioni aggressive.»

Le campagne di Augusto furono effettuate con il fine di consolidare le conquiste disorganiche dell'età repubblicana, le quali rendevano indispensabili numerose annessioni di nuovi territori. Mentre l'Oriente poté rimanere più o meno come Antonio e Pompeo lo avevano lasciato, in Europa fra il Reno e il Mar Nero fu necessaria una nuova riorganizzazione territoriale in modo da garantire una stabilità interna e, contemporaneamente, frontiere più difendibili.[2]

Gli storici contemporanei si sono spesso trovati d'accordo nel negare le qualità militari di Augusto, insistendo sul fatto che raramente egli andò personalmente sui campi di battaglia.[3] Questo è quanto ci tramanda Svetonio:

«Riguardo alle guerre esterne, [Augusto] ne condusse personalmente solo due: quella in Dalmazia, quando era ancora adolescente, e quella Cantabrica, dopo la fine di Antonio. Durante la guerra in Dalmazia venne anche ferito: in combattimento egli fu colpito da una pietra al ginocchio destro, in un altro scontro venne ferito ad una gamba e alle braccia a causa del crollo di un ponte.»

Aurelio Vittore, ricordando una tradizione antica, diede di questo principe un ritratto più lusinghiero. Egli si dimostrò, invece un abilissimo uomo politico e geniale stratega,[4] forse l'esatto contrario di ciò che fu Annibale: validissimo generale e tattico, ma con una dubbia visione politico-strategica del suo tempo, accecata dall'odio per i Romani.

Riorganizzazione dell'esercito[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Riforma augustea dell'esercito romano e Limes romano.
Il legionario ai tempi dell'imperatore Augusto.

Augusto, prima di intraprendere le conquiste territoriali, riorganizzò l'esercito legionario e ausiliario, distribuendolo nella province.[5] Introdusse un esercito permanente di volontari, disposti a servire inizialmente per sedici anni, e poi per vent'anni dal 6, unicamente dipendente da lui; istituì un cursus honorum anche per coloro che aspiravano a ricoprire i più alti incarichi nella gerarchia dell'esercito, con l'introduzione di generali professionisti, non più comandanti inesperti mandati allo sbaraglio nelle province di confine; creò l'aerarium militare.[5]

«In campo militare introdusse molte nuove riforme e ristabilì anche alcune antiche usanze. Mantenne la più severa disciplina: dove i suoi legati non ottennero, se non a fatica e solo durante i mesi invernali, il permesso di andare a trovare le loro mogli. [...] Congedò con ignominia l'intera X legione, poiché ubbidiva con una certa aria di rivolta; allo stesso modo lasciò libere altre, che reclamavano il congedo con esagerata insistenza senza dare le dovute ricompense per il servizio prestato. Se alcune coorti risultava si fossero ritirate durante la battaglia, ordinava la loro la decimazione e nutrire con orzo. Quando i centurioni abbandonavano il loro posto di comando erano messi a morte come semplici soldati, mentre per altre colpe faceva infliggere pene infamanti, come il rimanere tutto il giorno davanti alla tenda del proprio generale, vestito con una semplice tunica, senza cintura, tenendo in mano a volte una pertica lunga dieci piedi, oppure una zolla erbosa.»

Delle legioni sopravvissute alla guerra civile, 28 rimasero dopo Azio, e 25 dopo la disfatta di Teutoburgo; vennero istituite le ali di cavalleria e le coorti di fanteria (o misti) di auxilia provinciali, traendoli da volontari non-cittadini, desiderosi di diventare cittadini romani al termine della ferma militare (della durata di 20-25 anni). In totale erano circa 340 000 uomini, di cui 140 000 servivano nelle legioni. Furono formate anche le coorti pretoriane e urbane (di Roma, Cartagine, Lione e d'Italia) e dei Vigili di Roma;[6] la flotta imperiale divisa in squadre a Ravenna, Miseno[5] (in precedenza posta a Portus Iulius presso Pozzuoli[7]) e Forum Iulii, e quelle provinciali di Siria e Egitto, e le flottiglie fluviali su Reno, Danubio e Sava.[8]


Nuove acquisizioni territoriali[modifica | modifica wikitesto]

Ronald Syme scrive che «Roma, sotto le vesti di portatrice di pace, durante il Principato di Augusto, intraprese una politica razionale e sostenuta di conquista in Europa». Il compito più arduo era quello di completare la sottomissione dell'area centrale dell'Impero romano, vale a dire la sottomissione dell'Illyricum e dei Balcani, avanzando con la frontiera verso nord, fino al Danubio.[9]

Sottomissione delle "aree interne"[modifica | modifica wikitesto]

Augusto raffigurato su una moneta in tenuta militare, durante una adlocutio

Prima di tutto, Augusto in persona si dedicò, con l'aiuto di Agrippa, a portare a compimento una volta per tutte la sottomissione di quelle "aree interne" all'impero non ancora conquistate completamente.

La parte nord-ovest della penisola iberica, che ormai creava problemi da decenni, fu condotta sotto il dominio romano, dopo una serie di pesanti campagne militari in Cantabria durate 10 anni (dal 29 al 19 a.C.), l'impiego di numerose legioni (ben sette) insieme ad un numero altrettanto elevato di ausiliari, oltre alla presenza dello stesso Ottaviano sul teatro delle operazioni (nel 26 e 25 a.C.). La vicina Aquitania fu, intanto, percorsa dalle truppe di Marco Valerio Messalla Corvino che vi riportava l'ordine turbato dagli indigeni nel 28 a.C.[2][10]

La conquista dell'arco alpino, per dare maggior sicurezza interna ai valichi e alle relazioni fra Gallia e Italia: nel 26-25 a.C. furono sottomessi i Salassi con la fondazione di Augusta Praetoria (Aosta); nel 23 Tridentium (Trento) fu fortificata; nel 16 furono vinti i Camuni della Val Camonica e le tribù della Val Venosta; nel 14 i Liguri Comati delle Alpi sudoccidentali erano in parte sottoposti ai praefecti civitatum, in parte aggiunti al vicino regno di Cozio che faceva centro sull'odierna Valle di Susa. Divenuto egli stesso prefetto, anche se solo formalmente, strinse un patto di alleanza ricordato dall'Arco di Augusto eretto a Segusium, attuale Susa, capitale di quello che sarebbe poi divenuta in seguito Regno delle Alpes Cottiae. Questi successi sulle tribù dell'arco alpino furono commemorati con l'erezione del celebre trofeo di La Turbie lungo la via Iulia Augusta, al confine tra l'Italia romana e la Gallia Narbonense.[2][10]

Ma fu la frontiera dell'Europa continentale che preoccupò Augusto più di ogni altro settore strategico. Essa comprendeva due settori principali: quello danubiano e quello renano.[2][11]

Frontiera danubiana[modifica | modifica wikitesto]

Al termine della rivolta dalmato-pannonica del 6-9, tutti i territori dell'area illirica a sud del fiume Drava furono sotto il definitivo controllo romano.

Le province senatorie dell'Illyricum e della Macedonia avevano una frontiera insicura composta da poche legioni, i cui fianchi erano protetti, a nord dal regno del Norico, mentre ad est dal regno degli Odrisi di Tracia.[9]

Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, tra il 17 e il 16 a.C., riuscì a portare a termine la conquista del fronte alpino orientale, oltre al Norico meridionale, ottenendo una forma di vassallaggio da parte del regno del Norico settentrionale (popolazione dei Taurisci). I figliastri di Augusto, Druso e Tiberio, nel 15 a.C., sottomisero la Rezia, Vindelicia e Vallis Poenina, con un'operazione "a tenaglia", il primo proveniente dal Brennero e il secondo dalla Gallia.[10]

Dal 29 al 19 a.C. si procedette ad azioni combinate insieme ai re "clienti" traci, contro le popolazioni pannoniche, mesie, sarmatiche, getiche e bastarne fino ai confini macedoni. Il primo ad intraprendere campagne nell'area balcanica fu il proconsole di Macedonia, Marco Licinio Crasso, in quale batté ripetutamente le popolazioni di Mesi, Triballi, Geti e Daci (nel 29 e 28 a.C.). Attorno al 16-15 a.C. i Bessi vennero ricacciati dalla frontiera macedone, mentre le colonie greche tra le bocche del Danubio e del Tyras chiesero la protezione di Roma; dal 14 al 9 a.C. i legati di Dalmazia e Macedonia, sotto l'alto comando prima di Agrippa e poi di Tiberio, domarono Scordisci (sottomessi da Tiberio nel 12 a.C.[12]), Dalmati e Pannoni e respinsero le scorrerie di Bastarni, Sarmati e Daci d'oltre Danubio, mentre Pannonia e Dalmazia furono finalmente condotte sotto il dominio romano. I Traci, da poco ribellatisi, furono pesantemente sconfitti dal proconsole di Galazia e Panfilia, il consolare Lucio Calpurnio Pisone, in tre feroci campagne (12-10 a.C.), al termine delle quali era loro imposto un protettorato, da parte di Roma, sia sul regno di Tracia, sia su quello di Crimea e del Ponto. Dopo un quindicennio di relativa tranquillità, nel 6, il settore danubiano tornò ad essere agitato. I Dalmati si ribellarono, e con loro anche i Breuci di Pannonia, mentre Daci e Sarmati compirono scorrerie in Mesia. Fu necessario sospendere ogni nuovo tentativo di conquista a nord del Danubio, per sopprimere questa rivolta durata per ben tre anni, dal 6 al 9. Tiberio, in questo modo, fissò definitivamente il confine dell'area illirica al fiume Drava.[2][13]

Frontiera renana e Germania Magna[modifica | modifica wikitesto]

Le campagne germaniche di Domizio Enobarbo del (3-1 a.C.), di Tiberio e del suo legato, Gneo Senzio Saturnino, del 4-6.

Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano)[14] e nel 29 a.C. i Suebi, mentre nel 17 a.C. i Sigambri, insieme a Usipeti e Tencteri (clades lolliana).[15] Augusto ritenne fosse giunto il momento di annettere la Germania, come aveva fatto suo padre Gaio Giulio Cesare con la Gallia. Desiderava portare i confini dell'Impero romano più ad est, dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era di ordine prettamente strategico, più che di natura economico-commerciale. Si trattava infatti di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste ma il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero. Contemporaneamente si dovette operare anche sul fronte danubiano nell'area illirica per completare questo progetto. Dopo la morte di Agrippa, il comando delle operazioni fu diviso tra i due figliastri dell'imperatore, Tiberio e Druso maggiore. Toccò a quest'ultimo il gravoso compito di operare in Germania.

Le campagne che si susseguirono furono numerose, discontinue, e durarono per circa un ventennio dal 12 a.C. al 6 portando alla costituzione della nuova provincia di Germania con l'insediamento di numerose fortezze legionarie (ad Haltern, l'antica Aliso sede amministrativa provinciale, Oberaden e Anreppen lungo il fiume Lippe; oltre a Marktbreit sul Meno). Tutti i territori conquistati in questo ventennio furono definitivamente compromessi quando nel 7 Augusto inviò in Germania Publio Quintilio Varo, sprovvisto di doti diplomatiche e militari, oltreché ignaro delle genti e dei luoghi. Nel 9 un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni venne massacrato nella selva di Teutoburgo, portando alla definitiva perdita di tutta la zona tra il Reno e l'Elba.[2][10][16] Svetonio ricorda infatti che non subì che due gravi ed ignominiose sconfitte, entrambe in Germania:

«[...] quella di Marco Lollio e quella di Varo. La prima generò più che altro vergogna che perdite, la seconda fu quasi fatale, poiché furono massacrate tre legioni con i loro generali, i loro subalterni e tutte le truppe ausiliarie. Quando giunse la notizia, Augusto fece mettere sentinelle in tutta la città per evitare disordini e prolungò il comando ai governatori delle province, in modo che eventuali rivolte degli alleati fossero controllati da comandanti esperti. Promise a Giove Ottimo Massimo giochi solenni, nel caso le cose della Res publica fossero migliorate: ciò avvenne durante la guerra contro Cimbri e Marsi. Raccontano, infine, che si mostrasse così abbattuto da lasciarsi crescere per mesi la barba e i capelli, da sbattere ogni tanto la testa contro le porte gridando: «Quintilio Varo, restituiscimi le mie legioni!» Dicono anche che considerò l'anniversario di quella disfatta come un giorno nefasto, di lutto e di tristezza.»

Era necessaria una reazione militare da parte dell'impero romano. Non si doveva concedere ai Germani di prendere coraggio e invadere i territori della Gallia Comata e dell'Italia stessa. Augusto ordinò a Tiberio di mettere in sicurezza il Reno con tre nuove campagne militari (dal 10 al 13[17]). Secondo alcuni storici moderni come Werner Eck, parte dei territori della provincia di Germania, acquisiti prima della disfatta di Varo, tornarono sotto il dominio romano. Si tratterebbe dei territori compresi tra i fiumi Reno e Weser, lungo la Lippe, oltre a quelli lungo la costa del Mare del Nord e a sud del fiume Meno fino al Danubio:

«[Tiberio] viene inviato in Germania [dopo la disfatta di Teutoburgo, nel 10] rafforza le Gallie, dispone gli eserciti, fortifica i presidi e [...] attraversa il Reno con l'esercito. Passa dunque all'attacco, mentre il padre [Augusto] e la patria si sarebbero accontentati di rimanere sulla difensiva. Avanza verso l'interno [probabilmente lungo la valle del Lippe] apre nuove strade, devasta campi, brucia villaggi, mette in fuga tutti quanti lo affrontarono e con immensa gloria torna ai quartieri d'inverno senza aver perduto nessun soldato tra quelli che aveva condotto oltre il Reno

«... abbatté le forze nemiche in Germania, con spedizioni navali e terrestri, e placate più con la fermezza che con i castighi la pericolosissima situazione nella Gallia e la ribellione sorta tra la popolazione degli Allobrogi... (del 13 d.C.).»

«... Allargai i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le provincie delle Gallie e delle Spagne, come anche la Germania nel tratto che confina con l'Oceano, da Cadice alla foce del fiume Elba (stando alle parole di Augusto, che omette la sconfitta di Teotoburgo in quello che fu il suo testamento politico, Roma recuperò o mantenne il controllo su zone costiere sino alla sua morte).»

Augusto concesse, quindi, al suo miglior generale e futuro erede, il meritato trionfo. L'ultimo atto di Augusto concernente la Germania fu la nomina di Germanico Giulio Cesare a capo delle truppe stazionate in Germania, in sostituzione di Tiberio. Germanico avrebbe, poco dopo la morte di Augusto, sconfitto Arminio nella Battaglia di Idistaviso e recuperato le insegne romane perdute da Varo. Tuttavia, per questioni strategiche e per non correre ulteriori rischi, il confine con la Germania Magna fu riportato sul Reno.[18]

Frontiera africana[modifica | modifica wikitesto]

La provincia romana d'Egitto durante la conquista romana, al tempo dell'imperatore Augusto.
Lo stesso argomento in dettaglio: Campagne augustee lungo il fronte africano ed arabico.

La frontiera meridionale africana, per finire, poneva problemi diversi nei suoi settori orientale e occidentale.[19]

Ad oriente, dopo la conquista nel 30 a.C., l'Egitto divenne la prima provincia imperiale, retta da un prefetto di rango equestre, il prefetto d'Egitto, a cui Ottaviano aveva delegato il proprio imperium sul paese, con ben tre legioni di stanza (III Cyrenaica, VI Ferrata e XXII Deiotariana). L'Egitto costituì negli anni seguenti una base di partenza strategica per spedizioni lontane; il primo prefetto, Cornelio Gallo, dovette reprimere un'insurrezione nel sud dell'Egitto, Elio Gallo esplorò l'Arabia Felix, Gaio Petronio si spinse in direzione dell'Etiopia (25-22 a.C.) fino alla sua capitale.[2][20]

Ad occidente la provincia d'Africa e la Cirenaica conobbero due guerre: fra il 32 e il 20 a.C. contro i Garamanti dell'attuale Libia, mentre fra il 14 a.C. e il 6 d.C. fu la volta dei Nasamoni della Tripolitania, dei Musulami della regione di Theveste, dei Getuli e dei Marmaridi delle coste mediterranee centrali.[2][21]

Politica orientale[modifica | modifica wikitesto]

Situazione antecedente[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Campagne partiche di Marco Antonio.

Le campagne di Marco Antonio in Partia erano state fallimentari. Non solo non era stato vendicato l'onore di Roma in seguito alla sconfitta subita dal console Marco Licinio Crasso a Carre del 53 a.C., ma le armate romane erano state battute nuovamente in territorio nemico e la stessa Armenia era entrata nella sfera di influenza romana solo per poco tempo. Fu solo al termine della guerra civile, con la battaglia di Azio (nel 31 a.C.) e l'occupazione dell'Egitto (nel 30 a.C.) che Ottaviano poté concentrarsi sul problema partico e sull'assetto dell'intero Oriente romano. Il mondo romano si aspettava forse una serie di campagne e forse anche la conquista della stessa Partia,[22] considerando che Augusto era il figlio adottivo del grande Cesare,[23] il quale aveva progettato una campagna sulle orma del macedone.[24][25][26]

Forze in campo[modifica | modifica wikitesto]

Augusto riuscì a schierare un esercito composto da numerose legioni:

Ad occidente dell'Eufrate[modifica | modifica wikitesto]

Dettaglio dell'Augusto loricato o "di Prima Porta", statua dell'imperatore Augusto, ritratto in tenuta militare da parata. Sulla corazza è rappresentata la scena della consegna delle insegne legionarie di Marco Licinio Crasso da parte del re dei Parti, Fraate IV

Ad occidente dell'Eufrate, Augusto provò a riorganizzare l'Oriente romano, sia inglobando alcuni stati vassalli e trasformandoli in province romane (come la Galazia di Aminta nel 25 a.C., o la Giudea di Erode Archelao nel 6 (dopo che vi erano stati dei primi disordini nel 4 a.C. alla morte di Erode il Grande), sia rafforzando vecchie alleanze con re locali, divenuti "re clienti di Roma" (come accadde ad Archelao, re di Cappadocia, ad Asandro re del Bosforo Cimmerio, a Polemone I re del Ponto,[29] oltre ai sovrani di Emesa, Iturea,[30] Commagene, Cilicia, Calcide, Nabatea, Iberia, Colchide e Albania).[31]

Ad oriente dell'Eufrate[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Parti.

