Discussione:Marco Licinio Crasso

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Vita di Crasso di Plutarco[modifica wikitesto]

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Vita di Crasso di Plutarco

Commento alla "Vita di Crasso" di Plutarco

Ben inserendosi nel taglio più aneddotico che storico delle Vite Parallele di Plutarco, anche la vita di Crasso pone un particolare accento ai pregi e alle virtù di Crasso. Nel celebre passo della Vita di Alessandro, Plutarco aveva dichiarato “"non scrivo storie, ma biografie"”, dunque proprio da questa affermazione possiamo comprendere il debole utilizzo di fonti nella narrazione e le lacune narrative per ampie porzioni di vita del personaggio, a vantaggio di lunghe descrizioni di eventi strani e curiosi che colpiscono maggiormente l'occhio del lettore. Vero filo conduttore di tutta la narrazione è proprio l'ingente avaritia di Crasso che lo porta sempre a soffrire dei successi di Pompeo e provarne invidia, nonché a rivelarsi erroneamente audace e finanche debole nell'ultima impresa della sua vita. Alla straordinaria ambizione di Crasso non corrisponde, infatti, una grande genialità e una capacità di decisione tale da essere vincente nei suoi progetti[1]. Scrive Flacelière[2] su Crasso:

«Car l'homme politique, en Crassus, ne semble guère avoir été supérieur au général de la campagne contre les Parthes: triumvir, il fut certainement la dupe de César, et peut-être aussi de Pompée.»

Della potenza economica di Crasso, oltre alla stima riportata da Plutarco, un'altra fonte è Plinio[3] che offre una stima economica dei beni terrieri di Crasso. Altra caratteristica essenziale della personalità di Crasso è la cupidigia che cela tutti gli altri suoi difetti e che emerge sin dalle prime righe della narrazione a proposito dell'episodio della Vestale Licinia. Lo stesso taglio descrittivo di Plutarco, per quanto concerne la preminenza della cupidigia su tutti gli altri difetti, è dato da Velleio Patercolo che afferma "vir cetera sanctissimus immunisque voluptatibus, neque in pecunia neque in gloria concupiscenda aut modum norat aut capiebat terminum"[4]. Plutarco riporta anche l'affermazione di Crasso secondo cui non può definirsi ricco chi non ha abbastanza rendite da mantenere un esercito, un pensiero, quello di Crasso, divenuto poi tanto proverbiale da essere citato anche da Cassio Dione[5], da Plinio secondo cui "M. Crassus negabat locupletem esse nisi qui reditu annuo legionem tueri posset"[3] e da Cicerone che insiste nel dare una connotazione politica al pensiero di Crasso, sia nei Paradoxa stoicorum "Neminem esse divitem, nisi qui exercitum alere posset suius fructibus, quod populus Romanus tantis vectigalibus iam pridem vix potest"[6] e sia nel De officiis "M. Crassus negabat ullam satis magnam pecuniam esse ei, qui in republica princeps vellet esse, cuius fructibus exercitum alere non posset"[7].

Si è parlato di lacune all'interno della biografia[8], un chiaro esempio sono i capitoli dal dodicesimo al quindicesimo che narrano gli avvenimenti verificatisi dal 70 a.C. al 55 a.C. in cui Plutarco non si dilunga nell'approfondimento di ciò che intercorre fra il suo primo consolato (70 a.C.) e il secondo (55 a.C.) perché già aveva dedicato spazio a tali avvenimenti, con riferimenti sporadici anche al ruolo dello stesso Crasso, a proposito della vita di Pompeo, di Cesare, di Lucullo, di Catone e di Cicerone, benché queste siano da considerare i quindici anni più intensi della vita politica di Crasso[9].

