Discussione:Cellamare

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Il materiale contestato è in realtà stato redatto da tutta la comunità di Cellamare, per cui può essere pubblicato su Wikipedia senza alcun problema. Ne cediamo la licenza. Prego dunque di rimuovere il blocco e ripristinare la cronologia.

Finalmente un paese in cui gli abitanti aumentano....

Voce da migliorare[modifica wikitesto]

Ho cominciato a riordinare gli argomenti trattati nella voce. Bisogna che sia seguita, in tutte le voci riguardanti i comuni italiani (e Cellamare non deve fare eccezione), una falsariga uguale per tutti (vedi p.e. Progetto:Geografia/Antropica/Comuni/Descrizione).

Ho tolto i servizi utili e le associazioni di volontariato, così come gl'indirizzi dei campi sportivi (ma ho mantenuto i recapiti delle scuole, anche se...): Wikipedia è un'enciclopedia, non una guida per il cittadino di Cellamare.

C'è ancora molto lavoro da fare... --Tener (msg) 23:35, 14 lug 2008 (CEST)[rispondi]

Alcuni punti da chiarire[modifica wikitesto]

Televisione via cavo[modifica wikitesto]

Che cosa s'intende per "televisione via cavo" (sezione "Curiosità", peraltro se possibile da evitare)?

Sarebbe il caso di specificare! --Tener (msg) 00:08, 15 lug 2008 (CEST)[rispondi]

Cocevole: ambiguità[modifica wikitesto]

«essendo la zona più bassa di quelle circostanti» (...) «Inoltre, la zona Cocevole è più alta delle altre». Bisogna decidersi: questa Cocevole era più in basso o più in alto delle zone circostanti? --Tener (msg) 01:04, 15 lug 2008 (CEST)[rispondi]

Stemma comunale: cosa significa e da dove trae le sue origini?[modifica wikitesto]

A parte il fatto che l'enciclopedia Pomba non l'ha scritta il sig. Pomba (poi perché ne parlerebbe "ufficialmente"? non è mica la Gazzetta Ufficiale!) e si poteva se mai fare riferimento alla relativa voce di Wikipedia (o anche a questa voce): a parte ciò, il capitoletto spiega per bene che cosa sono le sirene, ma, contrariamente al suo titolo, non spiega da dove trae le sue origini lo stemma di Cellamare (perché rappresenta proprio una sirena??). --Tener (msg) 01:25, 15 lug 2008 (CEST)[rispondi]

a proposito dell'origine del nome Cellamare. Potrebbe, diversamente da come viene interpretato, derivare dalle parole romane "cella ad marem" indicando in tal modo ai legionari romani in transito sulla via Appia per Brindisi, la disponibilità di approvvigionarsi di cibo, presso una cella, appunto, rivolta verso il mare e che, col trascorrere del tempo e l'evoluzione linguistica trasformata in Cellamare. Tra l'altro vi è una piazza nella cittadina, ora Piazza Risorgimento, definita nel dialetto locale "sop all'ar"(sopra all'ara)che potrebbe essere stata sede di un'antico magazzino.(giovanni 28/08/2009)

Articolo del 22[modifica wikitesto]

Lungo articolo che era stato inserito in voce, non si può considerare una citazione, anche se ha più di 90 anni credo sia ancora protetto da copyright (70 anni dalla morte dell'autore se non erro), e comunque dovrebbe andare in Wikisource--Bultro (m) 12:35, 17 set 2015 (CEST)[rispondi]

La storia (da un articolo di M. Saraceno edito su "La sera del Corriere delle Puglie" il 14 maggio 1922)

