Palazzo Saluzzo di Paesana

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Palazzo Saluzzo di Paesana
Palazzo Saluzzo di Paesana
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegionePiemonte
LocalitàTorino
Indirizzoisolato: via Garibaldi, via della Consolata, via Bligny, via del Carmine
Coordinate45°04′29.03″N 7°40′35.58″E / 45.07473°N 7.67655°E45.07473; 7.67655
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1715 - 1722
Stilebarocco
Realizzazione
ArchitettoGian Giacomo Plantery
Committenteconte Baldassarre Saluzzo di Paesana

Il Palazzo Saluzzo di Paesana è un palazzo settecentesco di Torino.

Fu concepito quasi come una seconda reggia in concorrenza con il Palazzo Reale di Torino sabaudo. Fu progettato da Gian Giacomo Plantery all'inizio del Settecento per volere di Baldassarre Saluzzo di Paesana, Cavaliere della Santissima Annunziata, conte di Paesana, Oncino, Ostana e Castellar, ed occupa un intero isolato tra via Garibaldi, via della Consolata, via Bligny e via del Carmine.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dotato all'ingresso di un atrio con colonne doriche e corinzie, comprende un grande ed imponente cortile interno dotato di due scaloni, uno alla destra, con due loggiati ad est ed ovest del piano nobile, e l'altro al fondo. Alloggi per la servitù e scuderie, ospitate da un cortile di servizio, stavano nell'ala occidentale del palazzo mentre gli appartamenti d'onore in quella orientale.

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1902 un grave fatto di cronaca coinvolse le cantine del Palazzo: qui in aprile fu ritrovato il cadavere di una bambina scomparsa alcuni mesi prima. Dopo alcuni gravi errori investigativi e la scomparsa di una seconda bambina nel 1903, ritrovata fortunosamente ancora viva, il colpevole fu finalmente individuato in Giovanni Gioli, addetto alla raccolta della spazzatura ed in servizio nel Palazzo.
Il successivo processo, molto seguito da un pubblico e dai giornali che volevano la pena di morte, portò alla contrastata condanna a 25 anni di carcere del Gioli, che morirà successivamente in carcere appena otto anni dopo[1][2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Roberto Dinucci, Guida di Torino, Torino, Edizioni D'Aponte, pp. 155–156

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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