Un'altra lacuna significativa riguarda l'assenza di datazione sulla nascita di Crasso che può essere solo ipotizzata leggendo la biografia plutarchea[10]: mentre Crasso attraversava la Galizia alla fine del 55, dirigendosi verso la Siria, incontrò il re Deiotaro e rise della tarda ora in cui il re costruiva la sua nuova città, ma il re prontamente gli rispose con una battuta di spirito. A tale episodio Plutarco aggiunge che Crasso aveva poco più di sessant'anni, ma ne dimostrava molti di più.[11] Grande spazio è dedicato, nei capitoli dal sedicesimo al trentaduesimo, alla narrazione della spedizione in Siria, che durò due soli anni, in cui Crasso emerge ancor più come un personaggio impazienze, poco razionale e sempre più debole.[12] Sicuramente Plutarco attinse dal Sallustio delle Historiae[13] per quanto riguarda l'episodio di Crasso che tenta invano di piombare su un gruppo di schiavi comandato da Gannicus e dal Sallustio della De coniuratione Catilinae[14] per quanto riguarda il tale che accusò Crasso durante il processo ai catilinari.[15] Albino Garzetti ipotizza che Plutarco abbia attinto da Livio per narrare la spedizione contro i Parti, ma ciò non si può affermare con certezza poiché ci è giunta solo una periocha del libro 106 di Livio.[16] Flacelière ha avanzato l'ipotesi che il questore Cassio Longino, spesse volte citato nella biografia plutarchea, possa aver scritto un resoconto della spedizione contro i parti da cui Plutarco può aver attinto o leggendo degli autografi del Longino, ormai persi, o apprendendo parte dei suoi scritti per tradizione indiretta.[17] Anche Frank Ezra Adcock, quasi similmente a Flacelière, ipotizza che lo storico romano Dellio abbia conosciuto direttamente il pensiero di Crasso sulla spedizione contro i Parti e che sia stato una fonte inesauribile per l'ampia trattazione plutarchiana al riguardo. Queste ultime due ipotesi sono rimaste puramente delle ipotesi e mai hanno avuto riscontro storico e filologico.[18]

Struttura e sintesi della biografia plutarchea

Capitolo 1

Descrizione della famiglia di Crasso. Il padre (P. Licinio Crasso Dives) fu censore e celebrò un trionfo, i fratelli erano affettivamente legati alla famiglia natale anche da sposati ed è in questo dato che Plutarco trova nella fanciullezza di Crasso un tenore di vita sobrio e moderato. Alla morte di uno dei suoi fratelli, Crasso, di cui Plutarco non riporta la data di nascita, sposò la cognata, ma anni dopo fu accusato di avere una relazione con Licinia, una delle vergini Vestali che, per questo motivo, fu legalmente perseguita dietro accusa di Plozio (questo stesso episodio è narrato da Plutarco anche nei Moralia[19])

Capitolo 2

Introduzione del filo conduttore della biografia: l'avarizia di Crasso. Plutarco racconta che Crasso ebbe di certo dei pregi, ma questi mai riuscirono a brillare agli occhi dei romani che vedevano in lui solo una smisurata passione per la ricchezza. Pur non partendo da una solida base, riuscì ad accrescere rapidamente e smisuratamente la sua ricchezza con la guerra e con le sciagure pubbliche. Un esempio di sciagura pubblica da cui Crasso trasse profitto sono i crolli delle abitazioni a causa della concentrazione degli edifici che causò la vendita dei suoli e il calo del prezzo delle abitazioni confinanti a quelle abbattute, che venivano messe in vendita da proprietari per timore di eventuali crolli. Crasso ne approfittò comprando schiavi architetti e muratori e acquistò numerosissime case a Roma. Molto importanti nella gestione delle sue finanze sono stati difatti i suoi schiavi, fra i quali si annoveravano lettori, scrivani, argentieri, amministratori, addetti alla mensa che egli considerava “strumenti viventi dell'economia di una casa”.

Capitolo 3

Elogio dell'abilità oratoria di Crasso. Rispetto al giudizio più moderato che Cicerone esprime nel Brutus[20] sulla capacità oratoria di Crasso, Plutarco dispensa inevece un giudizio più generoso definendo Crasso “uno dei più abili oratori romani che superò con lo studio e con l'applicazione i più dotati naturalmente”.

Capitolo 4

L'alleanza di Mario e Cinna. Tale avvenimento politico fu la causa della morte del fratello e del padre di Crasso, che sentendo in pericolo la propria vita, fuggì con dieci schiavi e tre amici in Spagna dovesi rifugiò in una caverna sita nelle terre di Vibio Paciano.

