Discussione:Espero (cacciatorpediniere 1927)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca


L’OPERAZIONE BRITANNICA “M.A. 3” L’EROICO COMBATTIMENTO DEL CACCIATORPEDINIERE ESPERO - 28 Giugno 1940

Alle 22.45 del 27 giugno 1940 tre cacciatorpediniere italiani della 2a Squadriglia lasciarono la base di Taranto per raggiungere Tobruk, loro nuova destinazione di guerra. Per ordine dello Stato Maggiore Generale (Comando Supremo), inviato a Supermarina, i tre cacciatorpediniere Espero (capo squadriglia), Ostro e Zeffiro, avevano imbarcato uomini, armi e rifornimenti destinati in Libia, dpo che erano stati urgentemente richiesti dal Governatore e Capo delle Forze Armate, maresciallo dell’aria Italo Balbo. Come segnalato da Supermarina a Superesercito, si trattava di 6 ufficiali, 22 sottufficiali, 134 militari di truppa della Milizia Territoriale (M.V.S.N.) 10 cannoni anticarro, 273 casse di munizioni e 37 casse di materiale dell’Esercito. Diverso tempo dopo che i cacciatorpediniere avevano preso il mare, alle 09.45 del 28 salparono per la stessa destinazione di Tobruk le torpediniere della 2a Squadriglia Pilo e Missori, con a bordo 52 soldati e 10 tonnellate di materiale dell’Esercito. In definitiva si approfittò del trasferimento a Tobruk delle cinque siluranti, per effettuare l’urgente trasporto in Cirenaica di uomini e armi.

L’ordine di operazione n. 9 inviato, con protocollo n. 959/S.R.P. del 27 giugno 1940, al cacciatorpediniere Espero e alla torpediniera Pilo dal Comandante in Capo del Dipartimento Marittimo Jonio e Basso Adriatico, ammiraglio di Squadra Antonio Pasetti, specificava che le siluranti dovevano dislocarsi a Tobruk, per passare “in temporanea dipendenza di quel Comando di Settore Militare Marittimo”. La partenza delle cinque navi, al comando del capitano di vascello Enrico Baroni, doveva avvenire alle ore 22.00, per poi percorrere la rotta diretta Santa Maria di Leuca – Ras el Tin.

Prima ancora che la squadriglia Espero prendesse il mare, il Reparto Operazioni del Servizio Informazioni di Maristat aveva ricevuto dal suo Ufficio Intercettazioni Estere la notizia che la sera del giorno 27 giugno un convoglio britannico era partito o era prossimo partire da Malta. L’informazione, inviata a Supermarina e diramata ai Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate italiane, arrivava per la decrittazione delle trasmissioni radio britanniche.

A scopo cautelativo, Supermarina dispose per l’intensificazione della ricognizione aerea nel Canale di Sicilia, a partire dall’alba dell’indomani. Quindi ordinò alla 2a Divisione Navale (ammiraglio Ferdinando Casari), che si trovava a Palermo con gli incrociatori Giovanni dalle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni, di tenersi pronta a muovere in due ore. Alle ore 23.45 del 28 la 2a Divisione Navale partì da Palermo per Augusta, dove arrivò l’indomani, giorno 29. Nello stesso tempo, alle 2100 del 28, fu anche disposta la partenza da Napoli per Palermo della 7a Divisione Navale, che, costituita dagli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia (ammiraglio Luigi Sansonetti), Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, arrivò a destinazione il mattino del 29.

I tre cacciatorpediniere della 2a Flottiglia, a causa del carico di armi, munizioni e materiale vario imbarcato a Taranto, a cui si aggiungevano su ogni unità circa 50-55 uomini della Milizia, erano sensibilmente ingombri di casse e di persone, ragion per cui “lo spazio a bordo era diventato in certi punti appena sufficiente per transitare”. Le tre unità diressero, come stabilito, sulla rotta Santa Maria di Leuca – Ras el Tin (Cirenaica). A bordo del capo squadriglia Espero, che procedeva ad una velocità di circa 21 nodi, erano in funzione le caldaie n. 2 e 3, mentre la n. 1 era tenuta pronta ad entrare in funzione. La notte tra il 27 e il 28 giugno trascorse tranquilla, e al mattino il comandante Baroni scese dalla plancia per ispezionare i vari posti di combattimento. Conversò con gli uomini, interessandosi del loro stato d’animo e della vita di bordo.

I cacciatorpediniere continuarono a navigare con regolarità fino alle 09.00 del 28, quando il timone dell’Ostro fece avaria, e fu costretto a fermarsi circa un’ora, per effettuare le riparazioni. In questo frattempo l’Espero e lo Zeffiro presero a girare intorno all’Ostro. Ripresa la navigazione, sempre alla velocità di circa 21 nodi, all’incirca alle ore 11.00 fu individuato di poppa un grosso aereo da ricognizione britannico Sunderland che fece un largo giro mantenendosi fuori tiro prima di scomparire all’orizzonte. Un altro aereo fu avvistato più tardi, verso le ore 11.00, in lontananza di prora, e dopo aver effettuato anch’esso un giro intorno alle navi, si dileguò verso ovest.

Nel frattempo il Comando della Mediterranean Fleet aveva dato inizio ad un’operazione navale designata sotto la sigla “MA. 3”, “il cui scopo era quello di proteggere i movimenti dei convogli nel Mediterraneo orientale”.

