Discussione:Grande incendio di Roma/Bozza

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Henryk Siemiradzki (1848-1902)
"Le fiaccole di Nerone"
(Cracovia, Museo Nazionale)

Nella notte del 18 luglio 64 (ante diem XV Kalendas Augustas - DCCCXVII a.U.c.) Roma venne gravemente colpita dalle fiamme, forse propagatesi dalla zona del Circo Massimo. L'incendio durò nove giorni ed interessò dieci delle quattordici regioni (quartieri) che componevano la città.

La responsabilità dell'incendio venne addossata ai cristiani, che per questo vennero puniti duramente. Che però fossero stati loro i veri responsabili dell'incendio, non è stato dimostrato in maniera conclusiva. Esiste una tesi secondo cui fu Nerone a dare ordine di appiccare l'incendio a Roma, per poterla ricostruire secondo i suoi desideri, e incolpò poi i cristiani per distogliere i sospetti dalla sua persona. Più recentemente si è fatta largo anche l'ipotesi che l'incendio divampò per cause accidentali.

L'incendio[modifica wikitesto]

L'incendio scoppiò nei negozi che si trovavano a ridosso del Circo Massimo, e secondo Tacito (Annales XV, 38) divampò così violento e rapido da estendersi per tutta la lunghezza del Circo. La difficoltà di isolare le fiamme era dovuta, soprattutto, alla tipologia costruttiva degli edifici di Roma che comprendeva costruzioni in cui era prevalente l'uso del legno. Molte di queste costruzioni, denominate "insulae", consistevano in edifici condominiali che si sviluppavano in altezza (anche sino a 10 piani) e sprovvisti di misure di sicurezza o vie di fuga. Il fuocò raggiunse una temperatura stimata in 1100 gradi, il che significa che non si fermò quando raggiunse i quartieri più ricchi di Roma, costruiti in pietra e marmo, e non in mattoni e legno. L'incendio divampò per sei giorni prima di essere messo sotto controllo, ma si riprese nei pressi degli Orti di Tigellino e proseguì per altri tre giorni, lasciando intatto solo un terzo della città che all'epoca si stima contasse due milioni di abitanti.

L'opera di spegnimento[modifica wikitesto]

L'imperatore, che allo scoppio dell'incendio si trovava nella sua casa natale di Antium, si precipitò verso l'Urbe, assumendo il comando delle operazioni nella mattinata del giorno seguente.

Durante la conduzione degli interventi di spegnimento (ai quali volle partecipare personalmente per dare il buon esempio ai soccorritori) ed il coordinamento delle operazioni di soccorso, Nerone ebbe un comportamento esemplare.

Vista l'impossibilità di domare le fiamme che, a causa del vento, si dirigevano verso il quartiere Esquilino (il più popolato e popolare di Roma) schierò tutte le forze disponibili a difesa della "regio Esquiliae" facendo ripulire una larga fascia sottovento da costruzioni, alberi ed ogni materiale combustibile. Una magistrale e titanica operazione chirurgica nella quale vennero impiegati migliaia fra pompieri, schiavi, pretoriani e servi dell'imperatore e che riuscì perfettamente mettendo in salvo l'esquilino.

Nel sesto giorno le fiamme sembravano finalmente domate, ma vennero in più punti nuovamente alimentate da quegli strani figuri (schiavi dell'imperatore secondo alcuni storici, cristiani secondo altri), che avevano agito in continuazione anche nei giorni precedenti. In ogni caso, il nono giorno vide la fine completa dell'incendio.

L'opera di soccorso[modifica wikitesto]

Contemporaneamente alle operazioni di spegnimento, Nerone coordinava quelle di soccorso.

Per ospitare i senzatetto fece aprire molti edifici pubblici (tra cui anche il Pantheon e i Saepta Julia) e fece allestire nel Campo Marzio un'immensa tendopoli. Dispose la fornitura dei generi di prima necessità da Ostia e dalle zone circostanti ed impose la vendita del grano alla irrisoria cifra di tre sesterzi per moggio (circa 1/16 del prezzo corrente).