Ad oriente dell'Eufrate, in Armenia, Partia e Media, Augusto ebbe come obbiettivo quello di ottenere la maggiore ingerenza politica senza intervenire con dispendiose azioni militari. Ottaviano mirò infatti a risolvere il conflitto con i Parti in modo diplomatico, con la restituzione nel 20 a.C., da parte del re parto Fraate IV, delle insegne perdute da Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. Egli avrebbe potuto rivolgersi contro la Partia per vendicare le sconfitte subite da Crasso e da Antonio, al contrario ritenne invece possibile una coesistenza pacifica dei due imperi, con l'Eufrate come confine per le reciproche aree di influenza. Di fatto entrambi gli imperi avevano più da perdere da una sconfitta, di quanto potessero realisticamente sperare di guadagnare da una vittoria. Infatti, durante tutto il suo lungo principato, Augusto concentrò i suoi principali sforzi militari in Europa. Il punto cruciale in Oriente era, però, costituito dal regno d'Armenia che, a causa della sua posizione geografica, era da un cinquantennio oggetto di contesa fra Roma e la Partia. Egli mirò a fare dell'Armenia uno stato-cuscinetto romano, con l'insediamento di un re gradito a Roma, e se necessario imposto con la forza delle armi.[32]

Prima crisi partica: Augusto recupera le insegne di Crasso (23-20 a.C.)[modifica | modifica wikitesto]
Augusto: denario[33]
AUGUSTUS, testa di Augusto verso destra; ARMENIA CAPTA, un copricapo armeno, un arco ed una faretra con frecce.
Argento, 3,77 g; coniato nel 19-18 a.C., dopo che l'Armenia tornò nell'area di influenza romana.
Augusto: denario[34]
S • P • Q • RIMPCAESARIAVGCOS • XITRI • POT • VI •, testa di Augusto verso destra; CIVIB • ET • SIGN • MILIT • A • PA-RT • RECVP •, arco di trionfo di Augusto: sopra l'arco contrale si trova una quadriga; sopra gli archi laterali una figura ciascuno; a sinistra una figura voltata verso destra che tiene un signum nella sua mano destra alzato verso il cielo; a destra invece una figura rivolta a sinistra, tiene un'aquila nella sua destra ed un arco alla sua sinistra.
Argento, 3.86 gr, 6 h; zecca spagnola di Tarraco, coniato nel 18 a.C.

Nel 23 a.C., poco dopo l'invio di Marco Vipsanio Agrippa in Oriente in qualità di vice reggente dello stesso imperatore Augusto, arrivarono a Roma ambasciatori del re dei Parti chiedendo gli fossero consegnati sia Tiridate II, ex sovrano parto (che si era rifugiato a Roma dal 26 a.C.), sia il giovane figlio del nuovo re. Augusto, pur rifiutandosi di consegnare il primo, che poteva tornargli ancora utile in futuro, decise di liberare il figlio del re Fraate IV, a condizione che le insegne di Marco Licinio Crasso ed i prigionieri di guerra del 53 a.C. fossero restituiti allo Stato romano.[35]

In Armenia, nel frattempo, regnava una divisione cronica fra i nobili: il partito filoromano aveva inviato ad Augusto un'ambasceria per chiedere un processo contro il re Artaxias II, la sua deposizione e la sostituzione al trono di Armenia del fratello minore, Tigrane III, che era vissuto a Roma dal 29 a.C. Al termine del 21 a.C., Augusto ordinò al figliastro Tiberio, che aveva allora ventuno anni, di condurre un esercito legionario dai Balcani in Oriente,[36] con il compito di porre sul trono armeno Tigrane III, e recuperare le insegne imperiali.

Lo stesso Augusto si recò in Oriente. Il suo arrivo e l'avvicinarsi dell'esercito di Tiberio produssero l'effetto desiderato sul re dei Parti. Di fronte al pericolo di un'invasione romana che avrebbe potuto costargli il trono, Fraate IV decise di cedere e, pur rischiando di scontentare il suo stesso popolo, restituì le insegne ed i prigionieri romani ancora in vita. Augusto fu proclamato per la nona volta imperator.[37] La restituzione delle insegne e dei prigionieri fu un successo diplomatico paragonabile alle migliori vittorie ottenute sul campo di battaglia.

(LA)

«Parthi quoque et Armeniam vindicanti facile cesserunt et signa militaria, quae M. Crasso et M. Antonio ademerant, reposcenti reddiderunt obsidesque insuper optulerunt, denique, pluribus quondam de regno concertantibus, nonnisi ab ipso electum probaverunt

(IT)

«Anche i Parti non solo gli donarono senza problemi l'Armenia che Augusto rivendicava, ma, dietro sua richiesta, gli restituirono anche le insegne militari [le aquile legionarie] che avevano portato via a Marco Licinio Crasso e Marco Antonio, oltre ad offrirgli ostaggi. E quando, in un determinato momento, molti erano quelli che si stavano disputando il trono, vennero riconosciuti solo quelli che lui [Augusto] ebbe scelto.»

(LA)

«Quodam autem muneris die Parthorum obsides tunc primum missos per mediam harenam ad spectaculum induxit superque se subsellio secundo collocavit

(IT)

«Un giorno, durante alcune rappresentazioni condusse allo spettacolo alcuni ostaggi parti, i primi inviati a Roma, li condusse in mezzo all'arena, e li sistemò in seconda fila, sopra di sé.»

Augusto, che aveva così deciso, al momento di recuperare le insegne perdute a Carre, di abbandonare la politica aggressiva che Cesare ed Antonio avevano condotto in Oriente, riuscì a stabilire relazioni amichevoli con il vicino impero dei Parti. Egli avrebbe potuto vendicare la sconfitta ed il tradimento subiti da Crasso nel 53 a.C. Al contrario, ritenne opportuna una coesistenza pacifica dei due imperi, con l'Eufrate come confine dei reciproci domini.

Il tentativo di sottomettere la Partia avrebbe richiesto un notevole impiego di uomini e mezzi finanziari, oltre alla possibilità di spostare il baricentro dell'impero, dal Mediterraneo più ad oriente, ora che Augusto era intenzionato a concentrare i propri sforzi sul fronte Europeo. Le relazioni tra i Parti dipendevano, pertanto, più dalla diplomazia che dalla guerra. Solo in Oriente Roma si trovava di fronte ad un'altra grande "superpotenza dell'antichità classica", anche se non paragonabile alla forza e dimensioni di quella romana.

I rapporti di amicizia instaurati tra Roma ed i Parti favorirono, infine, il partito filoromano della vicina Armenia, e prima che Tiberio raggiungesse l'Eufrate, Artaxias II fu assassinato dai suoi stessi cortigiani. Tiberio, entrato nel paese senza incontrare resistenza ed in presenza delle legioni, pose solennemente il diadema regale sul capo di Tigrane III, ed Augusto poté annunziare di aver conquistato l'Armenia, pur astenendosi dall'annetterla[38].

Seconda crisi partica (1 a.C.-4)[modifica | modifica wikitesto]

Nell'1 a.C., Artavaside III, re d'Armenia filo-romano, fu eliminato dall'intervento dei Parti e dal pretendente al trono Tigrane IV. Questo fu un grave affronto al prestigio romano. Augusto, non potendo più contare sulla collaborazione di Tiberio (ritiratosi in ritiro volontario a Rodi) e di Agrippa ormai morto da oltre un decennio, oltre ad essere egli stesso troppo vecchio per intraprendere un altro viaggio in Oriente, decise di inviare il giovane nipote Gaio Cesare a trattare la questione armena, conferendogli poteri proconsolari superiori a quella di tutti i governatori provinciali d'Oriente. Ad accompagnarlo fu mandato insieme a lui anche Marco Lollio, che aveva fatto esperienza in Oriente alcuni anni prima, al momento di dover riorganizzare la neo provincia di Galazia.

Gaio Cesare raggiunse la Siria agli inizi dell'1 e qui iniziò il suo consolato. Quando Fraate V, re di Partia, venne a conoscenza della missione del giovane principe, ritenne sarebbe stato più conveniente negoziare, piuttosto che affrontare la crisi con durezza, rischiando una nuova guerra. Egli chiese, in cambio della sua disponibilità a trattare, il ritorno dei suoi quattro fratellastri che abitavano a Roma e che costituivano una potenziale minaccia alla sua futura sicurezza. Augusto, ovviamente, non poteva che rifiutarsi di cedere famigliari così importanti per la causa orientale. Al contrario gli intimò di lasciare l'Armenia.

