Bernardo Accolti: differenze tra le versioni

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L'edizione complessiva definitiva delle sue opere, pubblicata da Nicolò d'Aristotele, è del 1530 (vedi https://archive.org/details/VerginiaAccoltiOpal); quella del 1535 è una ristampa (non "senza titolo": vedi https://archive.org/details/verginiacomediad00acco/page/n3)
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Deposto da una terza rivolta nel 1534, non gli fu più possibile racimolare i fondi necessari per una nuova riconquista,<ref name=DBI/> e [[papa Paolo III]], che pure era stato uno dei suoi protettori, accolse le istanze dei nepesini e decise di revocargli il titolo di duca (probabilmente perché già intendeva darlo al figlio illegittimo [[Pier Luigi Farnese|Pier Luigi]]).<ref name=DeFraja/><ref name=Romei5/> Accolti perse così definitivamente il controllo del feudo, che pochi anni dopo fu inglobato dal [[ducato di Castro]] e dato in gestione alla famiglia [[Farnese]].<ref name=Nepi/> Durante i lavori di restauro del forte nepesino nel XX secolo venne rinvenuto uno stemma in pietra della famiglia Accolti, unica testimonianza diretta rimasta del suo controllo sulla città.<ref name=Nepi/>
Deposto da una terza rivolta nel 1534, non gli fu più possibile racimolare i fondi necessari per una nuova riconquista,<ref name=DBI/> e [[papa Paolo III]], che pure era stato uno dei suoi protettori, accolse le istanze dei nepesini e decise di revocargli il titolo di duca (probabilmente perché già intendeva darlo al figlio illegittimo [[Pier Luigi Farnese|Pier Luigi]]).<ref name=DeFraja/><ref name=Romei5/> Accolti perse così definitivamente il controllo del feudo, che pochi anni dopo fu inglobato dal [[ducato di Castro]] e dato in gestione alla famiglia [[Farnese]].<ref name=Nepi/> Durante i lavori di restauro del forte nepesino nel XX secolo venne rinvenuto uno stemma in pietra della famiglia Accolti, unica testimonianza diretta rimasta del suo controllo sulla città.<ref name=Nepi/>


Ormai povero e disperato, Bernardo Accolti fu confinato a Roma. Forse ricaduto preda della follia, morì pochi mesi dopo la perdita definitiva del ducato di Nepi, con tutta probabilità alla fine del febbraio 1535, venendo sepolto il 1º marzo successivo.<ref name=DeFraja/><ref name=Romei5/> Non era mai stato sposato e lasciava solo due figli illegittimi, Alfonso Maria e Virginia.<ref name=DBI/> Poco dopo la sua morte venne pubblicata un'edizione onnicomprensiva delle sue opere a [[Venezia]] dall'editore [[Nicolò d'Aristotele]].<ref name=edizione group=N>L'edizione, senza titolo, presenta nell'ordine la ''Virginia'', i ''Sonetti'', gli ''Strambotti'' e il ''Ternale in laude alla Vergine Maria''.<!-- ''Cfr.'' {{Cita libro|autore=Bernardo Accolti|editore=Nicolò d'Aristotele|città=Venezia|anno=1535}} Non si capisce la citazione--></ref>
Ormai povero e disperato, Bernardo Accolti fu confinato a Roma. Forse ricaduto preda della follia, morì pochi mesi dopo la perdita definitiva del ducato di Nepi, con tutta probabilità alla fine del febbraio 1535, venendo sepolto il 1º marzo successivo.<ref name=DeFraja/><ref name=Romei5/> Non era mai stato sposato e lasciava solo due figli illegittimi, Alfonso Maria e Virginia.<ref name=DBI/>