Capitolo 5

La picaresca permanenza nella caverna. Vibio si premurò quotidianamente di sostentare il nascondiglio fornendo a Crasso viveri. Inoltre donò al suo amico due schiave che si intrattennero da quel momento nella caverna. Per la prima volta, nel capitolo quinto, Plutarco riporta una fonte da cui attinge per la sua biografia: l'annalista latino Gaio Fenestella, autore di un'opera storica sugli ultimi secoli della repubblica, Historicorum Romanorum Reliquiae, giunta frammentaria, che riporta l'aneddoto della Vestale Licinia, illustrato da Plutarco nel capitolo primo di questa biografia, e la testimonianza di una delle due schiave, ormai in età avanza, che ricorda piacevolmente la permanenza nella caverna insieme a Crasso e ai suoi amici.[21] Come nota Flacelière, Plutarco non riporta mai la fonte delle sue notizie, eccetto in due casi: quello in analisi in questo capitolo, ovvero la fonte Fenestella (5,6) e qualche capitolo dopo la fonte Cicerone (13, 4)[2].

Capitolo 6

Crasso e Silla. Morto Cinna, Crasso lasciò il suo rifugio e saccheggiò Malaga. Anche nel riportare questa notizia Plutarco scrive “come scrivono molti storici”, ma non ne riporta i nomi. In seguito Crasso si recò in Libia, unendosi con Metello Pio. A causa di dissapori con Metello, Crasso si unì poi a Silla che lo incaricò di raccogliere truppe fra i Marsi. Avendo chiesto una scorta per compiere questa missione, Silla rispose sgarbatamente a Crasso dicendogli “ti darò come scorta tuo padre, tuo fratello e i tuoi amici e i tuoi parenti, ingiustamente ed illegalmente trucidati, i cui assassini mi accingo a perseguitare” . Secondo la narrazione di Plutarco, sta proprio in questa missione la nascita della rivalità tra Crasso e Pompeo, ma anche a proposito di questa riflessione Plutarco scrive “dicono” , ma non riporta chi è l'artefice di questo pensiero. Pompeo, più giovane di Crasso e figlio di un uomo che non godeva di una buona approvazione dei concittadini romani, subito eccelse nelle azioni militari tanto che Silla, eccezionalmente, si alzava in piedi e lo acclamava con il titolo di imperator. Crasso dunque non riusciva mai a spiccare abbastanza perché, stando al pensiero di Plutarco, già espresso nelle prime righe della biografia, il grande limite con cui si giudicava Crasso era il suo difetto di avidità che causò anche la perdita di fiducia di Silla nei suoi confronti.

Capitolo 7

Crasso , Pompeo e Cesare. Causa dell'odio nei confronti di Pompeo era anche il trionfo che lui celebrava prima di entrare il Senato e il soprannome Magno con cui i cittadini lo acclamavano. Comprendendo di non poter superare Pompeo nelle campagne militari, Crasso si dedicò alla scalata politica ed era paradossale che la fama di Pompeo crescesse di più quando egli era assente perché impegnato nelle campagne militari, perché Pompeo, se era a Roma, in virtù del suo orgoglio pensava più a tutelare il suo interesse personale che a relazionarsi con gli altri, a differenza di quanto faceva Crasso. I due erano prestanti fisicamente ed entrambi capaci nell'abilità oratoria. I rapporti con Cesare, inizialmente non buoni, volsero favorevolmente quando Crasso si offrì di fornire un aiuto economico a Cesare che era oppresso dai creditori mentre si accingeva a partire in Spagna come pretore. Per quanto riguarda i rapporti tra Cesare, Pompeo e Crasso, questi avevano fatto in modo che Roma si dividesse in tre parti: Pompeo convogliava la parte di cittadinanza moderata e prudente, Cesare quella impetuosa ed estremista, Crasso traeva sempre profitto dalla situazione e cambiava partito a seconda del suo vantaggio. Dalla descrizione di Plutarco emerge che Crasso fosse poco coerente e poco legato alle sue idee, ma che, cercando di stabilire sempre duraturi rapporti di pace con gli altri, pensava solo a se stesso tanto che l'oratore Sicinnio disse di lui “quello ha il fieno sulle corna”, per indicare che era preferibile stare in guardia da individui come Crasso.

