Il balcone (opera teatrale)

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«Il vescovo (che ha appena confessato una donna): Non ci siamo sciupati. Sei peccati appena, e ben lontani dall'essere i miei preferiti.

La donna: sei, ma capitali! E ce n'è voluto, per trovarli.

Il vescovo (preoccupato): Come, erano fasulli?

La donna: Tutti autentici! Parlo della faticaccia che ho fatto a commetterli. Sapeste quanti ostacoli bisogna superare, sormontare, per giungere alla disobbedienza.»

Il balcone
Dramma in due atti
AutoreJean Genet
Titolo originaleLe balcon
Lingua originaleFrancese
Genereteatro dell'assurdo
Composto nel1956
Prima assoluta18 maggio 1960
Théâtre du Gymnase - Parigi
Personaggi
  • Il vescovo
  • Rosina, la ragazza del vescovo
  • Irma, la regina
  • La donna
  • Marlyse, la ladra
  • Il giudice
  • Arturo, il carnefice
  • Il generale
  • Elyane, la ragazza del generale
  • Il vecchio
  • Il mendicante
  • La ragazza del mendicante
  • Lo schiavo
  • Carmen
  • Il capo della Polizia
  • Georgette
  • Chantal
  • Roger
  • Armand
  • L'uomo
  • Luc
  • Louis
  • Marc
  • Il giornalista
  • Sangue, il primo fotografo
  • Lacrime, secondo fotografo
  • Sperma, terzo fotografo
  • feriti
 

Il balcone è un'opera teatrale in due atti di Jean Genet scritta nel 1956.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Durante una rivolta, dentro a un bordello di una città il vescovo, il giudice e il generale svelano le loro perversioni segrete.

Poetica[modifica | modifica wikitesto]

Ho nuovamente letto «Il balcone»: è molto brutto e scritto molto male. Pretenzioso. Ma come? Se cercassi di avere uno stile più neutro, meno contorto, condurrei la mia immaginazione verso la mitologia o argomenti troppo saggi, troppo convenzionali. Perché inventare non è dire. Per inventare, dovrei mettermi in uno stato d'animo che porti alle favole; e queste stesse favole impongono uno stile caricaturale. È legato a loro.[1] (Jean Genet)

La scena rappresentata rimanda sempre a un riflesso, a una realtà che sta oltre la scena stessa. Tale realtà, tuttavia, mano a mano si dissolve facendo sì che resti solo l’apparenza, destinata anch'essa a dissolversi. Si tratta di una celebrazione e, insieme, una distruzione del teatro stesso[2].

Lo stesso Genet scrisse nelle note per la messinscena: Non si deve mettere in scena questa pièce come se fosse una satira di questo o di quello. È la glorificazione dell’Immagine e del Riflesso – e come tale deve essere rappresentata. Solo così il suo significato – satirico o meno – potrà manifestarsi[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ [1]
  2. ^ Giuseppe Di Giacomo - Il paradosso dell'apparenza nel teatro di Jean Genet
  3. ^ Jean Genet - Come mettere in scena il «Balcone», in J. Genet, Il funambolo, p. 106

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Controllo di autoritàVIAF (EN177722200 · LCCN (ENno2011125127 · GND (DE4387478-2 · BNF (FRcb13186266b (data) · J9U (ENHE987008370867105171
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