== Stile e opere ==
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Oltre ai ''Sonetti'' e agli ''Strambotti'' ci è pervenuta una [[commedia]] in versi, la ''Virginia'',<ref name=Romei5/> così intitolata in onore della figlia.<ref name=DBI/> Essa riprende fedelmente una novella di Boccaccio, segnatamente la [[Struttura del Decameron#Terza giornata|nona della terza giornata]] del ''[[Decameron]]'', di cui cambiano solo i nomi dei personaggi ma viene riproposto sostanzialmente lo stesso sviluppo della vicenda, accentuando l'aspetto religioso e conferendo così all'opera un'aura di [[sacra rappresentazione|sacralità]].<ref name=DBI/>
Oltre ai ''Sonetti'' e agli ''Strambotti'' ci è pervenuta una [[commedia]] in versi, la ''Virginia'',<ref name=Romei5/> così intitolata in onore della figlia.<ref name=DBI/> Essa riprende fedelmente una novella di Boccaccio, segnatamente la [[Struttura del Decameron#Terza giornata|nona della terza giornata]] del ''[[Decameron]]'', di cui cambiano solo i nomi dei personaggi ma viene riproposto sostanzialmente lo stesso sviluppo della vicenda, accentuando l'aspetto religioso e conferendo così all'opera un'aura di [[sacra rappresentazione|sacralità]].<ref name=DBI/>


Altra opera sopravvissuta è il ''Ternale in laude della Maria Vergine'',<ref name=Ternale group=N/> poema religioso di 172 versi in [[terzine dantesche]] dedicato alla [[Maria (madre di Gesù)|Madonna]],<ref name=DBI/> che Accolti recitò pubblicamente per la prima volta davanti a papa Leone X e una folla festante, con enorme successo.<ref name=Unglaub21/> Tutte queste opere vennero riunite dall'editore [[Nicolò d'Aristotele]] e pubblicate a Venezia nello stesso anno della morte dell'autore, costituendo quindi la principale fonte sul suo lavoro in quanto una delle più antiche edizioni delle opere dell'Unico giunte fino ad oggi.<ref name=edizione group=N/>
Altra opera sopravvissuta è il ''Ternale in laude della Maria Vergine'',<ref name=Ternale group=N/> poema religioso di 172 versi in [[terzine dantesche]] dedicato alla [[Maria (madre di Gesù)|Madonna]],<ref name=DBI/> che Accolti recitò pubblicamente per la prima volta davanti a papa Leone X e una folla festante, con enorme successo.<ref name=Unglaub21/>

L'edizione complessiva definitiva delle sue opere fu pubblicata a Venezia da [[Nicolò d'Aristotele]] nel 1530 e ristampata nello stesso anno della morte dell'autore, costituendo quindi la principale fonte della produzione poetica dell'Unico.<ref group=N>{{Cita libro|autore=Bernardo Accolti|titolo=Verginia. Comedia di m. Bernardo Accolti aretino intitolata la Verginia con un Capitolo della Madonna nuovamente corretta & con somma diligentia ristampata|url=https://archive.org/details/VerginiaAccoltiOpal/mode/2up|città=In Vinegia|editore=per Nicolo di Aristotile detto Zoppino|anno=1530}} L'edizione contiene nell'ordine la ''Virginia'', i ''Sonetti'', i ''Capitoli'', gli ''Strambotti'' e il ''Ternale in laude della gloriosa Virgine Maria''.</ref>


== Note ==
== Note ==

Versione delle 12:32, 30 set 2023

Bernardo Accolti
Bernardo Accolti incoronato d'alloro
Duca di Nepi
Stemma
Stemma
In carica1520 –
1534
Predecessorecarica istituita
Successorecarica abolita
Nome completoBernardo di Benedetto degli Accolti
Altri titoliPoeta laureato
NascitaArezzo, 11 settembre 1458
MorteRoma, fine febbraio 1535
Luogo di sepolturaRoma
DinastiaAccolti
PadreBenedetto Accolti
MadreLaura Federighi
FigliNaturali:
  • Alfonso Maria
  • Virginia
ReligioneCattolicesimo

Bernardo di Benedetto degli Accolti (Arezzo, 11 settembre 1458Roma, fine febbraio 1535) è stato un poeta, drammaturgo, politico e nobile italiano.