Al fine di impedire il ripetersi delle azioni incendiarie e, soprattutto, ad evitare episodi di sciacallaggio, fece piantonare gli edifici distrutti da soldati in armi e, infine, dispose la rimozione gratuita dei cadaveri.

I danni[modifica wikitesto]

Nonostante le pronte ed efficienti contromisure, il consuntivo dei danni fu pesantissimo. Tre quartieri, Iside e Serapis (l'attuale Colle Oppio), Circo Massimo e Palatino furono totalmente distrutti, mentre in altri sette si registrarono danni limitati.

Migliaia furono i morti e circa duecentomila i senzatetto. Numerosi gli edifici pubblici ed i monumenti distrutti, insieme a circa 4.000 insule e 132 domus.

La condanna dei cristiani[modifica wikitesto]

Che fossero stati o meno i reali colpevoli, alla fine vennero accusati i cristiani. Il processo durò due mesi (un tempo lunghissimo per la sbrigativa giustizia romana) e si concluse con pesanti punizioni per coloro che vennero ritenuti responsabili, secondo le leggi specifiche sui reati d'incendio (la "lex Cornelia de sicariis" e la "lex Julia de vi publica") in vigore all'epoca. Sappiamo che non tutti i cristiani accusati vennero condannati alla pena capitale. Per questi ultimi (un numero compreso tra 200 e 300) erano previste le pene dell'esposizione alle belve o del rogo, a seconda del loro status. I cittadini romani vennero esposti alle belve nelle pubbliche arene, mentre gli altri vennero legati a croci di legno e (secondo l'uso romano della tunica molesta) spalmati abbondantemente di pece alla quale appiccare il fuoco dopo il tramonto, affinché illuminassero la notte e subissero i medesimi patimenti che avevano causato a migliaia di vittime. Tutto si svolse secondo le norme ed i costumi del tempo, e rispetto a queste senza alcun eccesso o stravaganza sadica.

La riedificazione[modifica wikitesto]

Anche nell'opera di riedificazione, Nerone mostrò un senso del bene pubblico, una competenza tecnica ed un coraggio politico che nessun altro imperatore, prima e dopo lui, ebbero a manifestare. Si rese subito conto che per evitare in futuro tali disastri era necessario regolamentare il modo di costruire nell'Urbe.

Aiutato dagli architetti Celere e Severo, realizzò quello che potremmo definire il primo P.R.G.C. (Piano Regolatore Generale Comunale) della storia con tanto di R.E. (Regolamento Edilizio) e N.T.A. (Norme Tecniche di Attuazione).

Nerone fece tracciare nuove ed larghe strade, nascenti da ampi spiazzi che sarebbero poi divenuti piazze. Aumentò i punti di presa pubblica delle acque ed istituì uno speciale corpo di ispettori con il compito di impedire gli abusi e le prepotenze di privati verso le risorse idriche. Decretò che gli edifici dovessero essere isolati, dell'altezza massima di 8 decempeda (circa 24 mt corrispondenti a cinque piani) e dotati di porticati soggetti a pubblico passaggio. Inoltre, le costruzioni dovevano essere realizzate prevalentemente in pietra o laterizio ed essere attrezzate con gli strumenti necessari a spegnere un incendio. Infine, stabilì che pure le costruzioni non danneggiate dalle fiamme, se ritenute pericolose, dovevano essere demolite e ricostruite secondo i nuovi dettami.

Tutte norme sagge e lungimiranti, che però incontravano l'ostilità dei patrizi, ovvero dei proprietari dei terreni ed ex proprietari delle costruzioni bruciate. Questi patrizi erano abituati a costruire edifici traballanti ed economici per affittarli a prezzi esorbitanti, vista l'enorme richiesta di alloggi. Certo non vedevano di buon occhio le nuove norme edilizie che avrebbero comportato un aumento notevole dei costi di costruzione ed una sensibile diminuzione del rapporto di edificabilità della superficie.