Fraate V si rifiutò di lasciare il controllo dell'Armenia nelle mani dei Romani, e continuò a mantenerne la sua supervisione sopra il nuovo re, Tigrane IV, il quale, però, mandò a Roma alcuni ambasciatori con doni, riconoscendo ad Augusto la potestà sul suo regno, e chiedendogli di lasciarlo sul trono. Augusto, soddisfatto di questo riconoscimento, accettò i doni, ma chiese a Tigrane di recarsi presso Gaio in Siria per trattare la sua possibile permanenza sul trono d'Armenia. Il comportamento di Tigrane III indusse Fraate V a cambiare idea, costringendolo a venire a patti con Roma. Rinunziò alle sue pretese di veder tornare i suoi fratellastri, e si dichiarò pronto a porre fine ad ogni interferenza in Armenia.

Il nuovo assetto provinciale augusteo in Oriente.

Questo stesso anno venne concluso un patto tra il principe romano Gaio Cesare, ed il gran re dei Parti, in territorio neutrale su di un'isola dell'Eufrate, riconoscendo ancora una volta questo fiume come confine naturale fra i due imperi[39]. Tale incontro sanciva il reciproco riconoscimento tra Roma e la Partia, di Stati indipendenti con uguali diritti di sovranità. Prima di accomiatarsi, il sovrano parto Fraate V, informò Gaio che Marco Lollio aveva abusato del suor ruolo ed aveva accettato compensi da potenti re di stati orientali. L'accusa era vera e Gaio, dopo aver esaminato le prove, allontanò Lollio dal suo seguito. Pochi giorni dopo Lollio morì, probabilmente suicida, e venne sostituito nel ruolo di consigliere del principe da Publio Sulpicio Quirinio, soprattutto per le sue doti militari ed esperienze diplomatiche maturate nella precedente carriera.

Nel frattempo Tigrane IV era stato ucciso nel corso di una guerra, forse fomentata dai nobili armeni antiromani, contrari alla sottomissione a Roma. La morte di Tigrane fu seguita dall'abdicazione di Erato, sua sorellastra e moglie, e Gaio, in nome di Augusto, diede la corona ad Ariobarzane, già re della Media dal 20 a.C. Il partito antiromano, rifiutandosi di riconoscere Ariobarzane quale nuovo re d'Armenia, provocò disordini ovunque, costringendo Gaio Cesare ad intervenire direttamente con l'esercito. Il principe romano, poco prima di attaccare la fortezza di Artagira (forse vicino a Kagizman nella valle del fiume Arasse), fu invitato ad un colloquio con il comandante del forte, un certo Addon, il quale sembra volesse rivelargli importanti dettagli sulle ricchezze del re dei Parti. Ciò si rivelò, però, una trappola, poiché al suo arrivo Addon e le sue guardie tentarono di uccidere il principe romano, che riuscì a sopravvivere all'agguato pur rimanendo ferito gravemente.

Il forte fu, in seguito a questi fatti, assediato ed espugnato dopo una lunga resistenza e la rivolta fu sedata, ma Gaio non si rimise più dalla ferita. Morì due anni più tardi, nel 4 d.C. in Licia.[40] Questo fu il tragico epilogo di anni di trattative, che portarono ad un nuovo modus vivendi tra la Partia e Roma, e dove quest'ultima stabiliva la sua supremazia sull'importante stato armeno.

Nuovo sistema clientelare[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Regno cliente (storia romana).

I Romani intuirono che il compito di governare e di civilizzare un gran numero di genti contemporaneamente era pressoché impossibile, e che sarebbe risultato più semplice un piano di annessione graduale, lasciando l'organizzazione provvisoria affidata a principi nati e cresciuti nel paese d'origine. Nacque quindi la figura dei re clienti, la cui funzione era quella di promuovere lo sviluppo politico ed economico dei loro regni, favorendone la civilizzazione e l'economia. Augusto, infatti, dopo essersi impadronito per diritto di guerra (belli iure) di numerosi regni, quasi sempre li restituì agli stessi governanti a cui li aveva sottratti oppure li assegnò a principi stranieri.[41] Riuscì anche ad unire all'Impero i re alleati attraverso legami di parentela.

Si preoccupò di questi regni come se fossero parte del sistema provinciale imperiale, giungendo ad assegnare a principi troppo giovani o inesperti un consigliere, in attesa che crescessero e maturassero; allevando ed educando i figli di molti re, affinché molti di loro tornassero nei loro territori a governare come alleati del popolo romano.[41] In seguito, quando i regni raggiungevano un livello di sviluppo accettabile, essi potevano essere incorporati come nuove province o parti di esse. Le condizioni di stato vassallo-cliente erano, dunque, di natura transitoria.

Tale disegno politico fu applicato all'Armenia, alla Giudea (fino al 6 d.C.), alla Tracia, alla Mauretania e alla Cappadocia. A questi re clienti fu lasciata piena libertà nell'amministrazione interna, e probabilmente non furono tenuti a pagare tributi regolari, ma dovevano provvedere a fornire truppe alleate al bisogno oltre a concordare preventivamente la loro politica estera con l'imperatore. Svetonio aggiunge che:

«[...] I re amici e alleati fondarono città con il nome di Cesarea, ciascuno nel proprio regno, e tutti insieme decisero di portare a termine, a proprie spese, il tempio di Giove Olimpio di Atene, iniziato alcuni secoli prima, dedicandolo al Genio di Augusto. Lasciati i loro regni, essi ogni giorno venivano ad omaggiarlo, non solo a Roma, ma anche durante i suoi viaggi nelle provincie, spesso indossando la sola toga, senza le insegne regali, come semplici clienti.»

Tiberio[modifica | modifica wikitesto]

(LA)

«se novies a diuo Augusto in Germaniam missum plura consilio quam ui perfecisse»

(IT)

«Egli stesso era stato inviato in Germania dal divo Augusto ben nove volte e sempre vi aveva ottenuto risultati migliori con la diplomazia che con la forza»

Tiberio: aureo[42]
TI CAESAR DIVI AVG F AVGVST., testa laureata di Tiberio PONTIF MAXIM, pax seduta con un ramoscello di ulivo
7.7 g, coniato fra il 14 e il 37

La politica estera di Tiberio fu segnata dalla pace e dalla diplomazia: l'unica legione che dovette spostarsi durante il suo principato fu la legio IX Hispana.[43] In generale, Tiberio si mostrò riluttante ad annettere nuovi territori; le uniche modifiche in tal senso interessarono, infatti, il solo Oriente, quando alla morte dei re clienti, Cappadocia, Cilicia e Commagene furono incorporate nei confini imperiali.[44][N 1] Tutte le rivolte che si susseguirono nel suo lungo principato, durato 23 anni, furono soffocate nel sangue dai suoi generali, come quella di Tacfarinas e dei suoi Musulami dal 17 al 24, o in Gallia di Giulio Floro e Giulio Sacroviro nel 21, o in Tracia tra i re clienti degli Odrisi attorno al 21.[45]

Durante l'impero di Tiberio, le forze militari erano dislocate con la seguente disposizione: la tutela dell'Italia era affidata a due flotte, quella di Ravenna (classis Ravennatis) e quella di Capo Miseno (classis Misenensis), e Roma, in particolare, era difesa dalle nove coorti pretorie, che Seiano fece riunire in un accampamento alle porte dell'Urbe, e da tre coorti urbane. Il Nordovest dell'Italia era invece presidiato da un'ulteriore flotta, all'ancora sulle coste della Gallia, costituita dalle navi rostrate che Augusto aveva catturato ad Azio. Le restanti forze erano stanziate nelle province, con l'obiettivo di salvaguardare i confini e reprimere eventuali rivolte interne: otto legioni erano schierate nella zona del Reno a protezione dalle invasioni germaniche e dalle rivolte galliche, tre legioni si trovavano in Spagna, e due tra le province dell'Egitto e dell'Africa, dove Roma poteva anche contare sull'aiuto del regno di Mauretania. A Oriente, quattro legioni erano stanziate tra la Siria e il fiume Eufrate. Nell'Europa orientale, infine, due legioni erano stanziate in Pannonia, due in Mesia, a protezione del confine danubiano, e due in Dalmazia. Dislocati ovunque sul territorio, in modo da poter intervenire dove ce ne fosse bisogno, erano altre piccole flotte di triremi, battaglioni di cavalleria e gruppi di ausiliari reclutati tra gli abitanti delle province.[46]

In Germania[modifica | modifica wikitesto]