Soprannominato l'Unico Aretino per le sue origini e l'innata capacità di verseggiare, fu uno dei poeti amorosi di stampo petrarchesco più noti e ambiti del tardo Rinascimento. Visse presso molte delle corti italiane del tempo, intrattenendo rapporti cortigiani con le principali nobildonne dell'epoca, segnatamente Elisabetta Gonzaga, Isabella d'Este e Lucrezia Borgia, muse dei suoi versi. Dei suoi lavori permangono la commedia Virginia, una raccolta di sonetti, un'altra di componimenti brevi, gli Strambotti, e infine un poemetto religioso in stile dantesco, il Ternale in laude della Vergine Maria.

Anche uomo politico, venne esiliato ripetutamente da Firenze per la sua fedeltà ai Medici e fu un sostenitore di papa Leone X. Non rassegnato alla propria condizione di nobile minore, ambì sempre a elevarsi socialmente, riuscendo infine a ottenere il ducato di Nepi dopo averlo comprato dallo Stato Pontificio. Se ne dimostrò tuttavia un pessimo amministratore, e dopo alterne vicende ne perse il controllo e uscì finanziariamente rovinato dai tentativi di riconquistarlo, morendo povero e insano di mente nel 1535.

Biografia

Origini

Papa Alessandro VI, primo protettore dell'Accolti (Cristofano dell'Altissimo)

Bernardo Accolti nacque l'11 settembre 1458, figlio di Benedetto Accolti il Vecchio e Laura di Carlo Federighi, nobili aretini.[1][2] Tradizionalmente la sua nascita viene collocata ad Arezzo, luogo di origine della famiglia, ma il fatto non è certo, poiché già dal XIII secolo gli Accolti preferivano risiedere a Firenze, come testimonia la precedente nascita di suo fratello, il futuro cardinale Pietro Accolti, avvenuta proprio nella capitale toscana.[1] Altro parente di rilievo fu il nipote Benedetto Accolti il Giovane, anch'egli cardinale.[2] Gli Accolti erano noti per essere stravaganti, sregolati e perfino violenti, come avrebbe dimostrato la vita successiva dello stesso Bernardo.[2]

Passò la prima giovinezza a Firenze dove venne educato nel segno dell'umanesimo rinascimentale,[3] per poi a trasferirsi a Roma verso il 1489.[2] Il primo periodo romano si distinse per la probabile scrittura di un carme in latino, attribuito a un certo Bernardus Maria Aretinus identificato quindi con una certa sicurezza con l'Accolti.[1] Più eclatante fu invece il suo comportamento, problematico fin dalla giovinezza: nell'Urbe venne infatti denunciato per atti molesti ai danni di un compatriota fiorentino, ma non sono note quali conseguenze gliene vennero (ma dovettero essere piuttosto blande).[1]

Affermazione

Esilio da Firenze

Nel frattempo l'Accolti intraprese una proficua produzione poetica. Del 1494 è la commedia in ottave e in cinque atti Virginia, composta a Firenze per il matrimonio di Antonio Spannocchi di Siena e tratta dalla nona novella della terza giornata del Decameron, costruita come una rappresentazione sacra.[1][4] Poco dopo pare venisse esiliato da Firenze per motivi non ben chiari, trovando nuovamente rifugio a Roma e venendovi nominato scrittore e abbreviatore apostolico di papa Alessandro VI.[1][2][5][6]

Rientrato a Firenze poco dopo in seguito a una grazia, venne definitivamente esiliato nel 1497 per aver finanziato i tentativi di Piero il Fatuo di riconquistare la città.[1][3] L'ex-signore di Firenze aveva infatti ricevuto dall'Accolti un prestito di 200 fiorini, impiegato per finanziare un complotto ai danni di Girolamo Savonarola, allora a capo della Repubblica Fiorentina. La congiura venne tuttavia scoperta, e i principali cospiratori, tra cui Lorenzo Tornabuoni, vennero decapitati; Accolti, amico di Tornabuoni, venne solamente esiliato, e ne pianse la morte nei suoi versi immediatamente successivi.[1]

Ritratto di Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino, grande amore di Bernardo Accolti e principale destinataria dei suoi versi (Raffaello Sanzio)