Il vice ammiraglio John Cronyn Tovey, con l’insegna sull’Orion nave comando della 7a Divisione Incrociatori, quale Comandante in seconda della Mediterranean Fleet fu incaricato dal suo diretto superiore, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, di essere il responsabile della condotta dell’operazione M.A.3. Gli fu pertanto ordinato di dirigere verso Malta con i cinque incrociatori della 7a Divisione, che costituirono la Forza A, con il compito di assumere la scorta diretta a due convogli britannici, uno veloce (13 nodi) e l’altro lento (9-1/2 nodi), la cui partenza da La Valletta, con destinazione Alessandria, era prevista per il 29 giugno. Fino a quel momento, nei trascorsi diciotto giorni di guerra, nessuna nave mercantile britannica aveva raggiunto Malta, o aveva lasciato l’isola. La partenza dei due convogli (MF.1 veloce e MS.1 lento) per Alessandria, con sette piroscafi complessivi, si rendeva necessario per portare via dall’isola personale, incluse famiglie di militari, e materiali che erano considerati superflui.

A questo movimento navale se ne aggiungeva un altro concernente il transito in Egeo del convoglio “AS.1”, formato con undici piroscafi provenienti dalla zona dei Dardanelli (Porto Helles) e diretti in Egitto. Furono inviati incontro al convoglio, per assumerne la protezione ravvicinata, la 3a Divisione della Mediterranean Fleet, costituita dai piccoli e vecchi incrociatori leggeri Captown (contrammiraglio Edwards de Faye Renouf) e Caledon, e i due grossi cacciatorpediniere della 14a Flottiglia Nubian (capitano di vascello Philip John Mack) e Mohawk, a cui si aggiungevano il cacciatorpediniere australiano Vampire e il polacco Garland.

L’intera operazione “MA. 3”, fu appoggiata da un gruppo di copertura, denominato Forza B, comprendente, al comando del contrammiraglio Henry Daniel Pridham-Wippell, le due vecchie e non rimodernate corazzate della 1a Squadra da Battaglia Ramillies e Royal Sovereign, la anziana portaerei Eagle (in grado di trasportare appena venti aerei) e i sette cacciatorpediniere Hyperion (nave comando della 2a Flottiglia), Havock, Hero, Hereward, Hasty, Janus e Juno.

Occorre dire che avendo lasciato ad Alessandria la Warspite (nave di bandiera dell’ammiraglio Cunningham) e Malaya, che erano le corazzate più efficienti della Mediterranean Fleet, l’ammiraglio Cunningham, mostro di avere troppa fiducia nelle possibilità di riuscita dell’operazione M.A.3, che comportava di spingersi nello Ionio per rilevarvi i due convogli provenienti da Malta, con una forza navale che era nettamente inferiore a quella della flotta italiana. Se questa fosse uscita in mare da Taranto e dagli altri porti principali del basso Adriatico e della Sicilia per affrontare a levante di Malta le navi degli ammiragli Tovey e Pridham-Wippell (due corazzate e cinque incrociatori), avrebbe potuto farlo con un complesso di due corazzate (Giulio Cesare e Conte di Cavour); ma anche, come minimo, con ben quindici incrociatori, sette dei quali del tipo pesante tipo “Trento” e “Zara”, armati con cannoni da 203 mm, nettamente superiori, per calibro di artiglieria, a tutti agli incrociatori britannici che si trovavano allora nel Mediterraneo.

Vi era poi in mare la Forza C, salpata da Alessandria alle 06.00 del 27 giugno, e costituita dai cinque cacciatorpediniere Dainty, Decoy, Defender, Voyager e Ilex. Il compito affidatole era quello di rintracciare ed attaccare eventuali sommergibili che potevano trovarsi sulla rotta dei convogli, effettuando rastrelli tra Alessandria e Malta, per poi partecipare anch’essi alla scorta dei due convogli in partenza dall’isola Ciò comportava per i cacciatorpediniere di passare per lo Stretto di Caso, tra l’estremità orientale di Creta e l’Isola di Scarpanto, nel possedimento italiano del Dodecaneso, e proseguendo poi la navigazione verso occidente, di entrare nello Ionio, costeggiando la costa settentrionale di Creta e transitando a sud del Peloponneso.

Lo scopo della missione era quello di rendere sicura la rotta dei tre convogli dell’operazione “M.A .3”, che assieme ai loro gruppi di scorta dovevano trovarsi il 30 giugno nelle vicinanze di Capo Matapan, la punta estrema meridionale del Peloponneso. In questa zona, nelle vicinanze del punto K, in lat. 35°00’N, long. 22°00’E, si sarebbe trovato il gruppo di sostegno del contrammiraglio Pridham-Wippell, pronto ad intervenire se la flotta italiana avesse tentato di interferire nella navigazione dei convogli. Tutto questo vasto movimento navale, comportò anche di dover programmare un esteso servizio aereo di ricognizione e di caccia antisommergibile.

Furono impiegati nelle missioni quattordici idrovolanti “Sunderland”, degli Squadron 228° e 230°, inquadrati nel 201° Gruppo di Cooperazione Aeronavale della R.A.F. e chiamati, per la mole, “vagoni volanti” Il loro compito era quello di collaborare con le forze navali della Mediterranean Fleet. Della loro efficace opera di vigilanza, che comportò di coprire una vasta zona dello Ionio a sud del Golfo di Taranto, fra la Calabria e la costa della Grecia, e di quella dei cinque cacciatorpediniere della 10a Flottiglia (Forza C), inviati a rastrellare le rotte in cui dovevano passare i convogli provenienti da Malta e dall’Egeo, fecero le spese, come vedremo, molti dei nove sommergibili italiani che, in quel periodo di fine giugno e primi di luglio, si trovavano nelle zone operative, a sud e ad ovest di Creta, e che si mantenevano in agguato in sbarramenti mobili e fissi.

Uno di questi sbarramenti, con Anfitride, Ondina, Salpa e Uebi Scebeli, in seguito all’Ordine Generale di Operazione n. 10 di Supermarina, doveva costituirsi, a iniziare dal 30 giugno, fra l’isola di Creta e la costa settentrionale della Cirenaica, con i sommergibili, intervallati di 30 miglia circa l’uno dall’altro. In tal mondo, venendo disposti su una linea congiungente i punti 15 miglia a sud-ovest di Gaudo e 40 miglia a nord est di Derna, i quattro sommergibili dovevano costituire uno sbarramento di circa 100 miglia di ampiezza. E fu in quella zona, in cui i britannici, a ragione, sospettavano l’esistenza dello sbarramento, che furono diretti i cacciatorpediniere della Forza C.