Per superare questo problema, Nerone usò il bastone e la carota. Fece intendere che le aree non edificate potevano essere espropriate e promise incentivi a coloro che avessero terminato la ricostruzione entro un anno dall'incendio. Il bastone era enorme e la carota minuscola. L'imperatore non poteva certamente contare sull'appoggio delle classi agiate le quali, a causa dei suoi numerosi interventi in favore della popolazione più umile, l'avrebbero volentieri eliminato. Per superare l'immobilismo ostile dei patrizi Nerone mandò un messaggio più che ai loro cuori, alle loro borse: espropriò un'area immensa in zona Colle Oppio dove iniziò ad efificare il nuovo palazzo imperiale, visto che il precedente era stato distrutto dall'incendio. Ai patrizi non restò che fare buon viso a cattiva sorte ed affrettarsi a costruire, almeno per conservare le proprietà e fruire degli incentivi promessi.

In capo ad un solo anno Roma era praticamente ricostruita, così come il palazzo imperiale, la cui facciata impreziosita da foglie d'oro gli valse l'appellativo di Domus Aurea. I costi delle opere pubbliche e per gli incentivi erano stati sostenuti dalle casse dello stato, dal patrimonio personale dell'imperatore e dalle numerose donazioni che arrivavano dalle città dell'impero. Ad esempio, la piccola Lugdunum (oggi Lione), città particolarmente devota a Nerone, contribuì con quattro milioni di sesterzi.

Le decisioni di Nerone resero l'Urbe infinitamente più vivibile e decorosa, ma procurarono all'imperatore l'odio dei nobili e dei ricchi romani che non si spense neppure a distanza di secoli dalla sua morte. Nondimeno gli procurarono l'affetto degli umili, tanto da risultare di gran lunga l'imperatore romano più amato dal popolo; si pensi che dopo la sua morte, per oltre vent'anni si registrarono le apparizioni di millantatori che affermavano di essere Nerone al fine di ottenere il plauso della popolazione e provocare sommosse o estorcere quattrini agli sprovveduti.

Tesi sulle vere responsabilità dell'incendio[modifica wikitesto]

Identificare un piromane (o dei piromani) di duemila anni fa è virtualmente impossibile, e le cause del rogo probabilmente non verranno mai determinate definitivamente. Esistono sostanzialmente tre tesi differenti circa i responsabili. Una sostiene che l'incendio fu voluto da Nerone, per poter portare avanti i suoi piani di "rinnovamento urbano", scavalcando il Senato che gli si opponeva. Un'altra vede i cristiani come colpevoli, essi avrebbero dato la città alle fiamme per realizzare una profezia egiziana. L'ultima sostiene che si trattò solo di un incidente; gli incendi a Roma erano numerosi, ed erano sempre una minaccia in quel periodo dell'anno.

Le accuse contro Nerone[modifica wikitesto]

Nerone era un imperatore impopolare, ritenuto violento e spesso fuori controllo. Anche se si trovava ad Anzio quando scoppiò l'incendio, e benché si fosse precipitato a Roma per partecipare alle operazioni di spegnimento delle fiamme e di soccorso alla popolazione, si sparsero subito delle voci secondo cui era stato lui stesso ad appiccare il fuoco. Proprio da tali voci nacque anche la leggenda secondo cui l'imperatore, mentre le fiamme divoravano la città, suonava e cantava dell'incendio di Troia, dall'alto della Torre di Mecenate. Il motivo per cui Nerone avrebbe dato fuoco alla città sarebbe stato il suo desiderio di ricostruire Roma secondo i suoi desideri. Desideri ai quali si opponeva il Senato. Secondo Svetonio "urtato dal brutto stile degli antichi edifici e dall'angustia ed irregolarità delle vie Nerone mise a fuoco la città". Il suo prodigarsi per domare l'incedio e per prestare soccorsi, e la successiva condanna dei cristiani come responsabili dell'incendio, sarebbero stati secondo questa tesi, degli espedienti per allontanare da se i sospetti. Tra i primi a sostenere la colpevolezza di Nerone fu lo storico romano Tacito.