La storia della minuscola Celi Amor, o Cella Amoris, come fu chiamata più tardi e Cellamare, come chiamasi oggigiorno, oltre a presentare più o meno quell'interesse che tutte le storie particolari della città hanno per lo studioso di cose patrie, racchiude, noi crediamo, un interesse veramente speciale per il filologo: l'origine del nome, o meglio la trasformazione del nome. Dall'esame etimologico della parola Cellamare, balza, come vedremo, quasi intera la storia del comunello della città metropolitana di Bari. Il primo documento in cui è nominato Cellamare (Cellamarii) per quanto consti a noi, è del 1171. È uno statuto della Città e terre appartenenti alla archidiocesi di Bari, compilato dallo stesso Arcivescovo Rainaldo. Bisogna però notare che dalla Bolla di Papa Alessandro III dello stesso anno (III kal. Julii, V. indictio), sul medesimo oggetto, non è segnata Cellamare. Ciò vuol dire che questo paese era del tutto trascurabile e affatto sconosciuto alla Curia Romana. Difatti dagli storici baresi sappiamo che Cellamare era formata, a quei tempi, da una villa di proprietà degli arcivescovi di Bari, circondata da misere capannelle, abitate da pastori e da contadini che lavoravano le terre circostanti, appartenenti pure alla stessa mensa arcivescovile. Questa villa situata ad un miglio a sud di Capurso, chiamavasi prima del 1171 Celi Amor o Cella Amoris, come risulta da altri autori. In essa, secondo il Beatillo, il Cerri, e il Garruba, gli arcivescovi Baresi passavano i mesi più caldi dell'anno. E noi non stentiamo a credere che, per l'aria salubre che ivi si respira, per il clima temperato che vi si gode, per l'amena posizione su cui è messa e per la verdeggiante campagna che la circonda, Cellamare non sia stata in quei tempi degna di tal nome ammaliante: Celi Amor. Ma purtroppo, giorni di scorno eterno e di beffe atroci si maturavano per la piccola borgata. Era arcivescovo di Bari Giovanni V, consacrato da Papa Eugenio III il 12 febbraio 1151, quando scese in Puglia Guglielmo il Malo, Re di Sicilia, il quale dopo aver distrutto parecchie città pugliesi, come Gioia del Colle, Bitetto, ecc., si avviò alla volta di Bari con sanguinosi intendimenti, perché i Baresi avevano dato man forte al Conte Loritello e a Roberto di Basville, nemici di lui; perché avevano accolto nella loro città il Paleologo greco, comandante le truppe greche, e perché infine avevano distrutto il regio castello. Marciando così adirato il Re alla volta di Bari, continua il Garruba, i cittadini certamente ad insinuazione di Giovanni, uscirono ad incontrarlo senz'armi, ed in abito di penitenza chiedendo misericordia. Ma altro non ottennero se non lo spazio di due giorni per uscire di città con quanto potevano trasportare. Dopo di che, spianate prima le mura, la nostra Bari, sì ricca, sì popolata, sì celebre fu ridotta in un mucchio di pietre, che il popolo disperse nei luoghi circostanti. L'afflitto nostro Giovanni si ridusse con buona porzione del clero e con qualche altro della città in una villa detta Cella di Amore. Se l'indole di questa breve monografia ce lo permettesse noi ci proveremmo a ricostruire le peripezie ora tragiche ora buffe che certamente saranno accadute durante il viaggio a quella tipica comitiva che si recava in esilio dopo essere sfuggita per miracolo alle unghie di Guglielmo il Malvagio, e ci sforzeremmo di riferire i soliloqui e i dialoghi aggirantisi, forse intorno al destino serbato loro dalla nuova residenza, che i vari personaggi, dall'afflitto Giovanni all'opulento Canonico cantore, dallo smilzo primicerio, al rubicondo confessore del monastero, avran potuto fare, durante il penoso cammino. Noi ci asteniamo dal far ciò e lasciamo che la fantasia del benevolo lettore si sbizzarrisca a suo talento. Gli facciamo solo considerare che quei poveri reverendi, dopo le terribili notizie avute per parecchio tempo delle atrocità commesse dalle soldatesche di Guglielmo nelle altre città, dopo la tremarella provata nel sentire che quei diavoli di normanni col loro satanasso alla testa erano già alle porte di Bari, dopo lo spavento provato nel vederseli davanti in carne ed ossa duri alle loro preghiere, pronti ad abbattere la loro patria e a commettere ogni sorta di atrocità, non avranno avuto altro pel capo che di fuggire lontano per salvarsi la pelle. Perciò l'invito rivolto loro dall'Arcivescovo Giovanni giunse in buon punto e li rassicurò e li consolò, tanto più che il loro soggiorno aveva il più seducente, il più affascinante dei nomi: Celi Amor. Di leggeri si immaginerà che la loro fantasia percorreva o pregustava la tranquillità le dolcezze l'incantesimo della nuova vita! Siamo giusti: dopo quel po' di ben di Dio, avevan veramente bisogno di pace e di quiete. Ma, poiché come abbiamo detto sin da principio, Cellamare in quei tempi era composta della villa dello arcivescovo e di qualche capanna di pastore o di contadino, il lettore immaginerà anche facilmente che per i numerosi ospiti (buona parte del clero e qualche altro della città – certamente nobile – pensiam noi) saranno state addirittura insufficienti le abitazioni trovate disponibili. E difatti sappiamo dal Cerri che l'Arcivescovo Giovanni fece costruire delle altre case: "domus construi fecit". Ma non dice quando furono edificate queste case se cioè prima dell'arrivo dei profughi o dopo, quando se ne vide il bisogno. Noi siamo per quest'ultima ipotesi e allora, fin a quando le case non saranno state pronte, come avran fatto a stare tutti nella vecchia villa? E dopo la costruzione delle nuove stanze saranno stati contenti i malcapitati fuggiaschi baresi di vivere in ambienti fatti di fresco e perciò umidi? Tutte queste considerazioni ci inducono a credere che il luogo di rifugio offerto loro dall'arcivescovo non rispondeva alle esigenze anche modeste della comitiva, e che molti, se non proprio tutti, avranno cominciato a mormorare contro l'"Amore" di quella "Cella", che avran trovato troppo fredda e non conforme a quanto si aspettavano. A questa situazione troppo amara, se ne aggiunse un'altra di capitale importanza. Che provviste avran potuto avere quei pastori, quei contadini in tempi calamitosi? Né, pensiamo, sarà mancato il caso di fare assegnamento sulla campagna, che era deserta, devastata ed ammiserita dalle continue scorrerie dei soldati stranieri. Perciò i reverendi, noi temiamo forte avran sofferta, oltre ai mille disagi della vita di profughi, anche la fame! Giunte le cose a tal punto, i fuggiaschi baresi, noi crediamo, non avranno avuta che una idea: vendicarsi contro la Cella d'Amore, causa di tante sciagure. E per vendetta avranno cambiato il seducente, l'ammaliante, l'ingannevole nome al misero villaggio e gli avranno imposto il nuovo di Cella Amaris. E ne avevan per bacco, un sacco ed una sporta di ragioni! Qui il nostro lettore potrebbe osservarci: le vostre ipotesi (e di fatti sono ipotesi) non reggono; noi vogliamo fatti accertati. Dove sono i documenti storici? Noi a tale domanda rispondiamo che sfortunatamente documenti, non ve ne sono, e, meglio, non ne abbiamo potuto trovare. Forse qualche notizia avremmo potuto ricavare da quel mucchio di carte antiche che, in pascolo ai topi esistevano nella soffitta di quella casa comunale, e che dall'autorità Sindacale di parecchi anni fa non ci fu permesso neanche di toccare. Ma, se mancano i documenti, le considerazioni che andremo facendo vogliamo sperare riusciranno a trascinare il benevolo lettore nel campo della nostra tesi: è fatto certo che all'epoca della distruzione di Bari e della conseguente emigrazione dei preti e nobili baresi, l'odierna Cellamare nominavasi Cella Amoris come fanno fede il Beatillo e il Garruba.