Tuttavia lo sbarramento non entrò in attuazione, poiché i sommergibili furono attaccati dagli aerei e dai cacciatorpediniere britannici, prima che potessero raggiungere le posizioni previste; e altri sommergibili, che stavano rientrando alla base dalle zone operative di Alessandria e di Cipro, vi restarono ugualmente coinvolti, incrementando, in termini di affondamenti e danneggiamenti, un disastro, come vedremo, fino ad allora di natura impensabile per gli italiani.

Un disastro, che avrebbe avuto conseguenze, dal punto di vista degli schieramenti e nel numero dei battelli da impiegarvi, e nella navigazione in superficie diurna, e per l’adozione di altre norme di navigazione e di sicurezza, nel prosieguo della guerra subacquea nel Mediterraneo. Norme che non sempre ebbero l’effetto positivo desiderato, perché subentrò in Supermarina, impressionata dalle perdite, un senso eccessivo di prudenza operativa, che costrinse Maricosom, il Comando in Capo della Squadra Sommergibili, a fissare norme che allontanavano le zone di agguato dei sommergibili dalle aree di mare più pericolose, dove allora si svolgeva lo scarso traffico commerciale del nemico, ossia alle due estremità del Mediterraneo.

Nei mesi successivi, tranne in rare occasioni, le nuove disposizioni di Maricosom, imposte da Supermarina, significarono per i sommergibili italiani di rinunciare ad attaccare il naviglio nemico in quelle zone lontane del “Mare nostrum”, per dedicare ogni sforzo a rinforzare la sicurezza delle rotte nell’Asse nel bacino centrale del Mediterraneo, tra le Isole Baleari e le coste meridionali di Creta. Vasto settore di mare in cui i complessi navali britannici, della Mediterranean Fleet di Alessandria e della Forza H di Gibilterra, erano generalmente impiegati per scortare convogli a Malta o per svolgere operazioni offensive contro obiettivi della Libia e della Sardegna.

Dal momento che queste formazioni navali britanniche erano fortemente protette da cacciatorpediniere e dagli idrovolanti Sunderland, destinati a svolgere servizio di ricognizione e di vigilanza antisom, il compito dei sommergibili italiani rimase difficilissimo per tutto l’anno 1940, poiché per ogni attacco da essi realizzato, con risultati modestissimi, si riscontrarono perdite molto pesanti, quantificate in quattordici unità subacquee.

L’operazione M.A.3 ebbe inizio alle ore 11.00 del 27 giugno, quando il vice ammiraglio Tovey partì da Alessandria con gli incrociatori della 7a Divisione (Forza A), e procedette verso occidente con i suoi cinque incrociatori che navigavano in linea di fila, e quindi in una formazione alquanto allungata. Nel pomeriggio dell’indomani, giorno 28, trovandosi, nella loro rotta verso Malta, a 60 miglia a sud-ovest di Capo Matapan, il vice ammiraglio Tovey, che aveva il suo comando sull’Orion, divise gli incrociatori in due divisioni. La 2a Divisione, si costituì con il Liverpool (capitano di vascello A.D. Read) e il Gloucester (capitano di vascello F.R. Garside), che erano le navi più grosse, più moderne e meglio armate; la 1a Divisione, con l’Orion (capitano di vascello G.R.B. Back ), il Neptune (capitano di vascello R.C. O’Connor), e il Sydney (capitano di vascello J.A. Collins).

Nel frattempo una notevole attività di ricognizione e di vigilanza e caccia antisommergibile stavano svolgendo, nel Mare Ionio, i quattordici idrovolanti Sunderland del 228° e 230° Squadron, inquadrati nel 201° Gruppo della R.A.F., il cui compito era quello di collaborare, durante l’operazione A.M.3, con le forze navali della Mediterranean Fleet. Partendo dall’idroscalo di Kalafrana, sull’isola di Malta, nei giorni 28 e 29 giugno i Sunderland, chiamati anche “vagoni volanti” per la loro mole piuttosto sgraziata, effettuarono diversi e fruttiferi attacchi contro i sommergibili italiani che transitavano in superficie, in quel vasto tratto di mare.

Della efficace opera di vigilanza dei Sunderland, che comportò di coprire una vasta zona dello Ionio a sud del Golfo di Taranto, fra la Calabria e la costa occidentale della Grecia, e dall’attività dei cinque cacciatorpediniere della 10a Flottiglia (Forza C), inviati a rastrellare le rotte in cui dovevano passare i convogli provenienti da Malta e dall’Egeo, fecero le spese molti dei nove sommergibili italiani che, in quel periodo di fine giugno e primi di luglio, si trovavano nelle zone operative, a sud e ad ovest di Creta, e che si mantenevano in agguato in sbarramenti mobili e fissi.

Iniziò la serie dei successi degli aerei britannici il Sunderland L 5804, del 230° Squadron, di base ad Abukir nei pressi di Alessandria, il quale riusci ad attaccare ed affondare ben due sommergibili, l’Argonauta, il 28 giugno, ed il Rubino il giorno successivo. Nel frattempo, nella tarda mattinata del 28 giugno, il Sunderland L 5806, aveva attaccato e danneggiato il sommergibile Anfitride. Venti minuti più tardi, alle ore 12.10, il medesimo ’idrovolante scoprì i tre cacciatorpediniere italiani della 2a Squadriglia, diretti a Tobruk, e ne segnalò la presenza a 50 miglia ad ovest dell’Isola Zante, senza però indicarne la rotta. Il contrammiraglio Tovey, ritenendo che i cacciatorpediniere nemici stessero dirigendo per il canale di Cerigo, per entrare in Egeo, alle 16.10 del 28 accostò verso nord per intercettarli.