I cristiani come veri autori dell'incendio[modifica wikitesto]

Lo storico Gerhard Baudy, riprendendo una tesi esposta in precedenza da Carlo Pascal e Leon Herrman, ha esposto la tesi secondo cui furono effettivamente i cristiani ad appiccare volontariamente fuoco a Roma, per dare seguito ad una profezia apocalittica egiziana, secondo cui il sorgere di Sirio, la stella del Canis Major, avrebbe indicato la caduta della grande malvagia città. I cristiani, stanchi dell'oppressione di Roma, stavano per questo astiosamente diffondendo la voce che un incendio l'avrebbe consumata. "In tutti questi oracoli, la distruzione di Roma col fuoco viene profetizzata. Questo è il tema costante: Roma deve bruciare. Questo era l'obiettivo da lungo tempo desiderato di tutte le persone che si sentivano soggiogate da Roma".[1]. In effetti Sirio sorse il 19 luglio del 64.

Secondo questa tesi, la voce popolare accusava i cristiani, sostenendo che non solo avevano appiccato il rogo iniziale, ma favoriti dal trambusto venutosi a creare, l'avevano reiterato in vari punti della città ed in fasi temporali susseguenti. L'imperatore, forse per le sue simpatie nei confronti della filosofia cristiana o, più verosimilmente, per il rigore e l'imparzialità con cui amministrava la giustizia, non cedette alla spinta popolare che pretendeva l'eliminazione in massa dei cristiani ed ordinò una severa inchiesta. Le indagini non avrebbero presentato particolari difficoltà. I testimoni erano molti e, inoltre, vennero arrestati, tra i componenti della setta cristiana coloro che confessavano la paternità dell'incendio. All'inattesa confessione spontanea, gli arrestati fecero seguire la chiamata in correo (probabilmente un po' meno spontanea) dei complici e dei fiancheggiatori, anch'essi immediatamente arrestati. Il processo fu accurato e durò due mesi, un tempo lunghissimo per la sbrigativa giustizia romana, e si concluse con pesanti punizioni per i responsabili, parte dei quali vennero condannati alla pena capitale.

La causa accidentale[modifica wikitesto]

Cosa abbia in realtà causato l'incendio è ancora motivo di discussione. Molti, soprattutto all'epoca dei fatti, credevano si trattasse di incendio doloso, ma nuove prove suggeriscono la possibilità concreta che si sia trattato di cause accidentali. Tacito osservò che il fuoco si diffuse controvento, il che, fino al secolo scorso, era generalmente considerata prova di un incendio doloso. Osservò inoltre che si diffuse attraverso i poco infiammabili templi e le abitazioni in muratura dei ricchi, trovando la cosa innauturale e probabile prova del dolo. Nuovi studi mostrano che, siccome un fuoco di grandi dimensioni consuma l'ossigeno attorno a se, tende ad espandersi verso l'esterno alla ricerca di altro ossigeno, andando anche contro vento [2]. Gli esperti sanno inoltre che anche in un edificio fabbricato completamente con materiali non infiammabili, i mobili possono facilmente prendere fuoco se delle braci entrano dalla finestra. Questo può portare alla consunzione dell'intero edificio. Gli edifici romani erano particolarmente aperti a questa minaccia, poiché le loro finestre non erano schermate e i palazzi erano ben ventilati.

L'incendio nella testimonianza di Tacito[modifica wikitesto]

Tacito, storico romano, ha tramandato questo racconto relativo alla punizione dei cristiani per l'incendio. Secondo la sua teoria i cristiani sarebbero stati accusati falsamente da Nerone, allo scopo di distogliere i sospetti dalla sua persona:

(LA)

«Sed non ope humana, non largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia quin iussum incendium crederetur. Ergo abolendo rumori Nero subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit quos per flagitia inuisos uulgus Christianos appellabat. Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. Igitur primum correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens haud proinde in crimine incendii quam odio humani generis conuicti sunt. Et pereuntibus addita ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent, aut crucibus adfixi aut flammandi, atque ubi defecisset dies in usum nocturni luminis urerentur. Hortos suos ei spectaculo Nero obtulerat et circense ludicrum edebat, habitu aurigae permixtus plebi uel curriculo insistens. Vnde quamquam aduersus sontis et nouissima exempla meritos miseratio oriebatur, tamquam non utilitate publica sed in saeuitiam unius absumerentur.»

