Giovanni Battista Gardoncini

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Giovanni Battista Gardoncini

Giovanni Battista Gardoncini (Inzino, 10 dicembre 1895Torino, 12 ottobre 1944) è stato un operaio italiano e comandante partigiano nelle valli di Lanzo, fucilato insieme a otto compagni a Torino, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Battista Gardoncini era nato in un piccolissimo comune della Val Trompia e agli inizi del '900 si era trasferito con la famiglia a Torino, dove compì gli studi elementari, fu apprendista operaio e quindi operaio meccanico[1].

Entrato prestissimo in contatto con il movimento socialista, subì i primi arresti. Aveva infatti aderito al partito comunista fin dalla fondazione, era stato tra i difensori delle case del popolo dalle squadre fasciste e guardia de L'Ordine Nuovo, organo del partito.

Dopo la vittoria del fascismo continuò a essere vigilato fino al 1935, quando abbandonò la fabbrica[1] per aprire, con l'aiuto dei parenti, una piccola officina dove poteva lavorare senza troppi controlli.

Durante la guerra svolse un'attiva propaganda contro il fascismo e nel dicembre del 1941 fu arrestato[1] e deferito al tribunale speciale con l'accusa di avere diffuso volantini contro la guerra. Era in effetti colpevole, ma fu assolto[1] dopo sette mesi di carcere, poiché nei suoi confronti non furono trovate prove materiali.

Tornato in libertà, fu tra gli organizzatori degli scioperi del 1943, e la sua casa e l'officina divennero centri di propaganda e di organizzazione[1]. Dopo l'8 settembre, ricercato dalla polizia tedesca, riuscì a fuggire e cercò rifugio nelle valli di Lanzo[2], dove entrò in contatto con alcuni sbandati e si dedicò alla organizzazione delle prime formazioni partigiane[1].

Tedeschi e fascisti lo conoscevano bene e non sentì neppure il bisogno di scegliersi un nome di battaglia. In breve tempo, grazie all'esperienza maturata nella sua attività antifascista e ai solidi legami con l'organizzazione clandestina comunista, divenne il comandante delle formazioni garibaldine nelle valli[1][3].

Così scriveva alla moglie il 12 aprile 1944:

«Cara Teresa, sento prepotente il bisogno di dirti qualcosa di particolare per te sola. Non sono stato mai loquace nei tuoi confronti, mai ti dissi di quanta affezione e amore io abbia per te, benché su questo ne fossi consapevole. Ma in questi mesi di montagna e in mezzo a tanti ragazzi, in mezzo a battaglie e a tanti problemi che dovevo risolvere, la tua figura mi è sempre stata presente, e mi venivano alla mente tutto quanto tu sei stata per me, e quante pene per me hai sofferto. Mi sono guardato spesse volte d'attorno, ma non vidi mai donne che con te potessero competere per fortezza d'animo; sei sempre stata eroica in tutte le occasioni, e questo mi riempie d'orgoglio perché tu sei la mia vera compagna. Mi sono certamente modificato, perché sono diventato severo con me stesso, sento una responsabilità che mi indica in maniera chiara il mio lavoro futuro. Voglio fare qualcosa di buono nel mondo, ne ho ancora il tempo, e qualche capacità. Il partito ha fiducia in me, così sono sicuro da parte tua. (...) Immagino che dalle notizie della radio sarai convinta che non è più lontano il giorno della vittoria, quel giorno per me vuol dire finalmente riuniti. Ansie ve ne saranno ancora ma la certezza che sono le ultime saranno meno pungenti.»

Nell'estate del 1944, dopo aspri combattimenti, i garibaldini riuscirono a respingere tedeschi e fascisti dall'alta valle e a prenderne il controllo. Furono nominati commissari civili, che dovettero affrontare subito l'emergenza dei rifornimenti, bloccati in pianura dal nemico. Si costituirono giunte amministrate da civili[1], si calmierarono i prezzi dei generi di prima necessità, si riscossero le tasse, si istituirono tribunali, si stampò un giornale, Scarpe Rotte.