Poeta itinerante

Tornato inizialmente a Roma, la popolarità di Bernardo Accolti come poeta era nel frattempo enormemente cresciuta, ed era per questo richiesto da tutte le corti signorili italiane. In pochi anni si recò quindi a Milano, Mantova, Urbino e Napoli, ovunque desiderato e benvoluto,[1][2][5] a cantare i propri versi e accompagnarli con il liuto o la lira da braccio.[4]

Nelle varie corti italiane entrò in contatto con le principali nobildonne del tempo, intrattenendo con alcune di loro relazioni di amicizia o amore platonico, segnatamente Isabella d'Este, marchesa di Mantova e sua cognata Emilia Pio di Savoia, con cui intrattenne anche fitti rapporti epistolari.[1] Pare tuttavia che il vero amore di Bernardo Accolti fosse riservato a Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino: il poeta non esitava infatti a dichiararsi a lei - da cortigiano - nei suoi versi, e spesso con toni piccati in risposta ai rifiuti, per i quali scontava le prese in giro delle altre dame.[6][7] In questo periodo sostenne anche una tenzone poetica con un altro rinomato cantore, l'Aquilano, contesa di cui non è noto il vincitore, ma in cui l'Accolti si distinse per «ingenuità».[6] I tormenti amorosi dell'Accolti dovevano essere ben risaputi, poiché anche Baldassarre Castiglione nel suo Cortegiano ne fa scherzosa menzione.[1] Molti lo consideravano poco più di un giullare, intento a divertire le corti con storie d'amore esasperate e palesemente fittizie, ma è incerto fino a che punto si spingesse la finzione e cominciasse la realtà.[8][9]

Più oscuro è invece il suo rapporto con Lucrezia Borgia, che insistenti voci volevano sua amante.[8] L'Accolti le dedicò effettivamente due sonetti, che tuttavia non sono di argomento amoroso o sentimentale; non esistono quindi prove effettive che corroborino una relazione.[1] Del resto l'Unico Aretino, come ormai era noto,[5] dedicò versi a tutte le nobildonne e i nobiluomini più in vista dell'epoca, e la frequente ricorrenza dei componimenti amorosi dedicati a Julia (la duchessa d'Urbino) testimoniavano la grande fedeltà del poeta.[1]

Nel 1510 Accolti si trovava di nuovo a Roma, dove svolgeva il ruolo di tutore artistico per il piccolo Federico Gonzaga, figlio dell'amica Isabella d'Este e allora ostaggio della corte papale.[10] Pare che in questo periodo componesse il Ternale in laude alla Vergine Maria,[N 1] recitandolo al suo giovane pupillo, al mecenate Agostino Chigi e forse anche a papa Giulio II, ma rendendolo pubblico solo alcuni anni dopo.[10]

Trame politiche

Conclave del 1513

Il cardinale Pietro Accolti, fratello maggiore di Bernardo (Baldassarre Peruzzi)

Dopo l'esilio da Firenze Accolti passò un quindicennio senza occuparsi di politica. Segretamente era però divorato dall'ambizione di elevare il proprio status sociale, e una prima occasione si presentò alla morte di papa Giulio II nel 1513: rientrato precipitosamente a Roma per seguire il successivo conclave, cercò di brigare per l'elezione al soglio pontificio del fratello maggiore Pietro, nominato cardinale due anni prima.[10][11] Le speranze dell'Accolti erano motivate dal prestigio e dalla ricchezza che la sua famiglia avrebbe acquisito all'eventuale elezione, così come al segreto desiderio di poter sposare l'amata Elisabetta Gonzaga, da poco rimasta vedova del duca Guidobaldo da Montefeltro, e che solo tramite la parentela con un Papa avrebbe potuto considerarlo un buon partito.[1][10]

L'iniziativa dell'Unico, anche grazie all'aiuto dell'amica e protettrice Isabella d'Este, parve in un primo momento avere successo: nella prima votazione del conclave Pietro Accolti ricevette un cospicuo numero di voti, tuttavia non sufficienti per l'elezione a pontefice.[10][11] Le macchinazioni del poeta non ebbero infine successo, e venne eletto papa il potente cardinale Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il nuovo pontefice tuttavia, suo ammiratore e memore dell'aiuto fornito a suo tempo alla propria famiglia, lo protesse e gli conferì cariche, onori e donativi.[1][11][12][13] Il fallimento del piano dovette comunque provarlo fisicamente e mentalmente, tanto che le testimonianze dell'epoca lo descrivono sofferente di «malattia e grave parossismo», segno forse di un esaurimento nervoso oppure di una temporanea crisi di follia.[1][2]

