Utente:-Kali Yuga-/Brevissima relazione della distruzione delle Indie

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Frontespizio dell'edizione originale

La Brevissima relazione della distruzione delle Indie (in spagnolo Brevísima relación de la destrucción de las Indias) è un testo redatto dal vescovo spagnolo Bartolomé de Las Casas nel 1542 e stampato nel 1552. L'opera, che non è di carattere storico ma che rappresenta sostanzialmente un memoriale, intende denunciare i soprusi e le violenze perpetrati dai conquistadores spagnoli prima e dai coloni poi ai danni delle popolazioni indigene delle Americhe. In questo testo l'autore si scaglia duramente sia contro gli esecutori materiali del genocidio e della riduzione in schiavitù dei nativi sia contro la corona spagnola, che non fece nulla per evitare le violenze e che anzi con gli istituti dell'encomienda e del requerimiento di fatto le legittimò.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

La Brevissima relazione della distruzione delle Indie venne scritta in pieno periodo coloniale con l'espansione spagnola nelle Americhe che procedeva a ritmi assai rapidi. Nel 1493, seguito al ritorno di Cristoforo Colombo dal suo primo viaggio in America, i sovrani Ferdinando II d'Aragona e Isabella I di Castiglia chiesero a papa Alessandro VI il riconoscimento del diritto di rivendicare come proprie tutte le terre scoperte fino ad allora e quelle non ancora scoperte. Il pontefice emanò delle bolle in cui sanciva che il possesso delle terre americane da parte della monarchia spagnola era legittimo a condizione che la conquista fosse finalizzata all'evangelizzazione delle popolazioni native. Nonostante ciò la colonizzazione fu portata avanti con modalità brutali facendo sì che la conquista fosse finalizzata al mero sfruttamento dei territori appena scoperti in nome degli interessi economici della monarchia. La condanna nei confronti dei metodi violenti dei conquistadores da parte dell'élite culturale spagnola, costituita da giuristi e teologi fino ad arrivare agli stessi sovrani, si rivelò inefficace. Nel 1503 fu istituita l'encomienda che aveva lo scopo di regolamentare i rapporti tra i coloni e gli indios. Con questo sistema la popolazione indigena veniva raggruppata in villaggi posti sotto il controllo di un encomendero, un "affidatario" con diritto di vita e di morte sui nativi a lui sottoposti che aveva il compito di mantenere l'ordine e di convertirli al cristianesimo. La popolazione di ciascuna encomienda era costretta ai lavori forzati nei campi e nelle miniere. Questa impostazione socio-economica garantiva ai coloni il diritto di sfruttamento delle risorse e della manodopera locali e assicurava allo Stato introiti notevoli poiché alla corona spettava una parte dei profitti; contribuì inoltre alla definitiva estinzione di popolazioni già duramente provate (quando non addirittura decimate) dalle privazioni subite a causa di guerre di conquista, deportazioni e schiavitù, al punto che nelle isole caraibiche scomparvero ben presto diversi gruppi etnici. Nel 1512 furono emesse le Leggi di Burgos che pur prescrivendo un migliore trattamento degli indigeni che comprendeva la concessione di periodi interruzione dei lavori per consentire loro di coltivare le proprie terre non abolivano i lavori forzati, di fatto legittimando il sistema di sfruttamento allora in atto. Poco dopo fu introdotto il requerimiento che prevedeva che i conquistadores leggessero ad ogni nuova popolazione nativa incontrata sul loro cammino un documento in spagnolo in cui si dichiarava la sovranità da parte della corona sulle terre appena colonizzate. Inoltre agli indigeni si dava l'opportunità di arrendersi e di assoggettarsi agli spagnoli, ma dato che il documento risultava del tutto incomprensibile ai nativi a causa di ovvie barriere linguistiche e culturali i conquistadores spesso e volentieri approfittavano della loro mancata sottomissione, dovuta all'incomprensione più che a intenti bellicosi, per aggredirli con le armi.

Prime reazioni di religiosi al genocidio dei nativi[modifica | modifica wikitesto]

L'atto d'accusa contro i conquistadores redatto da de Las Casas non fu il primo, ma anzi giunse dopo diverse altre denunce anch'esse da parte di religiosi. Nel 1511 un frate di nome Antonio Montesinos aveva suscitato scalpore nei coloni arringandoli con un sermone in cui lamentava le infime condizioni di vita delle popolazioni assoggettate e dichiarava che le violenze degli spagnoli erano in tutto e per tutto un peccato mortale che li avrebbe condotti alla dannazione eterna in quanto gli indios erano a tutti gli effetti esseri umani.

Anche diversi appartenenti all'ordine domenicano residenti ad Hispaniola da un decennio levarono a più riprese le loro proteste, al punto che nel 1519 inviarono una lettera al cancelliere di Carlo V dichiarando che, a causa dei soprusi, di oltre un milione e centomila indigeni presenti sull'isola al loro arrivo ne rimanevano soltanto dodicimila.

La crescente insofferenza di parti del clero per le inaccettabili condizioni dei nativi venne accolta con ostilità dai coloni e vista l'inefficacia delle loro predicazioni nelle colonie i frati si rivolsero alla corona spagnola.

L'autore[modifica | modifica wikitesto]

In questo contesto di soprusi e violenze si colloca la stesura della Brevissima relazione. De Las Casas era nato in Spagna ed era giunto nel Nuovo Mondo nel 1502; vi prese i voti solo nel 1513, diventando così il primo europeo ad essere ordinato sacerdote nel continente americano. Fino al 1514 fu egli stesso un encomendero e per sua stessa ammissione ricoprì quel ruolo (prima ad Hispaniola e successivamente a Cuba) dimostrando una certa avidità. La Pasqua del 1514 viene generalmente considerata un momento di svolta nella sua vita perché, in maniera piuttosto improvvisa, in occasione della messa tenne un sermone di fronte ai coloni cubani in cui, similmente a quanto era avvenuto anni prima con l'omelia di Montesinos, condannò duramente l'encomienda e tutto il sistema di sfruttamento su cui si basava l'economia coloniale, intimando al pubblico di rinunciare agli indigeni a loro "affidati" pena la dannazione eterna. Egli stesso rinunciò alla propria encomienda sebbene gli fruttasse notevoli ricchezze e decise di fare ritorno in Spagna, convinto che fosse l'unico modo per far cessare le violenze dal momento che i precedenti tentativi dei domenicani, tutti effettuati nelle lontane colonie, erano stati vani.

L'opera[modifica | modifica wikitesto]

L'opera è divisa in X brevi capitoli e introdotta da un prologo la cui stesura è successiva a quella del resto della relazione stessa; risale infatti al 1552 e con esso l'autore si rivolge al principe Filippo affinché interceda e porti all'attenzione di suo padre Carlo V

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Bartolomé de Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Antonio Mondadori Editore, 1987, ISBN 88-04-42547-4