Riguardo alla politica estera lungo i confini settentrionali, Tiberio pose fine dopo pochi anni dall'ascesa al potere alle operazioni militari che Germanico aveva intrapreso fra il 14 e il 16. I dissensi interni delle tribù germaniche produssero di lì a poco una guerra tra Catti e Cherusci, una successiva tra Arminio e Maroboduo, fino a quando quest'ultimo fu esiliato nel 19, mentre il primo assassinato (nel 21).[47] Mentre Tacito insinua che fu l'invidia verso il figlio adottivo a spingere Tiberio a richiamarlo, più probabilmente la decisione fu presa in seguito a valutazioni di altra natura, in particolare la preoccupazione per i costi di una guerra prolungata, per le conseguenze fiscali dell'annessione di un nuovo territorio, e per la natura boschiva e poco agreste della Germania.[48] Da parte sua Germanico intendeva restaurare il controllo diretto Romano sino all'Elba; ma al termine di ciascuna delle sue spedizioni egli fu costretto a ritirarsi ad Ovest del Reno, il che indica che una rioccupazione definitiva era con tutta probabilità ancora lontana.[49][N 2]

Nel 14, mentre era in corso la rivolta delle legioni in Pannonia,[50] anche gli uomini stanziati lungo il confine germanico si ribellarono ai loro comandanti, dando inizio a una serie di efferate violenze e massacri. Germanico, allora, che era a capo dell'esercito stanziato in Germania e godeva di grande prestigio,[51] s'incaricò di riportare alla calma la situazione, confrontandosi personalmente con i soldati in rivolta. Essi chiedevano, come i loro compagni pannoni, la riduzione della durata del servizio militare e l'aumento della paga: Germanico decise di concedere loro il congedo dopo venti anni di servizio e di inserire nella riserva tutti i soldati che avevano combattuto per oltre sedici anni, esonerandoli così da ogni obbligo con l'eccezione di quello di respingere gli assalti nemici; raddoppiò allo stesso tempo i lasciti a cui, secondo i testamento di Augusto, i militari avevano diritto.[52] Le legioni, che avevano da poco appreso della recente morte di Augusto, arrivarono addirittura a garantire il proprio appoggio al generale se avesse desiderato impadronirsi del potere con la forza, ma egli rifiutò dimostrando allo stesso tempo grande rispetto per il padre adottivo Tiberio e una grande fermezza.[53] La rivolta, che aveva attecchito tra molte delle legioni di stanza in Germania, risultò comunque difficile da reprimere, e si concluse con la strage di molti legionari ribelli.[54] I provvedimenti presi da Germanico per soddisfare le esigenze delle legioni furono poi ufficializzati in un secondo momento da Tiberio, che assegnò le stesse indennità anche ai legionari pannoni.[55]

La spedizione del 15 di Germanico in Germania

Ripreso il controllo della situazione, Germanico decise di organizzare una spedizione contro le popolazioni germaniche che, venute a conoscenza delle notizie della morte di Augusto e della ribellione delle legioni, avrebbero potuto decidere di lanciare un nuovo attacco contro l'Impero. Assegnata, dunque, parte delle legioni al luogotenente Aulo Cecina Severo, attaccò le tribù di Bructeri, Tubanti e Usipeti, sconfiggendole nettamente e compiendo numerose stragi;[56] attaccò, poi, i Marsi, ottenendo nuove vittorie e pacificando così la regione a ovest del Reno: poté in questo modo progettare per il 15 una spedizione a est del grande fiume, con la quale avrebbe potuto vendicare Varo e frenare ogni volontà espansionistica dei Germani.[57]

Nel 15, dunque, Germanico attraversò il Reno assieme al luogotenente Cecina Severo, che sconfisse nuovamente i Marsi,[58] mentre il generale ottenne una netta vittoria sui Catti.[59] Il principe dei Cherusci Arminio, che aveva sconfitto Varo a Teutoburgo, incitò allora tutte le popolazioni germaniche alla rivolta, invitandole a combattere contro gli invasori romani;[60] si formò, tuttavia, anche un piccolo partito filoromano, guidato dal suocero di Arminio, Segeste, che offrì il proprio aiuto a Germanico.[61] Questi si diresse verso Teutoburgo, dove poté ritrovare una delle aquile legionarie perdute nella battaglia di sei anni prima, e rese gli onori funebri ai caduti le cui ossa erano rimaste insepolte.[62] Decise, poi, di inseguire Arminio per affrontarlo in battaglia; il principe germanico, però, attaccò gli squadroni di cavalleria che Germanico aveva mandato in avanscoperta sicuro di poter cogliere il nemico impreparato, e fu dunque necessario che l'intero esercito legionario intervenisse per evitare una nuova disastrosa sconfitta.[63] Germanico, allora, decise di tornare a ovest del Reno assieme ai suoi uomini; mentre si trovava sulla strada del ritorno presso i cosiddetti pontes longi, Cecina fu attaccato e sconfitto da Arminio, che lo costrinse a retrocedere all'interno dell'accampamento. I Germani, allora, convinti di poter avere la meglio sulle legioni, assaltarono l'accampamento stesso, ma furono a loro volta duramente sconfitti, e Cecina poté condurre le legioni sane e salve a ovest del Reno.[64]

Nonostante avesse riportato una sostanziale vittoria, Germanico era cosciente che i Germani erano ancora in grado di riorganizzarsi, e decise, nel 16, di condurre una nuova campagna che avesse l'obiettivo di annientare definitivamente le popolazioni tra il Reno e l'Elba.[65] Per giungere indisturbato nelle terre dei nemici, decise di approntare una flotta che conducesse le legioni fino alla foce del fiume Amisia: in tempi rapidi furono approntate oltre mille navi agili e veloci, in grado di trasportare numerosi uomini ma dotate anche di macchine da guerra per la difesa.[66] Non appena i Romani sbarcarono in Germania, le tribù del luogo, riunite sotto il comando di Arminio, si prepararono a fronteggiare gli invasori e si riunirono a battaglia presso Idistaviso;[67] gli uomini di Germanico, ben più preparati dei loro nemici,[68] fronteggiarono allora i Germani, e riportarono una schiacciante vittoria.[69] Arminio e i suoi si ritirarono presso il Vallo Angrivariano, ma subirono un'altra durissima sconfitta da parte dei legionari romani:[70] le genti che abitavano tra il Reno e l'Elba erano così state debellate.[71] Germanico ricondusse dunque i suoi in Gallia, ma, sulla strada del ritorno, la flotta romana fu dispersa da una tempesta e costretta a subire notevoli perdite;[72] l'inconveniente occorso ai Romani diede nuovamente ai Germani la speranza di poter ribaltare le sorti della guerra, ma i luogotenenti di Germanico poterono facilmente avere la meglio sui loro nemici.[73] Sebbene Roma non fosse dunque riuscita a espandere la sua area d'influenza, il confine stabilito dal Reno era, così, protetto da altre eventuali rivolte germaniche; a segnare in modo ancora più netto la fine delle ribellioni delle genti del luogo intervenne, nel 21, la morte di Arminio, che, dopo aver sconfitto in guerra il re filoromano dei Marcomanni, Maroboduo, fu tradito e ucciso dai suoi compagni quando aspirava ormai al regno.[74]

In Oriente[modifica | modifica wikitesto]
Ritratto di Germanico (Tolosa, Museo Saint-Raymond)

A Oriente la situazione politica, dopo un periodo di relativa tranquillità successivo agli accordi tra Augusto e i sovrani partici, tornò a farsi conflittuale: a causa delle lotte intestine, Fraate IV e i suoi figli morirono mentre a Roma regnava ancora Augusto, e i Parti chiesero dunque che Vonone, figlio di Fraate inviato tempo prima come ostaggio, potesse tornare in Oriente, per salire al trono in qualità di unico membro ancora in vita della dinastia arsacide.[75] Il nuovo sovrano, però, estraneo alle tradizioni locali, risultò inviso ai Parti stessi, e fu quindi sconfitto e scacciato da Artabano II, e costretto a rifugiarsi in Armenia. Qui i re imposti sul trono da Roma erano morti, e Vonone fu dunque scelto come nuovo sovrano; tuttavia, ben presto Artabano fece pressione su Roma perché Tiberio destituisse il nuovo re armeno, e l'imperatore, per evitare di dover intraprendere una nuova guerra contro i Parti, fece arrestare Vonone dal governatore romano di Siria.[76]

A turbare la situazione orientale intervennero anche le morti del re della Cappadocia Archelao, che era venuto a Roma a rendere omaggio a Tiberio, di Antioco III, re di Commagene, e di Filopatore, re di Cilicia: i tre Stati, che erano vassalli di Roma, si trovavano in una situazione di instabilità politica, e si acuivano i contrasti tra il partito filoromano e i fautori dell'autonomia.[77]