Dettaglio del Parnaso di Raffaello; il poeta raffigurato sarebbe Bernardo Accolti

Sotto Leone X

Ripresosi infine dalla crisi e tornato ad allietare la corte papale,[14] dal 1515 divenne Foriere del Papa, primo individuo noto a detenere tale carica di prestigio.[12] In questo periodo viveva nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria in Transpontina, probabilmente in un palazzo già di proprietà del padre.[12] Sempre a questo periodo risalgono le prime edizioni a stampa delle sue opere: la Virginia fu pubblicata per la prima volta nel 1512, e nuovamente due anni più tardi;[4] nel 1515 venne poi pubblicata l'Opera, che raccoglieva tutti i componimenti scritti fino ad allora, testimoniando così la sua immutata popolarità.[3]

Durante la seconda metà degli anni 1510 non sono certe le sue attività, e pare che più che cortigiano fosse diventato un bravo al servizio del potente di turno.[15] Come riportato da Giorgio Vasari, nel 1515 pare accompagnasse Leone X nella sua entrata trionfale a Firenze, venendo riconosciuto per il suo «nasone aquilano».[9][16] Questa sua caratteristica fisica lo rendeva assai peculiare, tanto da farlo identificare da molti con una delle figure poetiche raffigurate nel Parnaso di Raffaello Sanzio.[14] Nello stesso periodo fu il soggetto di un ritratto di Andrea del Sarto, realizzato su un pannello di legno e per questo dalle tonalità molto scure;[16] il quadro fu tuttavia per lungo tempo erroneamente ritenuto una rappresentazione di Dante Alighieri, e solo nel 2001 Jonathan Unglaub identificò correttamente l'Accolti.[17] Uomo dal carattere focoso e iracondo, come riportato da Baldassarre Castiglione in un'occasione una folla inferocita si radunò sotto casa sua e cominciò a prenderla a schioppettate, ma anziché fuggire l'Unico si occupò da solo della difesa, lanciando sassi, mattoni e altri oggetti da una finestra.[13]

La rocca di Nepi, dalla quale l'Unico Aretino amministrava i suoi possedimenti

Ducato di Nepi e caduta

(LA)

«VNICVS CVSTOS. PROCVL HINC TIMORES»

(IT)

«L'Unico è custode. Qui lungi ogni timore»

In realtà l'Accolti ambiva sempre a scalare la gerarchia della nobiltà. Riuscito ad accumulare abbastanza denaro, tra la fine del 1520 e l'inizio del 1521 fu in grado di acquistare dal pontefice il Ducato di Nepi sborsando l'esorbitante cifra di 5000 ducati, enorme per un semplice letterato come lui.[1] Ansioso di far valere i propri diritti, l'Accolti prese immediatamente possesso del feudo, stabilendosi nella locale rocca costruita dai Borgia e ampliandola con la costruzione di una nuova ala residenziale.[18] Per sancire il proprio dominio sulla città incise un perentorio motto all'ingresso della fortezza, cosa non particolarmente apprezzata dai nepesini.[13]

Ritratto di Paolo III, pontefice che contribuì alla rovina finale dell'Unico (Tiziano Vecellio)

Fin da subito tuttavia dimostrò pessime capacità amministrative, intraprendendo varie riforme moralizzatrici malviste dagli abitanti[13] e ordinando violente rappresaglie contro gli oppositori che spesso sfociavano nell'omicidio.[15] Il suo malgoverno e la sua prepotenza nei confronti della popolazione scatenarono presto rivolte popolari,[13] prima nel 1522-23 e poi nel 1528-29.[1] Nel 1523, godendo ancora della fiducia di Roma, riuscì a far reprimere la rivolta dalle guardie svizzere;[15] il vero smacco per l'Unico arrivò nel 1527, dopo che era fuggito dal fratello cardinale ad Ancona in seguito alla calata dei lanzichenecchi, lasciando il ducato in balia degli invasori germanici.[13] Rientrato, fu cacciato una prima volta da Nepi nel 1528; mentre era rifugiato a Roma i nepesini presentarono al papa il Memoriale contro l'Unico, un quaderno di doglianza con le loro lamentele su di lui.[13] L'anno successivo riuscì a stento a riconquistare la città, uscendo però finanziariamente disastrato dall'impresa.[1]