Capitoli 8 - 11

Descrizione della Guerra di Spartaco. Ampia è la trattazione della guerra servile, il cui racconto ci è giunto non solo grazie a Plutarco ma anche grazie ad Appiano. Le narrazioni di Appiano e Plutarco procedono quasi parallelamente, senza mai contraddirsi, si nota soprattutto come i due storici abbiano idealizzato la figura di Spartaco, nobile e idealista nel suo temperamento e che Plutarco abbia particolarmente insistito in tale idealizzazione al fine di mostrare quanto siano stati inefficaci i precedenti provvedimenti dei generali.[22] Spicca, inoltre, il racconto della decimazione di una coorte di 50 uomini, come punizione per aver mostrato viltà nell'attacco contro i nemici. Questo episodio è narrato in modo diverso da Appiano[23] secondo cui Crasso decimò le legioni consolari portando alla morte 4000 uomini, un numero tanto smisurato da essere poco credibile dato che sarebbe stato del tutto irrazionale uccidere così tanti soldati. Oltre a dilungarsi per quattro paragrafi nella narrazione degli eventi bellici inerenti alla guerra servile, Plutarco mette in evidenza quanto grande fosse la preoccupazione di Crasso di vincere la guerra contro Spartaco ed evitare che Pompeo ne traesse tutto il merito, pur sopraggiungendo nella fase finale della battaglia che avrebbe posto definitivamente fine alla guerra.

«Infatti si annunciava ormai l'arrivo di Pompeo e nelle assemblee in vista delle elezioni non pochi dicevano che a lui spettava la vittoria e che appena giunto avrebbe subito vinto la battaglia e posto fine alla guerra»

La preoccupazione di Crasso si tramutò in realtà quando Pompeo, uccidendo i cinquemila nemici superstiti, accrebbe la sua fama poiché scrisse al Senato che Crasso aveva vinto i nemici fuggitivi, ma egli solo aveva posto fine alla guerra. In tal modo Pompeo celebrò il trionfo e Crasso no, per di giunta fu aspramente criticato per aver celebrato l'ovazione, ovvero il trionfo a piedi.

Capitolo 12

Pompeo e Crasso. Eletti consoli, i due non ebbero mai rapporti amichevoli e per questo non riuscirono a far fruttare al meglio loro consolato. Pompeo e Crasso giunsero però ad una formale riconciliazione narrata da Plutarco in questo capitolo e anche nella vita di Pompeo[24] con parole quasi simili. A tal proposito Plutarco racconta un aneddoto sul cavaliere romano Gaio Aurelio che raccontò di Zeus venutogli in sogno per imporre la pace tra i due consoli, Crasso e Pompeo, prima del termine del loro consolato. Celebre è la risposta di Crasso:

«Cittadini, non credo di fare niente di meschino né di indegno di me, nell'essere il primo a testimoniare benevolenza e amicizia a Pompeo, che voi avete chiamato Magno, quando era ancora imberbe, e a cui avete votato il trionfo, quando non faceva parte del senato»