A rintracciare quelle navi fu inviato l’idrovolante L 5803 del 230° Squadron, il quale alle 16.40 confermò la presenza dei i cacciatorpediniere italiani, che stavano procedendo con rotta sud. La posizione segnalata dal Sunderland era a 35 miglia dall’incrociatore Orion, la nave ammiraglia della Forza A, che in quel momento si trovava a passare a sud di Capo Matapan, e l’ammiraglio Tovey, poté constatare sulla carta che i cacciatorpediniere italiani si trovavano in una posizione 35 miglia a ovest dalla sua nave comando, l’incrociatore Orion.

Anche i cacciatorpediniere videro l’idrovolante, che con largo giro si mantenne in vista ma fuori tiro dei cannoni, e senza preoccuparsene troppo continuarono nella loro rotta Il vice ammiraglio Tovey, che aveva i suoi cinque incrociatori suddivisi in due divisioni, ricevuta la segnalazione ordinò di accostare immediatamente sulla rotta 220°. Quindi, aumentando la velocità fino a raggiungere i 25 nodi, alle 17.35 costituì la formazione sulla linea di rilevamento 180°, in modo che la 2a divisione, con il Liverpool che aveva di poppa il Gloucester, si trovasse a 5 miglia dalla 1a Divisione, che procedeva con l’Orion in testa seguito dal Neptune e dal Sydney.

La posizione dell’Orion alle ore 17.00 era approssimativamente lat. 36°00’N, long. 21°00’E, le condizioni meteorologiche davano due decimi di cielo nuvoloso in aumento fino a sette decimi, vento da 280° forza 5, mare leggermente mosso con onda corta morta, visibilità da 8 a 19 miglia in diminuzione.

Circa un’ora dopo, alle 18.30, con gli incrociatori della 7a Divisione che continuavano a navigare alla velocità di 25 nodi con rotta 220°, il Liverpool, che era l’unita più a sud della formazione, avvistò all’orizzonte le navi italiane della squadriglia Espero. Segnalò trattarsi di tre cacciatorpediniere sul rilevamento 235° dall’Orion, e alle 18.32 aprì il fuoco con le artiglierie prodiere da 152 mm. su quelle navi. L’azione balistica si sviluppò con direttrice sud-ovest, con gli incrociatori della 2a Divisione impegnati ad inseguire i cacciatorpediniere che, alle 18.50, secondo quanto segnalato dal Gloucester, avevano aumentato la velocità a 30 nodi, accostando per 250°.

Nel frattempo, la 1a Divisione incrementava la velocità per portarsi il più rapidamente possibile al contatto visivo con il nemico. Alle 18.54 l’Orion, sempre seguito dal Neptune e dal Sydney, avvistò i tre cacciatorpediniere italiani e contro di essi aprì il fuoco alle 18.59, con le sue artiglieri da 152 mm, alla distanza di 18.000 yard, corrispondenti a circa 16.000 metri. A questo punto tutte le navi della Forza B erano in azione.

L’Espero (capitano di vascello Enrico Baroni), l’Ostro (capitano di fretaga Giuseppe Zarpellon) e lo Zeffiro (capitano di corvetta Giovanni Dessy), che erano disposti in linea di fronte, non si accorsero della presenza delle navi britanniche, se non quando furono inquadrati dalla prima salva d’artiglieria. Risulta soltanto che la prima segnalazione arrivò dall’Ostro che alle 18.45 trasmise: “Unità nemiche nel quadratino 7848/2”. Il sottotenente di vascello Gaetano Giussani, Segretario di Squadriglia, che si trovava in plancia dell’Espero assieme al comandante Baroni, affermò che la prima salva, caduta alla distanza di 3.000 a sinistra, era di otto colpi, e fu subito dopo seguita da “una seconda salva, sempre a prora, ma più vicina”.

Il Capitano Medico Lorenzo Lotti, che si trovava in plancia assieme al comandante Baroni, dichiarò al rientro dalla prigionia, di aver visto cadere la salva sulla sinistra ad un distanza di circa 3-400 metri dall’Espero, subito seguita da altre due; ed affermò:

“Dalla plancia, dov’ero insieme al comandante e ad altri 2 ufficiali, non potevo rendermi conto di dove sparassero; certo dovevano essere molto lontani; solo verso la decima salva vidi del fumo all’orizzonte, alla nostra sinistra, e di li a poco delle sagome che più tardi non ostentai molto a riconoscere per 3 incrociatori e 2 cacciatorpediniere. La 15a salva fu la prima che arrivò a bordo. Intanto il comandante, pur trovando la situazione disperata per la schiacciante superiorità del nemico, impegnava combattimento e con il sacrificio del suo bastimento dava modo all’OSTRO e allo ZEFFIRO di compiere la missione: giungere in un porto libico con il prezioso carico di cannoni antiaerei, manovrati da camicie nere specializzate”.

Sembra quasi impossibile che, in quel periodo dell’anno in cui nel mese di giugno i giorni erano molto lunghi e luminosi fino a tarda sera, i britannici, che pure possedevano navi molto più vistose di quelle italiane, si fosse potuto avvicinare a distanza di tiro, e sparare ben dieci salve sul cacciatorpediniere Espero prima di essere individuati. Il motivo, secondo la dichiarazione rilasciata dal sottotenente di vascello Giussani, fu il seguente: “La nostra posizione era tra il sole, al tramonto, e le unità nemiche che ancora non si potevano distinguere perché celate da una leggera nebbia, se ne distinguevano solo le vampe delle salve”.

Su questa ed altre simili dichiarazioni, l’Ufficio Storico della Marina Militare riportò in una sua ricostruzione dello scontro navale: “All’inizio non fu possibile distinguere il nemico data la posizione svantaggiosa delle nostre Unità; si trovavano infatti col sole alle spalle ed il nemico approfittava della mascheratura di una leggera nebbia che si stendeva all’orizzonte verso Oriente”.