Sulla linea ferroviaria Torino-Ceres, all'altezza di Pessinetto, saliva la polizia partigiana per controllare i documenti dei viaggiatori. Nonostante le difficoltà e gli inevitabili errori, in quei mesi le valli di Lanzo furono una piccola repubblica partigiana nell'Italia occupata. Una repubblica alla quale Battista, infaticabile, dette un contributo importante, parlando con la popolazione, spiegando, convincendo gli esitanti. A tutti assicurava che il giorno della insurrezione non era lontano. "Sabato - diceva sempre - saremo a Torino". Ma non poteva durare e non durò. A settembre la controffensiva di tedeschi e fascisti fu violentissima, e nei rastrellamenti Battista fu catturato nei pressi di Balme insieme a un compagno[1][4].

Sapeva di essere condannato, anche perché il comando tedesco rifiutò tutti gli scambi di prigionieri[5]. Alla moglie Teresa, che riuscì a incontrarlo per pochi minuti, spiegò che aveva fatto tutto il suo dovere. "Se anche dovrò morire - disse - morirò con dignità"[5].

Battista fu trasferito alle carceri Nuove di Torino. Prelevato una prima volta per essere fucilato a Venaria, venne risparmiato perché i tedeschi trovarono sul posto altre vittime da sacrificare. Il 12 ottobre non ci fu rinvio. Con altri otto fu fucilato in via Cibrario, come rappresaglia per il ferimento di alcuni militari tedeschi a causa dell'esplosione di una bomba a mano, probabilmente fortuita, nel vicino albergo Tre Re[1]. In seguito alla sua esecuzione il comando piemontese garibaldino diede ordine alle brigate dipendenti di fucilare tutti prigionieri presenti nei campi partigiani. Fu così che circa centoventi tra fascisti, tedeschi e civili vennero eliminati.

In città l'impressione per la loro morte fu immensa, e imponenti furono i funerali, malgrado l'occupazione tedesca.

Odonomastica[modifica | modifica wikitesto]

Due vie, a Torino e a Brescia, sono state intitolate a Giovanni Battista Gardoncini. A Gardone Val Trompia, di cui nel frattempo Inzino è diventata una frazione, gli è stato dedicato un piazzale con una lapide. Un'altra lapide sorge a Torino in via Cibrario, sul luogo dell'esecuzione.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Vecchio combattente, animato da alto spirito patriottico, raggiungeva le montagne della Val di Lanzo sin dall'inizio della lotta clandestina e vi riuniva i primi partigiani. Con la sua instancabile attività, costituiva un numero sempre maggiore di formazioni sicure, aggressive e successivamente le inquadrava in una agguerrita divisione che portava al successo in molteplici, aspri combattimenti. Comandante capace, benvoluto, energico, risoluto era di fulgido esempio e di costante stimolo per tutti i suoi uomini, per il suo leggendario valore personale e per la sua costante presenza ove maggiore era il pericolo o la necessità di un conforto. Catturato in un rastrellamento e condannato alla pena capitale, moriva volgendo il petto al nemico e gridando "viva l'Italia libera!". Sublime esempio di dedizione alla causa della libertà, spinta fino all'estremo del sacrificio. Val di Lanzo, 7 ottobre 1943 - Torino, 12 ottobre 1944.[6]»
— Decreto Presidente della Repubblica 5 aprile 1966

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j Giovan Battista Gardoncini (Donne e Uomini della Resistenza), su ANPI. URL consultato il 30 marzo 2014.
  2. ^ Strona, 1984, 20.
  3. ^ Carmagnola, 2005, 34-35.
  4. ^ Carmagnola, 2005, 59.
  5. ^ a b Strona, 1984, 16.
  6. ^ GARDONCINI Giovanni Battista, su Presidenza della Repubblica.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]