La difficile situazione orientale rendeva necessario un intervento romano, e Tiberio nel 18 inviò il figlio adottivo, Germanico, che fu nominato console e insignito dell'imperium proconsolaris maius su tutte le province orientali. Contemporaneamente l'imperatore nominò un nuovo governatore per la provincia di Siria, Gneo Calpurnio Pisone, che era stato suo collega durante il consolato del 7 a.C.[78] Giunto in Oriente, Germanico, con il consenso dei Parti, incoronò ad Artaxata un nuovo sovrano d'Armenia: il regno, infatti, dopo la deposizione di Vonone era rimasto privo di una guida, e Germanico conferì la carica di re al giovane Zenone, figlio del sovrano del Ponto Polemone I.[79] Stabilì, inoltre, che Commagene ricadesse sotto la giurisdizione di un pretore, pur mantenendo la propria formale autonomia, che la Cappadocia fosse istituita come provincia a sé stante, e che la Cilicia entrasse invece a far parte della provincia di Siria.[80] Germanico aveva così brillantemente risolto tutti i problemi che avrebbero potuto far temere l'accendersi di nuove situazioni di conflitto nella regione orientale. Ricevette, intanto, un'ambasceria da parte del re dei Parti Artabano, che era intenzionato a confermare e rinnovare l'amicizia e l'alleanza dei due imperi: in segno di omaggio alla potenza romana Artabano decise di recarsi in visita da Germanico in riva al fiume Eufrate, e chiese che in cambio Vonone fosse scacciato dalla Siria, dov'era rimasto dal momento del suo arresto, poiché fomentava nuove discordie;[81] Germanico accettò di rinnovare l'amicizia con i Parti, e acconsentì dunque all'allontanamento dalla Siria di Vonone, che aveva stretto un legame di amicizia con il governatore Pisone.[82] L'ex re dell'Armenia fu dunque confinato nella città di Pompeiopoli in Cilicia, e morì poco tempo dopo, ucciso da alcuni cavalieri romani mentre tentava la fuga.[83] Nel 19 anche Germanico morì,[84] dopo aver evitato con oculati provvedimenti che una carestia sviluppatasi in Egitto avesse conseguenze catastrofiche per la provincia stessa.[85]

La sistemazione dell'Oriente approntata da Germanico garantì la pace fino al 34: in quell'anno il re Artabano II di Partia, convinto che Tiberio, ormai vecchio, non avrebbe opposto resistenza da Capri, pose il figlio Arsace sul trono di Armenia dopo la morte di Artaxias.[86] Tiberio, allora, decise di inviare Tiridate, discendente della dinastia arsacide tenuto in ostaggio a Roma, a contendere il trono partico ad Artabano, e sostenne l'insediamento di Mitridate, fratello del re di Iberia, sul trono di Armenia.[87] Mitridate, con l'aiuto del fratello Farasmane, riuscì a impossessarsi del trono di Armenia: i servi di Arsace, corrotti, uccisero il loro padrone, gli Iberi invasero il regno e sconfissero, alleatisi con i popoli locali, l'esercito dei Parti guidato da Orode, figlio di Artabano.[88] Artabano, temendo un nuovo massiccio intervento da parte dei Romani, rifiutò di inviare altre truppe contro Mitridate, e abbandonò le proprie pretese sul regno di Armenia.[89] Contemporaneamente, gli odi che Roma fomentava tra i Parti contro Artabano costrinsero il re a lasciare il trono e a ritirarsi, mentre il controllo del regno passava all'arsacide Tiridate.[90] Poco tempo più tardi, tuttavia, quando Tiridate era sul trono da circa un anno, Artabano, radunato un grosso esercito, marciò contro di lui; l'arsacide inviato da Roma, impaurito, fu costretto a ritirarsi, e Tiberio dovette accettare che lo Stato dei Parti continuasse a essere governato da un sovrano ostile ai Romani.[91]

In Africa[modifica | modifica wikitesto]
Statua di Tiberio da Utica (Rijksmuseum van Oudheden, Leida)

Nel 17, il numida Tacfarinas, che aveva servito come ausiliario nell'esercito romano, iniziò a raccogliere attorno a sé numerosi briganti, ma divenne poi guida dell'intero popolo dei Musulami, nomadi che abitavano le zone vicine al Sahara. Organizzato un esercito con il quale compiere razzie e tentare di intaccare il dominio romano, Tacfarinas attirò dalla sua parte i Mauri guidati da Mazippa; il proconsole d'Africa Marco Furio Camillo, allora, si affrettò a marciare contro Tacfarinas e i suoi alleati, nel timore che i ribelli rifiutassero di ingaggiare battaglia, e li sconfisse nettamente, meritandosi anche le insegne trionfali.[92]

L'anno successivo, Tacfarinas riprese le ostilità, iniziando una serie di attacchi e razzie contro villaggi e accumulando un grosso bottino; cinse infine d'assedio una coorte dell'esercito romano, e riuscì a sconfiggerla duramente.[93] Allora, il nuovo proconsole, che era succeduto a Camillo, inviò il corpo dei veterani contro Tacfarinas, che fu sconfitto. Il numida, allora, intraprese una tattica di guerriglia contro i Romani, ma, dopo alcuni successi iniziali, fu nuovamente sconfitto, e ricacciato nel deserto.[94]

Dopo alcuni anni di pace, nel 22 Tacfarinas inviò ambasciatori presso Tiberio a Roma, affinché chiedessero per lui e per i suoi uomini la possibilità di risiedere stabilmente all'interno dei territori romani; se Tiberio non avesse accettato le condizioni, il numida minacciava di scatenare una nuova guerra che avrebbe protratto a oltranza. L'imperatore, tuttavia, considerò la minaccia di Tacfarinas come un oltraggio al potere di Roma, e ordinò di condurre una nuova offensiva contro i ribelli numidi.[95] Il comandante dell'esercito romano, Bleso, decise di adottare una strategia simile a quella che Tacfarinas aveva a sua volta adottato nel 18: egli divise il suo esercito in tre colonne, con le quali poté attaccare ripetutamente i nemici e costringerli alla ritirata. Il successo sembrò essere definitivo, tanto che Tiberio acconsentì alla proclamazione a imperator di Bleso.[96]

La guerra contro Tacfarinas ebbe fine soltanto nel 24: nonostante le sconfitte sofferte fino ad allora, il ribelle numida continuava a resistere, e decise di condurre ancora un'offensiva contro i Romani.[97] Cinse dunque d'assedio una piccola cittadina, ma fu subito attaccato dall'esercito romano e costretto a retrocedere; molti capi ribelli, tuttavia, furono catturati e uccisi. All'inseguimento dei fuggiaschi si lanciarono i battaglioni di cavalleria e le coorti leggere, rinforzate anche dagli uomini inviati dal re Tolomeo di Mauretania, che alleato dei Romani, aveva deciso di scendere in guerra contro Tacfarinas, che aveva danneggiato anche il suo regno.[98] Raggiunti, i ribelli numidi diedere nuovamente battaglia, ma furono duramente sconfitti; Tacfarinas, certo dell'inevitabilità di una sconfitta definitiva, si gettò nel mezzo delle schiere nemiche, e cadde trafitto dai colpi. Con la morte dell'uomo che l'aveva saputa organizzare, la rivolta ebbe fine.[99]

In Gallia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 21 gli abitanti della Gallia, oppressi dalla richiesta di esosi tributi e imposte, si ribellarono spinti da Giulio Floro e Giulio Sacroviro. I due organizzatori della rivolta, uno membro della tribù dei Treviri, l'altro di quella degli Edui, godevano della cittadinanza romana, che i loro antenati avevano ricevuto per i servigi prestati allo Stato, e conoscevano il sistema politico e militare romano.[100] Per avere maggiori speranze di successo, decisero di estendere la ribellione a tutte le tribù della Gallia, e intrapresero dunque numerosi viaggi, guadagnando alla propria causa anche i Belgi.[101] Tiberio tentò di evitare un intervento diretto di Roma, ma quando i Galli arruolati nelle milizie ausiliarie iniziarono a defezionare, le legioni marciarono contro Floro e lo sconfissero presso la selva Arduenna.[102] Il capo dei Treviri, vedendo che per il suo esercito non v'era alcuna via di fuga, decise di uccidersi; per i suoi, rimasti senza una guida autorevole, ebbe dunque fine la ribellione.[103] Sacroviro assunse allora il comando generale della ribellione, radunando attorno a sé tutte le tribù ancora disposte a combattere contro Roma;[104] presso Augustodunum fu attaccato dall'esercito romano e, dopo aver dato prova di notevole valore, fu sconfitto.[105] Anch'egli, per non finire nelle mani dei nemici, decise di togliersi la vita assieme ai suoi più fedeli collaboratori;[106] morti coloro che l'avevano saputa organizzare, la ribellione delle Gallie finì, senza che si fosse ottenuta nessuna riduzione delle gravose imposte che gli abitanti del territorio dovevano pagare.[107]

Nell'area Illirico-balcanica[modifica | modifica wikitesto]
Ritratto di Tiberio (Museo archeologico nazionale, Cagliari)