Comunque, una volta individuato il nemico, quando erano già passati cinque minuti, il capitano di vascello Baroni, come ha riferito il sottotenente di vascello Giussani, ordinava alla 2a Squadriglia l’immediata accostata a un tempo a sinistra di 180°. Quindi “sparando in caccia” e mettendo in funzione la terza caldaia, l’Espero diresse verso ponente alla massima velocità sviluppabile dalle macchine, nell’intendimento di sottrarre all’impari lotta le sue navi e il loro prezioso carico, con rotta di allontanamento rispetto al nemico.

Al termine di quell’ampia accostata a un tempo sulla dritta e nell’assumere direttrice di marcia verso ponente, emettendo cortine di nebbia artificiale e successivamente facendo fumo dai fumaioli, la formazione dei tre cacciatorpediniere venne perciò a costituire “una linea di rilevamento sulla dritta dell’Unità Capo Squadriglia”, con l’Espero che venne a trovarsi l’unità più arretrata verso il nemico.

Inoltre, la velocità dell’Espero, risultò minore a quella delle altre due unità della Squadriglia a causa della quasi immediata inutilizzazione di una delle tre caldaie della nave, per un colpo di cannone caduto molto vicino allo scafo della nave; conseguentemente il cacciatorpediniere rimase arretrato, attirando su di se l’intenso fuoco concentrato degli incrociatori nemici, che già alla quarta salva sparatagli contro, apparve centrato. In seguito a ciò il comandante Baroni, per evitare di rimanere sotto il tiro del nemico, ordinò di zig-zagare, effettuando le accostate ogni volta che una salva delle navi britanniche, guastata dal cambiamento di rotta dell’Espero, fosse riaggiustata sul cacciatorpediniere.

L’Espero, l’Ostro e lo Zeffiro, una volta effettuata l’accostata, avevano risposto al fuoco sparando in ritirata, a una distanza stimata di circa 16-18.000 metri, sui due lati contro gli incrociatori più vicini: il Liverpool, il Gloucester, che si trovavano a sinistra, e l’Orion che invece era a dritta. Occorre dire, come rilevò la C.I.S., che “il Ct. ESPERO e le altre due unità della Squadriglia incontrarono il nemico in condizioni di netta inferiorità sia potenziale che addestrativi”. L’Espero, come riferì il Direttore del Tiro, da anni non svolgeva tipi di prima carica, e soltanto nell’aprile 1940, al termine di tre mesi di grandi lavori, aveva effettuato a Taranto una serie di tiri di seconda carica. Queste lacune si riscontrarono subito dopo l’apertura del fuoco, dal momento che “si fermò il moto continuo della centrale di tiro”, e si verificarono altre avarie.

Il tiro italiano fu considerato dal vice ammiraglio Tovey “buono in gittata ma non altrettanto per la mira”. Tuttavia, ad aggravare la situazione sull’Espero contribuì il fatto che, dopo l’accostata, il cacciatorpediniere, venne a trovarsi in costante posizione sfavorevole per impiegare nella condotta del tiro le battute del telemetro prodiero; l’unico utilizzabile in navigazione, come ha riferito nella sua relazione per la C.I.S. il sottotenente di vascello Gualtiero Corsetti, Direttore del Tiro dell’Espero, che però aggiunse sarebbe stato del tutto inutile, dal momento “che il nemico” si trovava “nettamente fuori dalla portata dei nostri pezzi da 120/45”.

I tre cacciatorpediniere, erano i più vecchi e i meno rapidi che la Marina italiana possedeva nel Mediterraneo, la loro velocità, con tre caldaie e in condizioni normali, era limitata a non più di 32-33 nodi, ed il loro tiro diretto sul nemico era anche intralciato dal loro sovraccarico di uomini e armi imbarcati a Taranto, ragion per cui, come riferì in una sua deposizione il capo meccanico Nicola Crovetto dell’Espero, lo spazio a bordo, già disagevole alla partenza, era diventato in certi punti appena sufficiente per transitare. Accadde anche che, dopo le prime salve del cacciatorpediniere venne a mancare la corrente, la centrale del tiro si arrestò, e poiché anche la stazione radiotelegrafica mancò di funzionare, non fu possibile trasmettere il segnale di scoperta, già compilato dal sottotenente di vascello Giussani.

Ma non era finita, dal momento che l‘Espero, rimanendo in ultima posizione, oltre a sparare con i suoi cannoni da 120/45 per rispondere al fuoco degli incrociatori, facendo entrare in funzione il nebbiogeno di poppa ed i fumogeni del fumaiolo si dette da fare per coprire con le sue cortine di nebbia e di fumo gli altri due cacciatorpediniere della sua Squadriglia, segnalando loro di ritirarsi. Ma nel fare fumo, come riferì ancora Giussani, l’Espero non ne fu a sua volta molto agevolato, poiché la cortina poté celarlo soltanto parzialmente alla vista delle unità nemiche che si trovavano a spostate a sinistra della sua rotta. Non era ancora finita, dal momento che la velocità del cacciatorpediniere, con due caldaie in funzione, non riusciva a superare i 25 nodi; e dal momento che l’Ostro e lo Zeffiro erano più veloci, l’Espero cominciò ad essere distanziato. Nonostante ogni sforzo fatto dai fuochisti per aumentare la velocità, non fu possibile rimettere in funzione la terza caldaia.

Infine, l’Espero, per attirare maggiormente su di esso l’attenzione su di noi e distoglierla dagli altri due cacciatorpediniere, diresse verso la formazione nemica e lanciò i tre siluri di poppa, che in quella situazione costituiva davvero un’impresa di grande valore, dovendo rivolgere la prora e poi il fianco al fuoco del nemico.