Capitolo 13

Crasso e Cicerone. Plutarco definisce “inconcludente e inattiva” la censura di Crasso sebbene il suo collega fosse Lutazio Catulo, che Plutarco definisce “ il più mite dei Romani”. I due ebbero un dissenso poiché Catulo si oppose al progetto di Crasso di rendere l'Egitto tributario di Roma e tale dissenso sfociò nelle dimissioni di entrambi dalla carica. A tale episodio, inoltre, Cassio Dione[25] ne aggiunge un altro: Crasso mise in discussione uno dei pilastri del programma popolare di Cesare, ovvero che i Transpadani avessero diritto alla cittadinanza romana Plutarco dedica breve spazio alla congiura di Catilina e racconta che Crasso fu sospettato a causa di un uomo che fece il suo nome, ma non ne rivela l'identità. Cicerone, in un'orazione pubblicata dopo la morte di Cesare e Crasso, accusa esplicitamente i due e nel De consulatu, scritto nel 60 (Plutarco non specifica la data). Cicerone (Dopo Fenestella, Cicerone è la seconda e ultima fonte espressamente citata) narra che Crasso in una visita di notte gli svelò la congiura di Catilina. Crasso non provò mai simpatia per Cicerone proprio perché egli aveva rivelato a tutti il suo nome in riferimento alla congiura, ma fu proprio Publio, figlio di Crasso e seguace di Cicerone, ad indurre il padre a stringere amicizia con Cicerone. Si nota quanto forte fosse l'interesse di Plutarco per un taglio aneddotico anche per quanto riguarda i rapporti fra Crasso e Cicerone, è trascurata difatti l'origine della discordia con Cicerone che stava nell'attività dello stesso Cicerone a sostegno di Pompeo negli anni 67-66[26]; tale origine è invece analizzata da Sallustio[27]

Capitolo 14

I rapporti fra Cesare, Pompeo e Crasso. A Cesare premeva che Pompeo e Crasso andassero d'accordo perché solo unendosi nel nome di un unico progetto politico non avrebbero favorito Catulo, Catone e Cicerone. Fu quindi Cesare il promotore dell'unione fra Pompeo e Crasso innanzitutto e poi anche fra Pompeo, Crasso e se stesso. In tal modo i tre riuscirono a ridimensionare notevolmente il potere del senato e del popolo romano e Cesare fu anche eletto console e gli fu assegnata la Gallia. Plutarco, a proposito dei successi di Cesare, dipinge Crasso come un uomo non solo avido di ricchezze (definisce la “sete di denaro” la sua “vecchia malattia”), ma anche invidioso delle vittorie di Cesare.

Capitolo 15

Gli accordi di Lucca. Cesare, Pompeo e Crasso si incontrarono a Lucca e stabilirono che, per continuare a tenere forte il loro potere, Cesare avrebbe conservato le sue truppe e Pompeo e Crasso avrebbero avuto altre province ed altri eserciti. Al ritorno da Lucca, però, i tre furono sospettati da tutti quelli che guardavano al loro accordo come ad un bisogno di accrescere il potere personale e non come un atto rivolto al bene comune. Fra coloro che li sospettavano vi era Catone, di cui Plutarco riporta le parole, che già guardava Crasso e Pompeo come aspiranti alla tirannide e non al consolato, bramosi di province ed eserciti e non di presiedere una magistratura. Catone, inoltre, incoraggiò Domizio, suo amico e parente, a proporre la sua candidatura al consolato, ma i sostenitori di Pompeo tesero un agguato a Domizio in cui rimase coinvolto anche lo stesso Catone, così Pompeo e Crasso furono eletti consoli e Cesare ottenne altri cinque anni di proconsolato.

Capitolo 16

Il sorteggio. Crasso ottenne la provincia della Siria e Pompeo le Spagne. Tanta fu la felicità di Crasso per la provincia ottenuta che, come racconta Plutarco, manifestò apertamente e in modo quasi infantile la sua gioia. Tale gioia si giustificava con la consapevolezza di Crasso che la Siria e i Parti erano gli avversari che gli avrebbero procurato il successo e che avrebbero mostrato platealmente che le campagne di Lucullo contro Tigrane e di Pompeo contro Mitridate avevano poco valore in confronto alla sua campagna contro i Parti. Poiché nella legge votata sulle province non vi era alcun riferimento alla guerra contro i Parti e poiché il tribuno Ateio voleva opporsi alla partenza di Crasso, questi chiese aiuto proprio a Pompeo che aveva grande influenza sulla folla e che avrebbe così impedito agli oppositori di intralciare Crasso nella sua partenza. Crasso difatti riuscì a partire, ma Ateio pronunciò contro di lui due terribili maledizioni che per la loro potenza e mostruosità avrebbero nuociuto Crasso e lo stesso Ateio.