Nel 14, non appena le legioni stanziate nella regione dell'Illirico vennero a conoscenza della notizia della morte di Augusto, scoppiò una rivolta fomentata dai legionari Percennio e Vibuleno.[108] Essi speravano infatti di poter scatenare una nuova guerra civile da cui trarre notevoli guadagni e, allo stesso tempo, intendevano migliorare le condizioni in cui si trovavano tutti i militari: chiedevano infatti che si riducessero gli anni di servizio militare, e che il loro salario giornaliero venisse portato a un denario.[109] Tiberio, da poco salito al potere, rifiutò di intervenire personalmente, e inviò presso le legioni il figlio Druso assieme ad alcuni cittadini romani e due coorti pretorie assieme a Lucio Elio Seiano, figlio del prefetto del pretorio Seio Strabone.[110] Druso pose fine alla rivolta uccidendo i capi Percennio e Vibuleno[111] e attuando ulteriori repressioni contro i ribelli;[112] ai legionari non furono fatte sul momento particolari concessioni, ma essi poterono poi beneficiare delle stesse indennità che Germanico concesse più tardi alle legioni di Germania.[55]

Nell'area dell'ex Illirico, Tiberio dispose nel 15 che le province senatorie di Acaia e Macedonia fossero unite alla provincia imperiale di Mesia, prorogando l'incarico del governatore Gaio Poppeo Sabino (che rimase in carica 21 anni dal 15 al 36[113]) e dei suoi successori.[114]

Anche in Tracia la situazione di tranquillità dell'epoca augustea si ruppe alla morte del re Remetalce I, alleato di Roma: il regno fu diviso in due parti, che furono assegnate al figlio e al fratello del re defunto, Cotys V e Rescuporide. A Cotys spettò la regione vicina alla costa e alle colonie greche, a Rescuporide quella selvaggia e incolta dell'interno, esposta agli attacchi degli ostili popoli confinanti.[115] Rescuporide, allora, deciso a impossessarsi delle terre spettate al nipote, iniziò a condurre contro il suo regno una serie di azioni violente;[116] nel 19, Tiberio, nel tentativo di evitare lo scoppio di una nuova guerra che avrebbe probabilmente richiesto l'intervento di truppe romane, inviò emissari ai due re traci, favorendo l'avvio delle trattative di pace.[117] Rescuporide, tuttavia, non desistette dal suo proposito, ma fece anzi imprigionare Cotys impossessandosi del suo regno,[118] e chiese poi che Roma riconoscesse la sua sovranità su tutta la Tracia. Tiberio invitò allora lo stesso Rescuporide a raggiungere l'Urbe per giustificare l'arresto di Cotys,[119] ma il re trace si rifiutò e uccise il nipote.[120] Tiberio inviò allora da Rescuporide il governatore della Mesia Pomponio Flacco, che, vecchio amico del re trace, lo convinse a recarsi a Roma;[121] ivi Rescuporide fu processato e condannato al confino per l'uccisione di Cotys, e morì più tardi mentre si trovava ad Alessandria.[122] Il regno di Tracia fu diviso tra Remetalce III, figlio di Rescuporide che aveva apertamente osteggiato i piani del padre, e i giovanissimi figli di Cotys, in nome dei quali fu nominato reggente l'ex pretore Trebelleno Rufo.[123]

Caligola[modifica | modifica wikitesto]

Mappa dell'Impero romano e degli Stati confinanti sotto Caligola. Legenda:

     Italia e provincie romane

     Stati indipendenti

     Stati clienti di Roma

     Regno di Mauretania, annesso all'Impero da Caligola

     Tracia e Commagene, territori romani cui Caligola assegnò sovrani clienti

Occidente[modifica | modifica wikitesto]

Il fatto che Caligola appartenesse a una famiglia di importanti comandanti militari che si erano guadagnati gloria e onore con imprese belliche potrebbe aver destato in lui il desiderio di emularne le gesta. Se Druso maggiore, il nonno paterno, e Germanico, il padre, si erano concentrati in Germania, egli, per superare le loro gesta, credette di dover non solo conquistare in modo definitivo i territori compresi tra Danubio e Reno, ma anche varcare l'oceano e sbarcare in Britannia. A tal scopo, per prima cosa creò due nuove legioni, la XV Primigenia e la XXII Primigenia.[124]

Lasciata Roma all'inizio di settembre del 39,[125] condusse il suo esercito lungo il Reno, ammassandovi numerose legioni, insieme ai relativi reparti ausiliari e un ingente quantitativo di vettovagliamenti.[126] A ottobre, dopo aver passato in rassegna le truppe, fece uccidere Gneo Cornelio Lentulo Getulico, che era stato il governatore della Germania superiore per dieci anni, poiché ne invidiava l'ottimo rapporto che aveva con le proprie truppe.[127]

La sua impresa risultò quasi del tutto inutile,[128] se non per il fatto che Adminio, figlio di Cunobelino re dei Britanni, scacciato dal padre, giunse nell'accampamento dell'imperatore e fece atto di sottomissione.[129] Caligola rimase sul Reno senza però portare a termine alcuna operazione militare e rimproverò ai senatori di vivere tra i lussi mentre lui rischiava la vita in battaglia.[130] Decise quindi di muovere le truppe verso l'Oceano, portando con sé numerose macchine da guerra.[131] Ordinò ai suoi uomini di togliersi l'elmo e raccogliere le conchiglie sulla spiaggia,[132] quasi fosse il bottino di una battaglia vinta contro il mare.[130] Fece, infine, costruire in quel luogo una grande torre in memoria delle sue imprese vittoriose ed elargì ricompense ai suoi soldati.[130]

Gli storici moderni hanno avanzato alcune teorie per spiegare questo genere di azioni: il viaggio verso la Manica viene interpretato come un'esercitazione, una missione di esplorazione[133] oppure per accettare la resa del capo britannico Adminio.[134] Le "conchiglie" (in latino conchae) di cui racconta Svetonio potrebbero rappresentare invece una metafora dei genitali femminili, in quanto alle truppe fu probabilmente concesso di frequentare i bordelli della zona; oppure di imbarcazioni britanne, che i soldati potrebbero aver catturato durante la breve spedizione.[135]

Oriente[modifica | modifica wikitesto]
Ritratto di Erode Agrippa I, amico e alleato di Caligola (Promptuarii Iconum Insigniorum, Guillaume Rouillé)

In oriente, Caligola insediò come re clienti i tre giovani principi traci che aveva avuto modo di frequentare in gioventù, a casa della nonna Antonia: a Polemone II il regno del Ponto e del Bosforo (nel 38), a Remetalce III metà dell'antico regno di Tracia e a Cotys IX l'Armenia Minore.[136] L'imperatore non seguì un'identica linea politica con i regni alleati orientali: si basò molto sulla simpatia e sulla fiducia personale che ogni singolo sovrano fu in grado di trasmettergli. Depose ed esiliò Mitridate, re d'Armenia; nominò Antioco re di Commagene, regione ridotta a provincia nel 17, al quale regalò 100 milioni di sesterzi;[137] elesse governatore dei territori di Batanea e Traconitide l'amico di infanzia, Erode Agrippa,[138] donandogli in seguito anche il regno di Giudea dopo aver esiliato lo zio Erode Antipa (nel 39), accusato di volersi impadronire dei territori di Agrippa e di aver ordito una congiura contro l'imperatore, oltre alla Palestina nord-occidentale, che dalla morte di Erode Filippo II (34) era sotto il controllo diretto di Roma.[139]

Fronte africano[modifica | modifica wikitesto]
Busto di Tolomeo di Mauretania, cugino di Caligola e da lui fatto uccidere (Museo del Louvre, Parigi)

La Mauretania era ormai da lungo tempo un regno cliente fedele a Roma, governato da Tolomeo di Mauretania, discendente di Antonio e Cleopatra e cugino di secondo grado del principe.[140] Nel 40 Caligola invitò Tolomeo a Roma, e «quando venne a sapere che era ricco», lo mandò a morte.[141] Dopo l'uccisione del re di Mauritania scoppiò una rivolta guidata da un suo liberto, Edemone, che amministrava gli affari reali già dal 37, e che ebbe termine grazie all'intervento militare romano di Marco Licinio Crasso Frugi (41).[142] La Mauretania fu quindi annessa e successivamente divisa in due province, Mauretania Tingitana e Mauretania Cesariensis, separate dal fiume Mulucha (oggi Muluia).[143] Se Plinio sostiene che la divisione fu operata da Caligola, Cassio Dione al contrario afferma che solo in seguito alla rivolta del 42, soffocata nel sangue dalle truppe romane poste sotto il comando di Gaio Svetonio Paolino e Gneo Osidio Geta, fu operata la scissione in due province indipendenti;[144] questa confusione potrebbe essere stata generata dal fatto che fu Caligola a prendere la decisione di dividere la provincia, ma che la sua realizzazione venne rinviata a causa della successiva ribellione.[145] Il primo governatore equestre delle due province fu un certo Marco Fadio Celere Flaviano Massimo (44).[145]

I dettagli della conquista della Mauritania non sono chiari sebbene Cassio Dione vi avesse dedicato un intero capitolo, purtroppo andato perduto.[146] L'annessione operata da Caligola sembra avesse un movente strettamente personale, vale a dire il timore e la gelosia del cugino del princeps, Tolomeo. L'espansione non sarebbe stata quindi determinata, almeno inizialmente, da esigenze economiche o strategico-militari.[147] Tuttavia la ribellione di Tacfarinas aveva mostrato quanto l'Africa proconsolare fosse debole lungo i suoi confini occidentali e di come i re clienti di Mauretania fossero importanti nel fornire la loro protezione alla provincia, ed è quindi possibile che l'annessione operata da Caligola rappresentasse una risposta strategica alle potenziali minacce future.[145]

Claudio[modifica | modifica wikitesto]

Annessioni e conquiste[modifica | modifica wikitesto]

L'impero di Claudio (37-54).