Nello statuto dell'Arcivescovo Rainaldo nell'anno 1171 cioè quindici anni dopo la distruzione di Bari questa piccola terra è chiamata col nuovo nome Cellammarii, nome già riconosciuto come il più appropriato ad essa. Lo stemma di Cellamare è – a nostro avviso – la conferma più convincente di quanto abbiamo esposto. Esso rappresenta una sirena in mezzo al mare, sormontata dalle parole Celi Amor. Si sa da tutti che le sirene erano delle deità mitologiche, dotate di rara bellezza, le quali, col loro melodioso canto, attiravano i naviganti, che poi facevano morire. Noi crediamo che negli involontari digiuni e astinenze, nelle lunghe e scomode veglie, i canonici baresi, gente letterata e forse dotta in mitologia avrà detto: anche Celi Amor è una sirena. Col suo nome ammaliante, attraente (e per ciò scritto a caratteri cubitali sulla parte più alta dello stemma) ci ha dapprima adescati e poi ingannati condannandoci a morire di fame e di disagi. Ed ecco la sirena a simboleggiare l'inganno patito dai profughi baresi. Che Cellamare nel 1156 sia stata tanto amara che poco più è morte, è facile desumerlo da ciò che è oggigiorno nel secolo XX, nel secolo dell'elettricità e dei dirigibili. E diciamo ciò senza la minima idea di offendere il popolo di Cellamare, che per la sua laboriosità per la sua ospitalità e per la sua bontà è degno di stima e simpatia.

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