Deposto da una terza rivolta nel 1534, non gli fu più possibile racimolare i fondi necessari per una nuova riconquista,[1] e papa Paolo III, che pure era stato uno dei suoi protettori, accolse le istanze dei nepesini e decise di revocargli il titolo di duca (probabilmente perché già intendeva darlo al figlio illegittimo Pier Luigi).[13][15] Accolti perse così definitivamente il controllo del feudo, che pochi anni dopo fu inglobato dal ducato di Castro e dato in gestione alla famiglia Farnese.[18] Durante i lavori di restauro del forte nepesino nel XX secolo venne rinvenuto uno stemma in pietra della famiglia Accolti, unica testimonianza diretta rimasta del suo controllo sulla città.[18]

Ormai povero e disperato, Bernardo Accolti fu confinato a Roma. Forse ricaduto preda della follia, morì pochi mesi dopo la perdita definitiva del ducato di Nepi, con tutta probabilità alla fine del febbraio 1535, venendo sepolto il 1º marzo successivo.[13][15] Non era mai stato sposato e lasciava solo due figli illegittimi, Alfonso Maria e Virginia.[1]

Stile e opere

Pietro Aretino, amico e discepolo dell'Unico

Stile

Bernardo Accolti si dimostrò un poeta di stampo petrarchesco.[19] Così come Serafino de' Ciminelli, Chariteo e Antonio Tebaldeo, anche l'Accolti seguì il modello poetico di Petrarca, avvertendo tuttavia anche un bisogno d'innovazione nello stile, considerato antiquato per le esigenze letterarie rinascimentali.[1] Cercando d'innalzare la solennità declamatoria, l'Accolti giunse così all'accentuazione e perfino all'esasperazione di temi, linguaggi e figure retoriche, sfociando spesso senza volerlo in toni altisonanti e grotteschi. Il suo stile risulta così altamente caratteristico e peculiare, distanziandosi dalla purezza e dalla moderazione tipiche di Petrarca.[1][9][20]

Aderente alla filosofia letteraria delle tre corone, ricalcò anche lo stile di Dante e Boccaccio, come testimoniano rispettivamente il Ternale in laude a Maria Vergine e la Virginia. Nonostante il generale apprezzamento delle corti, in realtà lo stile dell'Accolti non era gradito agli altri letterati, che lo accostavano a Tebaldeo e lo consideravano poco raffinato e troppo distante dai classici modelli.[4][5] Non così invece Ludovico Ariosto, che nella decima ottava dell'ultimo canto dell'Orlando furioso, in procinto di smettere di cantare, vede ad accoglierlo, tra gli altri, proprio l'Accolti, che quindi doveva essere suo amico.[4][13][14][21] Altro suo amico era Pietro Aretino,[13] che in molte occasioni ebbe modo di rammentare l'ottimo rapporto che aveva con lui, considerandosene anche discepolo artistico.[10][22]

In virtù delle sue frequenti esibizioni cortigiane, Bernardo Accolti poteva considerarsi più un attore che un poeta.[23] Il suo stile, pur considerato a tratti mediocre, era avvantaggiato dalle ottime capacità improvvisatorie e interpretative, che nella declamazione riusciva a mettere tale passione da accattivarsi la simpatia degli ascoltatori.[4][8]Tematica principale era l'amore non ricambiato, cantato tuttavia spesso con accenti buffi e ironici per sdrammatizzarne la tragicità;[20] altro tema caro era la religione, a cui il Ternale in laude alla Vergine Maria è totalmente dedicato.[1][20]