(IT)

«Nessuno sforzo umano, nessuna elargizione dell'imperatore o sacrificio degli dei riusciva ad allontanare il sospetto che si ritenesse lui il mandante dell'incendio. Quindi, per far cessare la diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e colpì con pene di estrema crudeltà coloro che, odiati per il loro comportamento contro la morale, il popolo chiamava Cristiani. Colui al quale si doveva questo nome, Cristo, nato sotto l'impero di Tiberio, attraverso il procuratore Ponzio Pilato era stato messo a morte; e quella pericolosa superstizione, repressa sul momento, tornava di nuovo a manifestarsi, non solo in Giudea, luogo d'origine di quella sciagura, ma anche a Roma, dove confluisce e si celebra tutto ciò che d'atroce e vergognoso giunge da ogni parte del mondo.
Quindi dapprima vennero arrestati coloro che confessavano, in seguito, grazie alle testimonianze dei primi, fu dichiarato colpevole un gran numero di persone non tanto per il crimine di incendio, quanto per odio nei confronti del genere umano. E furono aggiunti anche scherni per coloro che erano destinati a morire, che, con la schiena ricoperta (da pelli) di belve, morissero dilaniati dai cani, o che fossero crocefissi o dati alle fiamme e, tramontato il sole, utilizzati come torce notturne. Per quello spettacolo Nerone aveva offerto i suoi giardini ed allestiva uno spettacolo al circo, confuso fra la folla in abito da auriga o salendo su una biga. Quindi, benché le punizioni fossero rivolte contro colpevoli ed uomini che si meritavano l'estremo supplizio, sorgeva una certa compassione nei loro confronti, come se i castighi non fossero stati inflitti per il bene pubblico, ma per sadismo di un solo uomo.»

Curiosità[modifica wikitesto]

Il popolare software di masterizzazione Nero Burning ROM deve il suo nome ad un gioco di parole con la frase inglese Nero burning Rome (Nerone sta bruciando Roma)

  1. ^ Gerhard Baudy, Die Brände Roms: Ein apokalyptisches Motiv in der antiken Historiographie
  2. ^ Liming Zhou, Solid Fuel Flame Spread and Mass Burning in Tbrbulent Flow (pag. 3)[1]

Bibliografia[modifica wikitesto]

  • Massimo Fini, Nerone - duemila anni di calunnie, 1993 Mondadori
  • Clementina Gatti, Nerone e il progetto di riforma tributaria del 58 dC, 1975 Montevecchi
  • Roberto Gervaso, Nerone, 1990 Bompiani
  • Eugen Cizek, L'époque de Néron, 1972 Leida
  • Giuseppe Caiati, L'incendio di Roma e la congiura di Pisone, 1969 Palombi
  • Luke Herrmann, Quels chrétiens ont incendié Rome, 1949 Revue Belge
  • Carlo Pascal, L'incendio di Roma e i primi cristiani, 1901 Torino
  • Emilio Radius L'incendio di Roma, 1962 Rizzoli
  • Laurie Schneider, Art Across Time I, 2002 New York, McGraw-Hill Companies, Inc.
  • Ronald L. Conte Jr., The Martyrdom of James the Less and Mark the Evangelist, 2003. [3]
  • Publio Cornelio Tacito, Annales XV [4]
  • John Uhl The Great Fire of Rome 2002.
  • H. B. Warmington, Nero: Reality and Legend Ed. M. I. Finley. New York: W W Norton & Company, Inc., 1969.

Collegamenti esterni[modifica wikitesto]