Dopo il lancio dei siluri, l’Espero – per tentare di confondere il tiro nemico e renderlo impreciso e nel tentativo di sfuggire all’inseguimento sperando sulla sopraggiungente oscurità – continuò ad alternare ampie manovre a zig-zag che ne ridussero ulteriormente la possibilità di allontanarsi alla massima velocità consentita dalle sue macchine menomate.

Alle 19.05 il Neptune (capitano di vascello Rory Chambers O’Conor) segnalò che i cacciatorpediniere italiani avevano lanciato i siluri (erano i tre siluri dell’Espero), e per questo motivo, a partire dalle 19.12, le navi manovrarono per tre minuti allo scopo di assumere una rotta parallela a quella delle scie. Essendo la distanza diminuita fino a 14.000 yard (12.800 metri) dai cacciatorpediniere italiani, alle 19.21 gli incrociatori della 1a Divisione, Orion, Neptune e Sydney, accostarono di 50° ad un tempo, per portare in campo tutto l’armamento principale (“to open ‘A’ arcs”). Poco dopo questa accostata dalle unità britanniche fu osservato che il cacciatorpediniere di sinistra, ossia l’Espero, era stato colpito e che stava emettendo del fumo bianco.

In effetti, l’Espero venne centrato in pieno per la prima volta alla quindicesima salva sparatagli contro. Il colpo, da 152 mm., fu messo a segno dal Liverpool (capitano di vascello Arthur Duncan Read) ed investì “l’unità a dritta all’altezza del locale caldaia 3, uscendo sulla sinistra e troncando la tubatura principale di vapore con conseguente sviluppo di incendio e immobilizzando la nave”. Contemporaneamente le motrici si fermarono.

Il cacciatorpediniere fu poi nuovamente inquadrato da diversi proietti sparati dal nemico in rapida successione. Tuttavia, l’Espero continuò a combattere tenacemente, sebbene il suo armamento in efficienza fosse stato ridotto ai due soli cannoni del complesso prodiero, e le casse di munizioni stivate sul ponte stessero esplodendo.

Su questa fase drammatica della battaglia, nella quale è da ammirare il valore dell’intero equipaggio dell’Espero, le salve nemiche si succedevano l’una all’altra ininterrottamente contro l’immobile cacciatorpediniere, mietendo vittime sempre più numerose. Ciononostante continuò a rispondere al fuoco del Liverpool, che fu colpito in pieno da un proietto da 120 mm., senza però procurargli gravi danni. Con la distanza dall’Espero che stava rapidamente aumentando, gli incrociatori britannici ripresero la rotta di 240°, in modo da riportarsi alla distanza di tiro di 14.000 yard. Alle 20.00 fu scorto il cacciatorpediniere italiano ormai fermo e in procinto di affondare.

Allora, alle 20.10, concentrando l’attenzione sugli altri due cacciatorpediniere italiani, gli incrociatori della 1a Divisione accostarono su rotta 290° per mettere nuovamente in campo tutti i loro cannoni contro di essi. Dieci minuti dopo questa accostata il vice ammiraglio Tovey ordinò di interrompere il contatto, giustificandolo con il fatto “che la luce stava rapidamente decrescendo mentre il munizionamento cominciava a scarseggiare”.

Nella sua relazione Tovey mise in risalto che “per quanto la distanza fosse ridotta le ultime luci del crepuscolo non erano così buone per la visibilità come frequentemente avviene e che il nemico, che aveva un leggero vento di prora, fece un intelligente uso del fumo dei fumaioli che di quello dei nebbiogeni rendendo estremamente difficile sia il telemetraggio che la mira”.

Dopo aver lasciato la zona in cui si era svolto il combattimento e nel riprendere la rotta verso Malta, il Comandante della Forza A lasciò indietro il Sydney, che fu inviato a dare il colpo di grazia all’immobilizzato Espero, con la discrezione concessa al suo comandante, capitano di vascello Collins di fermarsi per recuperare i superstiti del cacciatorpediniere.

Il Sydney si avvicinò alla nave italiana fino a 6.000 yards (5.486 metri), e mantenne tale distanza perché l’Espero, continuando a far fuoco con complesso di prora, aveva sparato due salve contro l’incrociatore, cadute corte. L’incrociatore australiano, sempre mantenendo la distanza di 6.000 yards, rispose sparando quattro salve, di cui due proietti da 152 mm. furono visti colpire il bersaglio. Quindi il comandante John Agustine Collins ordinò di sospendere il fuoco, avendo constatato che il cacciatorpediniere era ormai innocuo, essendo in fiamme da prora a poppa. Fu a questo punto che l’incrociatore si avvicinò fino a una distanza di 2000 yards di poppa all’Espero, e alle 20.33 poté così vedere che l’equipaggio stava abbandonandolo. Alle 20.40 il cacciatorpediniere si capovolse e affondò di prora nel punto lat. 35°18’N, long. 20°12’E.

L’affondamento dell’Espero, era avvenuto dopo ben due ore di combattimento, nel corso del quale, oltre a lanciare i tre siluri, colpì il Liverpool, come abbiamo detto, con una granata da 120 mm e dopo aver accelerò la sua fino allagando i depositi munizioni. Il comandante Baroni, avendo ordinato di cessare il fuoco e di abbandonare la nave, aiutò l’equipaggio a mettersi in salvo sulle zattere di salvataggio. Quindi rifiutò di abbandonare la sua nave e affondò con essa. Per il modo con cui aveva impegnato il combattimento con un nemico nettamente superiore e per il suo spirito di sacrificio quando l’Esperto stava affondando, gli fu concessa una meritatissima Medaglia d’Oro alla memoria, il riconoscimento più alto per le Forze Armate italiane.