Opere

Della vasta produzione dell'Accolti sono sopravvissuti 118 tra sonetti e altri componimenti brevi (principalmente ottave) detti Strambotti, per la maggior parte d'occasione o celebrativi.[19] Il poeta era tuttavia noto per improvvisare spesso nuovi versi durante le esibizioni,[5][9] e non è quindi improbabile che numerose opere minori siano andate perse perché non messe per iscritto.[1][8] La maggior parte delle composizioni è esplicitamente dedicata a qualcuno dei suoi protettori: ben sessantasei a Julia, nome poetico dell'amata Elisabetta Gonzaga;[19] tre a Costanza d'Avalos, potente nobildonna napoletana; due a una certa Lidia, non meglio identificata; due a Lucrezia Borgia, e infine uno rispettivamente a Isabella d'Aragona, papa Alessandro VI, papa Paolo III, Cesare Borgia, Dorotea Spannocchi e Giovanna Spannocchi.[1]

Oltre ai Sonetti e agli Strambotti ci è pervenuta una commedia in versi, la Virginia,[15] così intitolata in onore della figlia.[1] Essa riprende fedelmente una novella di Boccaccio, segnatamente la nona della terza giornata del Decameron, di cui cambiano solo i nomi dei personaggi ma viene riproposto sostanzialmente lo stesso sviluppo della vicenda, accentuando l'aspetto religioso e conferendo così all'opera un'aura di sacralità.[1]

Altra opera sopravvissuta è il Ternale in laude della Maria Vergine,[N 1] poema religioso di 172 versi in terzine dantesche dedicato alla Madonna,[1] che Accolti recitò pubblicamente per la prima volta davanti a papa Leone X e una folla festante, con enorme successo.[10]

L'edizione complessiva definitiva delle sue opere fu pubblicata a Venezia da Nicolò d'Aristotele nel 1530 e ristampata nello stesso anno della morte dell'autore, costituendo quindi la principale fonte della produzione poetica dell'Unico.[N 2]

Note

Annotazioni

  1. ^ a b L'opera è nota con vari titoli: Ternale a Maria Vergine (Mantovani 1960), Ternale in onore di Maria Vergine (Romei 1995 e Unglaub 2017), Ternale in laude (ed. 1535) e altri.
  2. ^ Bernardo Accolti, Verginia. Comedia di m. Bernardo Accolti aretino intitolata la Verginia con un Capitolo della Madonna nuovamente corretta & con somma diligentia ristampata, In Vinegia, per Nicolo di Aristotile detto Zoppino, 1530. L'edizione contiene nell'ordine la Virginia, i Sonetti, i Capitoli, gli Strambotti e il Ternale in laude della gloriosa Virgine Maria.

Riferimenti

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac Mantovani 1960.
  2. ^ a b c d e f g Romei 1995, p. 4.
  3. ^ a b c Unglaub 2007, p. 19.
  4. ^ a b c d e f Unglaub 2017, p. 618.
  5. ^ a b c d e Adinolfi 1859, p. 81.
  6. ^ a b c Unglaub 2007, p. 20.
  7. ^ Romei 1995, p. 9.
  8. ^ a b c d Romei 1995, p. 8.
  9. ^ a b c d Unglaub 2017, p. 613.
  10. ^ a b c d e f g Unglaub 2007, p. 21.
  11. ^ a b c Unglaub 2017, p. 629.
  12. ^ a b c Adinolfi 1859, p. 80.
  13. ^ a b c d e f g h i j k l De Fraja 2019.
  14. ^ a b c Unglaub 2007, p. 16.
  15. ^ a b c d e f Romei 1995, p. 5.
  16. ^ a b Unglaub 2007, p. 17.
  17. ^ Unglaub 2007, pp. 16-17.
  18. ^ a b c Comune di Nepi, Il forte dei Borgia, su museociviconepi.it.
  19. ^ a b c Unglaub 2017, p. 620.
  20. ^ a b c Unglaub 2017, pp. 620-629.
  21. ^ Adinolfi 1859, p. 82.
  22. ^ Romei 1995, p. 6.
  23. ^ Romei 1995, p. 10.

Bibliografia

Voci correlate

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