Discussione:Veglia (poesia)

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Commento a “Veglia” di Giuseppe Ungaretti. Giuseppe Ungaretti è uno dei massimi esponenti dell’ermetismo: la corrente letteraria sviluppatosi in Italia tra gli anni venti egli anni trenta. Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888, il poeta si trasferisce a Parigi nel 1912, dove completa la propria formazione culturale e dove viene a contatto con importanti personalità artistiche e letterarie di quel periodo. L’ermetismo, che è il movimento letterario da lui adottato, si caratterizza soprattutto per la capacità di esprimere in pochi versi, dei concetti difficili. Gli ermetici definiscono, infatti, la loro poesia come un momento di folgorazione, di grazia, come intuizione improvvisa del mistero della vita. Per i poeti ermetici diventa quindi necessario utilizzare composizioni brevi ma significative. La poesia “Veglia” scritta dall’autore durante gli anni della prima guerra mondiale, è un elogio alla volontà di vivere e, nel contempo è anche una forma di denuncia, di accusa, verso gli orrori e gli scempi che la guerra porta inesorabilmente con se. All’inizio della poesia possiamo notare che è scritta una data: il poeta, infatti, era solito scrivere delle poesie, una per giorno, come se fossero un diario. Il componimento si divide in due strofe: la prima, composta da tredici versi e la seconda, composta da tre. Il poeta ci dice che è costretto a passare una notte con un compagno ormai esanime, che ha il viso sfigurato dal dolore che ha preceduto la morte, con una bocca stravolta in una smorfia di tensione. Tutte queste immagini vogliono entrare nel poeta, vogliono violare la sua intimità; perciò il poeta si ribella, non permette che la morte si impadronisca di lui e scrive lettere cariche d’amore. Quella che svolge il poeta è una ribellione enorme, scaturita dal desiderio di vita. Questa persona non vuole lasciarsi assuefare dalla morte e ingaggia quindi una battaglia: l’amore e la vita contro tutto l’orrore, la morte e la disperazione che è obbligato nonché costretto a vedere in guerra; ogni giorno, tutti i giorni. La cosa che potrebbe un po’ stupirci nella lettura di questa poesia è il titolo della raccolta in cui è stata messa. Chi mai penserebbe di trovare una simile poesia in una raccolta chiamata “L’allegria”? Il motivo della scelta dell’autore è facilmente spiegabile: il poeta era felice di essere sopravvissuto alla guerra, anche se ammette lui stesso che: “… alberi e persone possono rinascere, ma non certamente gli animi delle persone che la guerra l’hanno vissuta …”. Le figure retoriche utilizzate dall’autore sono poche: è presente solamente un’analogia: una figura retorica che accosta parole di significato diverso per dare loro maggior peso; la troviamo quando il poeta dice: “… con la congestione \ delle sue mani \ penetrata \ nel mio silenzio … “. Come possiamo notare i versi sono corti, o cortissimi, se non addirittura formati da una sola parola. Questo serve ad evidenziare le parole e il loro significato. Nella poesia possiamo anche notare alcune delle caratteristiche dell’ermetismo: l’assenza della punteggiatura, la concentrazione in poche parole di molti significati e l’assenza quasi totale di figure retoriche. La poesia che ho avuto l’occasione di leggere ha fatto scaturire in me dei sentimenti profondi, quasi indecifrabili, ho potuto capire in soli sedici versi tutta la realtà della guerra, la morte, la vita, il modo di vivere di una persona. Come diceva Ungaretti stesso: “… Per scrivere una poesia non servono rotoli di parole, come per fare un bel vestito non servono metri di tessuto …”. Questa importante affermazione mi ha spiegato il senso che può avere la lettura di questa poesia. Con una metafora potrei definire la poesia di Ungaretti come l’inaspettata ribellione al grigiore dell’uguaglianza: il poeta non si è limitato a scrivere poesie, ma ha inventato un modo diverso di crearle, dando loro un tocco di diversità che ci porta ad una profonda riflessione.