Dopo l’affondamento dell’Espero il Sydney ammainò le sue due imbarcazioni di salvataggio e dispose gli spezzoni di cima lungo i bordi della nave, facendo poi ogni sforzo generoso per recuperare i superstiti, che si trovavano a bordo dei battellini “Carley” o aggrappati ad essi, oppure a delle tavole di legno. L’incrociatore prese a bordo 47 uomini, dei quali 38 dell’equipaggio e 9 Camicie Nere. Purtroppo, tre dei marinai decedettero per le gravi ferite riportate nel combattimento. Il Sydney, che rimanendo immobile nella zona stava correndo un grande rischio, a causa della presenza dei sommergibili, nonostante i suoi sforzi non poté salvare altri naufraghi, perché non avvistati nell’oscurità della notte illuminata soltanto dai proiettori dell’incrociatore che scrutavano il mare senza luna, nero come la pece. Fu questa la sorte del “Carley” in cui avevano preso posto trentasei naufraghi. Le perdite umane dell’Espero aumentarono perché un altro dei tre “Carley”, anch’esso carico di naufraghi, fu centrato in pieno da un proiettile del Sydney, prima che all’incrociatore fosse ordinato di cessare il fuoco contro il cacciatorpediniere immobilizzato.

Fortunatamente per una parte di quegli uomini il Sydney, prima di allontanarsi per raggiungere gli altri incrociatori della Forza A, lasciò in mare una attrezzata imbarcazione di salvataggio, che poi permise il salvataggio di altri naufraghi di un “Carley”. A bordo di questo canotto, su cui si trovavano i feriti, mentre gli altri uomini vi si tenevano aggrappati immersi in acqua, i naufraghi trascorsero tre giorni. In questo tempo essi si assottigliarono di numero, perché il “Carley” ogni tanto, a causa del peso, affondava o si capovolgeva. Molti feriti annegarono e morirono per quella causa, altri non capivano più nulla, e altri, ancora, per la mancanza d’acqua, impazzirono letteralmente, come accadde all’ufficiale in seconda dell’Espero, tenente di vascello Giovanni Chiabrera. Poi, il quarto giorno di quel martirio, fu individuata l’imbarcazione del Sydney, e i superstiti, facendo notevoli sforzi riuscirono a raggiungerla e salirvi a bordo, per poi trascorrendovi altri undici terribili giorni alla deriva, vedendo morire di inedia un altro uomo.

Finalmente, il 12 luglio, i sei superstiti che durante tutto quel tempo aveva preso in mano la situazione, cercando di calmare gli uomini, distribuendo ordini e razionando la scorta d’acqua, furono avvistati e salvati dal sommergibile italiano Topazio (capitano di corvetta Emilio Berengan), che stava rientrando a Taranto da una missione di guerra. Il salvataggio si verificò con mare molto mosso. In seguito alle notizie giunte a Supermarina dai due cacciatorpediniere superstiti della 2a Squadriglia, che segnalarono di essere attaccati dalle navi britannici, alle ore 23.00 del 28 giugno la sezione torpediniere Pilo e Missori, che doveva andare a Tobruk, fu subito dirottata su Augusta.

Dopo che l'azione con i cacciatorpediniere italiani si era conclusa, alle 20.06 del 28 giugno gli incrociatori della Forza A ripresero la rotta per Malta. Ma, il combattimento sostenuto con le navi italiane, particolarmente sfavorite nel numero delle artiglierie (12 cannoni da 120 contro 48 da 152) comportò per gli incrociatori britannici un grosso consumo di munizionamento, poiché essi spararono nell’azione balistica ben 5.000 colpi da 152 mm; e ciò ridusse la scorte di quel calibro in Egitto ad appena 800 colpi. Avendo il Liverpool segnalato alle 20.06 di essere rimasto con soltanto 40 colpi da 152 mm, l’ammiraglio Cunningham, autorizzò il vice ammiraglio Pridham-Wippell ad annullare l’operazione M.A.3 per quanto concerneva i convogli di Malta. Conseguentemente, alle 0534 del 29 la 2a Divisione (Liverpool) fu distaccata dalla Forza A allo scopo di raggiungere Porto Said, per rifornirsi di munizioni.

Quindi l’azione contro l’Espero, che sollevò le recriminazioni di Cunningham, portò i britannici a conseguire questo inaspettato insuccesso, costringendoli a ripetere, con forze ancora maggiori, l’operazione, denominandola MA.5.

Le notizie sugli spostamenti navali britannici furono conosciute dai Comandi dell’Asse. Nel pomeriggio del 29 giugno il Servizio Informazione della Marina Italiana (5a Sezione Intercettazioni Estere) decrittò vari messaggi britannici, dai quali appariva che i quattro cacciatorpediniere britannici Jervis, Dainty, Decoy e Voyager stavano dirigendo verso Malta, per ricongiungersi a un convoglio. Tra i quattro cacciatorpediniere mancava solo l’Ilex. Altre importanti notizie, giunte a Maristat confermate dal Servizio Informazioni della Marina Germanica a Berlino (B-dienst), indicavano che La Forza C doveva riunirsi all’Ammiraglio della 1a Squadra da Battaglia, che l’operazione M.A.3 doveva essere rinviata, e che la 1a Divisione doveva rientrare ad Alessandria e la 2a Divisione dirigere con urgenza a Porto Said, per rifornirsi di munizioni. Erano notizie della massima importante, da sfruttare subito ai fini operativi, conseguite a Roma e Berlino grazie alla decrittazione dei messaggi in codice trasmessi dal Comando della Mediterranean Fleet. Ma in particolare le informazione facevano presumere che il nemico avrebbe fatto un altro tentativo per portare via da Malta un convoglio, e che quindi ci sarebbe stata un’altra importante operazione britannica.