Capitoli 17 - 32

La campagna contro i Parti. Plutarco dedica ampissimo spazio alla narrazione degli eventi inerenti alla campagna bellica di Crasso contro i Parti che giunge alla terribile disfatta dei Romani, con una perdita che Plutarco stima di ventimila soldati morti e diecimila fatti prigionieri. La disfatta di Crasso si conclude con la sua terribile morte e lo scempio di Surena, stratega dei Parti, che mandò ad Orode la testa e la mano di Crasso e fece inscenare un grande trionfo di scherno per i resti di Crasso. Da un punto di vista filologico e letterario, è importante il capitolo XXXII perché Plutarco narra che Surena riunì il senato di Seleucia e presentò al suo cospetto i testi erotici e licenziosi di Aristide di Mileto rinvenuti nel bagaglio di Rustio; è inoltre importante anche il riferimento a Esopo e in particolar modo alla celebre favola delle due bisacce (l'uomo indossa sul petto la bisaccia con i difetti altrui e sulle spalle la bisaccia con i propri difetti) che in questo contesto indica l'ammirazione degli abitanti di Seleucia nel vedere le Favole Milesie appese al petto di Surena e carri pieni di concubine che lo seguivano alle sue spalle; infine un ultimo riferimento letterario riguarda Artavasde di Armenia, traditore di Crasso e dei Romani che si riconciliò con Orode per mezzo di un matrimonio durante il quale furono messi in scena spettacoli greci. Artavasde era compositore di tragedie e scriveva opere in prosa e opere storiche che erano giunte nel tempo in cui Plutarco scrisse le Vite. A proposito dell'erudizione di Artavasde, molto interessante è proprio il caso di tradizione indiretta presente nel capitolo in oggetto, in cui sono riportati, non fedelmente, cinque versi tratti delle Baccanti di Euripide[28] che accompagnavano il grande banchetto in cui si derideva e si maneggiava la testa di Crasso. La vita di Crasso di Plutarco si conclude, infine, con la descrizione delle morti cui andarono incontro Orode (avvelenato e strangolato dal figlio Fraate) e Surena (ucciso da Orode perché invidioso di lui).

  1. ^ GARZETTI A., "Scritti di storia repubblicana e augustea", Roma, 1996, p.98
  2. ^ a b R. Flacelière, E. Chambry, Vie de Nicias, in Vies de Plutarque, Les Belles Lettres, Paris, 1972, p. 191
  3. ^ a b Plin. "XXXIII, 134"
  4. ^ Vell. Pat."II, 46, 2"
  5. ^ Dio. Cass. "XL,27,3"
  6. ^ Cic., "Parad. Stoic." VI, 45
  7. ^ Cic., "De off." I, 25
  8. ^ PLUTARCO, Vite, a cura di MAGNINO D., Torino, 1992, p. 257
  9. ^ GARZETTI, "op. cit.", p. 100.
  10. ^ Plut.,Cr., 17, 1
  11. ^ GARZETTI, "op. cit.", 1996, pp. 69-70
  12. ^ GARZETTI, "op. cit.", 1992, p. 258
  13. ^ Sall., "Hist", IV, 40
  14. ^ Sall., "Con. Cat.",48, 4-9
  15. ^ GARZETTI, "op. cit.", 1992, p. 259.
  16. ^ Ibidem
  17. ^ R. Flacelière, E. Chambry, Vie de Nicias, in Vies de Plutarque, Les Belles Lettres, Paris, 1972, p. 194
  18. ^ F. Adcock, Marcus Crassus. Millionaire, p. 59.
  19. ^ Plut., "Moralia" 89
  20. ^ Cic. "Brut"., 233
  21. ^ Historicorum Romanorum Reliquiae, ed. H. PETER, vol. II, Stuttgart, 1906, pp. 79-87
  22. ^ GARZETTI, 1996, PP. 85-86
  23. ^ App., "Bell. civ.", 1, 118
  24. ^ Plut. "Pomp"., 23, 1
  25. ^ Dio. Cass., 27, 9, 3
  26. ^ GARZETTI, op.cit, p.122
  27. ^ Sall., Cat. 48, 3-9
  28. ^ Eurip., Baccanti, 1169-71, 1179

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