Claudio, senza lasciarsi scoraggiare dal consiglio di Augusto di mantenere l'impero entro i limiti da lui stabiliti, aggiunse non meno di 5-7 nuove province tra cui ex regni clienti: Mauritania (dal 40-41), Britannia, Licia, Panfilia (dal 43), riannesse la Giudea (dal 44, dopo la morte del re Erode Agrippa I) e Tracia (dal 46); oltre all'annessione di nuovi territori/province danubiane, come il Regno del Norico (attorno al 50) e parti della Rezia.

Tale scelta politica fu determinata dal fatto che egli aveva ereditato da Caligola una Mauritania in rivolta e una Britannia considerata matura per l'annessione, e dalla sua convinzione che fosse arrivato il momento di sostituire agli Stati clienti un controllo diretto imperiale. La politica difensiva di Tiberio fu infatti abbandonata, tranne lungo il limes europeo di Reno e Danubio.

Africa (41-44)[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Limes africano.

La rivolta della Mauretania, che seguì all'assassinio del re Tolomeo per ordine dell'imperatore Gaio Caligola (che in seguito aveva deciso di annettere i nuovi territori, trasformandoli in nuova provincia, nell'autunno del 40), fu soffocata nel sangue dopo quattro duri anni di lotta (dal 41 al 44) grazie a valenti generali come Gaio Svetonio Paolino e Osidio Geta. La Mauretania fu divisa in due province, la Mauretania Caesariensis e quella Tingitana (con capitali Cesarea e Tingis), affidate a un procuratore imperiale di ordine equestre. Riuscì a sedare una rivolta di Musulami dell'Africa settentrionale, inviandovi uno dei più qualificati generali, Servio Sulpicio Galba, in qualità di governatore e a capo della legione qui stanziata (la Legio III Augusta).

Conquista della Britannia (43-51)[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Conquista della Britannia.
Claudio: Didracma[148]
TI CLAVD CAESAR AVG GERM P M TR P, testa laureata a sinistra Claudio che guida una quadriga trionfale verso destra, tiene le redini ed uno scettro; sotto la scritta DE BRITANNIS
21 mm, 7,48 g, coniato nel 43-48

Nel 43 iniziò la conquista della Britannia, quasi un secolo dopo Gaio Giulio Cesare. Al di là delle ragioni politiche, economiche e militari della spedizione, non va dimenticata una considerazione forse più importante, di natura psicologica, e cioè di provare a tutti di essere il degno figlio del conquistatore della Germania, Druso. Egli si recò in Britannia nell'autunno del primo anno di guerra per essere presente alla vittoria finale. Questa fu la conquista della quale Claudio andò più orgoglioso.

Confini europei lungo Reno e Danubio (46-50)[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Limes renano e Limes danubiano.

In Gallia alcune tribù ottennero i diritti latini e molti la cittadinanza romana, ma cosa più importante, Claudio riuscì a convincere un Senato riluttante a far ammettere alcuni cittadini galli all'interno delle istituzioni e magistrature romane. Egli, basandosi sui suoi studi della storia di Roma, dimostrò che la Repubblica romana si era rafforzata e ingrandita grazie al fatto di aver incorporato elementi considerati fino a poco prima degli "stranieri", come lo erano stati gli Etruschi, i Sanniti, i Greci, ecc. Claudio apriva così le porte del Senato anche ai provinciali Galli.

In Germania, il legato della Germania Inferiore, Gneo Domizio Corbulone, diede prova delle sue grandi capacità militari con una campagna nelle terre dei Frisi e contro i pirati Cauci lungo le coste del Mare del Nord (47-48). Claudio però gli ordinò di ritirarsi al di qua del Reno: non voleva ripetere le imprese del padre Druso. In Tracia, da lungo tempo inquieta, il sovrano regnante era stato assassinato e Claudio decise che era ormai giunto il momento di annettere la regione (46). Completò, infine, le conquiste dei territori rimasti liberi fino al Danubio, annettendo le parti rimaste libere fino a quel momento della Rezia e del Norico (da Castra Regina a Carnuntum) nel 50 circa.

Oriente (44-54)[modifica | modifica wikitesto]

La Licia, dove si erano verificati dei disordini, divenne provincia nel 43. In Oriente, Claudio ricompensò l'amico Erode Agrippa I per l'aiuto prestatogli in passato, insediandolo sul trono di Giudea, che dal 6 era una provincia romana. Alla morte di Agrippa, nel 44, la Giudea ritornò a essere una provincia romana, amministrata da procuratori. Nei confronti della Partia, Claudio riuscì a ottenere il controllo dell'Armenia, fino a quando il nuovo re Vologese I, riuscì a insediare suo fratello Tiridate sul trono armeno verso la fine del regno di Claudio.

Nerone[modifica | modifica wikitesto]

La Britannia nel 68 alla morte dell'imperatore Nerone.

Nerone era poco interessato alle campagne militari: se ne occupò lo stretto necessario (prese parte solo ad una spedizione in Armenia[149]), e non fu mai molto popolare nei ranghi dell'esercito.[150] Sotto Nerone, l'Imperatore Partico Vologese I pose sul trono del regno d'Armenia il proprio fratello Tiridate, sul finire del 54. Questo avvenimento convinse Nerone che fosse necessario avviare preparativi di guerra in vista di un'imminente campagna.

Domizio Corbulone fu inviato a sedare le continue scaramucce tra le popolazioni locali e sparuti gruppi di romani. In realtà non vi fu una vera guerra fino al 58 d.C. Dopo la conquista di Artaxata nel 58 e della città di Tigranocerta nel 59, pose sul trono degli armeni re Tigrane VI, nel 60. Vologese, in preda all'ira, pretendendo che il trono fosse restituito a suo fratello, mosse guerra ai romani, i quali però riuscirono a prevalere ottenendo nel 66 la sottomissione di Tiridate come re cliente. Si spense così l'ultimo focolaio di guerra nell'Impero e Nerone poté fregiarsi del titolo di Imperator (Pacator) invitando a Roma il re Tiridate I.

Inaugurò, nel contempo, solenni festeggiamenti per la ricorrenza del trecentesimo anniversario della prima chiusura delle porte del tempio di Giano Gemino (236 a.C.) per celebrare la "pace ecumenica" raggiunta, volendo emulare Alessandro Magno, e, ancora, per far dimenticare al popolo il disastroso incendio della città del mese di luglio. Per le ingenti spese sostenute, Nerone attuò riforma del conio ed emise una nuova moneta sulla quale, nel dritto, appare la sua figura con il capo incoronato e l'aspetto fiero con la scritta: "IMP NERO CAESAR AVG GERM" e, sul rovescio, il tempio di Giano "a porte chiuse" con la scritta: "PACE P R UBIQ PARTA IANVM CLVSIT - S C -" (senatus consulto).

Per la prima volta, dunque, a Roma un comandante si fregiò del titolo ufficiale di Imperatore. Il re Tiridate, timoroso del mare, arrivò a Roma dopo un viaggio durato ben otto mesi nell'inverno del 65 e nella primavera del 66 furono ripetuti i festeggiamenti alla presenza del popolo e dell'esercito. Nerone tolse la tiara dal capo di Tiridate, incoronandolo Re con un diadema e facendolo sedere alla sua destra.[151] Nel corso del suo principato continuò la conquista della Britannia, anche se negli anni 60-61 fu interrotta da una rivolta capeggiata da Budicca, la regina della tribù degli Iceni. Infine, nonostante in patria fosse tollerante con gli ebrei ortodossi, su richiesta della filosemita Poppea inviò Vespasiano, che l'aveva seguito nel viaggio in Grecia e con cui aveva avuto malumori[152], e il figlio di questi, Tito, a sedare le prime rivolte ebraiche nazionaliste in Giudea, convinto che solo lui ne avesse le capacità.[153]

note[modifica | modifica wikitesto]

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  15. ^ Con riferimento all'episodio del 17 a.C. confronta: Floro, II, 30, 23-25; Cassio Dione, LIV, 20; Velleio Patercolo, II, 97; SvetonioAugustus, 23; Tacito, I, 10.
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  48. ^ Tacito, Annales, II, 26; Harris 2021passim; secondo alcuni quello di Tiberio fu un pragmatismo temporaneo (cfr. Goodyear 1981, p. 258; Seager 2005, pp. 72-73).
  49. ^ Goodyear 1981, p. 66; Seager 2005, p. 73.
  50. ^ Tacito, Annales, I, 46, 1.
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  84. ^ Tacito, Annales, VI, 33.
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  88. ^ Tacito, Annales, II, 52.
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