In effetti, l’aver rimandato la partenza dei due convogli da Malta; costrinse l’ammiraglio Cunningham a pianificare la nuova operazione MA.5, che comporto di impiegare forze maggiori di quelle assegnate alla M.A.3, poiché il numero delle corazzate fu portato da due a tre, scegliendo quelle più efficienti: Warspite, Malaya e Royal Sovereign. Fu una decisione opportuna da parte del Comandante della Mediterranean Fleet, poiché nel pomeriggio del 9 luglio 1940 quelle tre navi da battaglia, in particolare la Warspite, furono determinanti nell’affrontare con successo la flotta italiana al largo delle coste della Calabria (Battaglia di Punta Stilo). Il combattimento si risolse con il danneggiamento della corazzata Giulio Cesare, dell’incrociatore Bolzano e leggermente del cacciatorpediniere Alfieri, e con la ritirata delle navi italiane, che purtroppo, per errato riconoscimento, si svolse sotto gli attacchi dei bombardieri della Regia Aeronautica, fortunatamente risultati imprecisi.

L’episodio di Punta Stilo è importante perché rappresenta nella storia il primo scontro navale della Regia Marina contro la Royal Navy, e l’unico combattuto tra corazzate italiane e britanniche.

Sul combattimento degli incrociatori della Forza A contro i cacciatorpediniere italiani del gruppo “Espero”, la Sezione Storica dell’Ammiragliato britannico ha scritto:

"Questa azione offrì un chiaro esempio di una mancanza di esperienza degli italiani nella guerra sul mare. La tattica normale in un occasione come quella, per i tre cacciatorpediniere che avvistarono in ritardo uno dei cinque incrociatori, sarebbe stata di disimpegnarsi per poi affrontarli effettuando un attacco nelle ore notturne. Invece si sono disimpegnati a grande velocità, sebbene possedessero abbondanza combustibile, per raggiungere immediatamente Bengasi. Tuttavia essi hanno affrontato un combattimento sfavorevole alla luce del giorno contro forze nettamente e potenzialmente superiori (12 cannoni da 120 mm. contro 48 da 152".

Questa tesi e condivisa anche dal generale I.S.O. Playfair. Tuttavia, pur considerando il combattimento degli italiani “certamente coraggioso”, il famoso storico britannico e in particolare il suo collaboratore navale capitano di vascello F.C. Flynn, commettendo un’ingiustizia, né criticarono il comportamento asserendo: “ma, con il loro vantaggio di velocità, essi avrebbero fatto meglio ad invertire subito la rotta, seguire da lontano il nemico per poi attaccarlo con i siluri durante la notte”.

Le critiche dell’Ammiragliato britannico e di Playfair nei confronti dei cacciatorpediniere italiani, appaiono ingiuste. Essi trasportavano uomini, armi e munizioni a Tobruk e dovevano, assolutamente, evitare un qualsiasi combattimento con navi da Guerra britanniche, di giorno e di notte.

Più onesto appare, invece, il commento dello storico statunitense James J. Sakdovich:

"Di quello scontro si sarebbe potuto dire di tutto, ma non certo che fu la prova di una marina “supina” o di una incontestabile superiorità britannica".

Francesco Mattesini

15 Ottobre 2016


BIBLIOGRAFIA

AUSMM (Archivio Ufficio Storico della Marina Militare), “Affondamento Ct. Espero”, Scontri Navali e Operazioni di Guerra, b. 2/Bis.

AUSMM, “Esame comparativo delle Relazioni Ufficiali”, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 2/Bis.

AUSMM, “Relazione su uno scontro avvenuto il 28 giugno 1941 nel Mediterraneo orientale”, della Sezione Storica dell’Ammiragliato britannico, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 2/Bis.

AUSMM, Historical Section Admiralty, Mediterranean, Volume I, Londra, 1952, p. 25 sg.

USMM, I sommergibili in Mediterraneo (compilatore cap. di vasc. Marcello Bertini), Tomo I,

AUSMM, “Relazione d’Inchiesta della C.I.S. sulla perdita del C.T. “ESPERO”, Commissione d’Inchiesta Speciale (C.I.S.).AUSMM, “Affondamento del Ct Hespero 28 Giugno 1940”.

ASMAUS (Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico), Decrittazioni trasmesse dal SIS (Servizio Informazioni Marina - Maristat) GAM 18, b. 291

Francesco Mattesini, “L’attività dei Sommergibili e dei Cacciatorpediniere Italiani nel Mediterraneo Orientale nel primo anno di guerra", Prima Parte 15 – 30 giugno 1940; Seconda Parte 29 giugno – dicembre 1940, in Bollettino d’Archivio della Marina Militare, Marzo e Giugno 2008.

I.S.O. Playfair, Mediterranean and Middle East, Volume I, cit., p. 149.

James J. Sakdovich; La Marina italiana nella seconda Guerra mondiale, (dall’inglese The Italian Navy in World War II - traduzione di Augusto De Toro), LEG, Gorizia, 206.

G. Hermon Gill, Royal Australian Navy 1939-1942, Camberra, Australian War Memorial, 1957, p. 165


___________________________

Collegamenti esterni modificati[modifica wikitesto]

Gentili utenti,

ho appena modificato 1 collegamento/i esterno/i sulla pagina Espero (cacciatorpediniere 1927). Per cortesia controllate la mia modifica. Se avete qualche domanda o se fosse necessario far sì che il bot ignori i link o l'intera pagina, date un'occhiata a queste FAQ. Ho effettuato le seguenti modifiche:

Fate riferimento alle FAQ per informazioni su come correggere gli errori del bot

Saluti.—InternetArchiveBot (Segnala un errore) 06:13, 24 set 2017 (CEST)[rispondi]

Collegamenti esterni modificati[modifica wikitesto]

Gentili utenti,

ho appena modificato 1 collegamento/i esterno/i sulla pagina Espero (cacciatorpediniere 1927). Per cortesia controllate la mia modifica. Se avete qualche domanda o se fosse necessario far sì che il bot ignori i link o l'intera pagina, date un'occhiata a queste FAQ. Ho effettuato le seguenti modifiche:

Fate riferimento alle FAQ per informazioni su come correggere gli errori del bot

Saluti.—InternetArchiveBot (Segnala un errore) 22:53, 30 nov 2017 (CET)[rispondi]