Chiesa di San Maffio

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Chiesa di San Maffio
Dettaglio con la chiesa e il convento di San Maffio nella mappa di Jacopo de' Barbari, 1500
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneVeneto
LocalitàMurano (Venezia)
IndirizzoCampiello San Maffio, 4
Coordinate45°27′31.23″N 12°21′35.63″E / 45.458676°N 12.359897°E45.458676; 12.359897
Religionecattolica di rito romano
TitolareMatteo
OrdineBenedettini
Diocesi Torcello
Consacrazione1280
Sconsacrazione1810
FondatoreMarina Malipiero, Marchesina Soranzo e Donata Vitturi
Demolizione1830

La Chiesa e il convento di San Maffio (San Matteo evangelista) era un complesso monastico di religiose benedettine situato al margine settentrionale dell'isola Navagero di Murano, sottoposto alla giurisdizione della diocesi di Torcello.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1280 tre nobili vedove veneziane, Marina Malipiero, Marchesina Soranzo e Donata Vitturi, decisero di ritirarsi a vita monastica seguendo la regola di Benedetto e acquistarono un terreno della chiesa matrice di San Donato dove pare esistesse già una chiesuola dedicata all'evangelista. Ottenuta rapidamente l'autorizzazione dal vescovo torcellano Egidio Gallucci con l'obbligo del censo annuale di due ampolle di vino e di ossequio alla chiesa matrice, iniziarono la costruzione presto poterono entrare nel nuovo cenobio[1].

Dopo un lungo periodo di esemplare virtù religiosa i costumi del convento decaddero e la badessa Marina Celsi visti vani i suoi tentativi di riforma lo abbandonò per fondare nel 1481 il nuovo monastero intitolato ai Santi Cosma e Damiano alla Giudecca.

Nel 1690 la chiesa venne rifabbricata dalla badessa Maria Adorna Valergia.

Nel 1806 furono trasferite in questo convento le monache di Sant'Antonio Abate di Torcello ma nel 1810 anche il monastero muranese venne soppresso a seguito dei decreti napoleonici.

La chiesa venne spogliata e successivamente il complesso fu demolito tra il 1830 e il 1840.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Oggi soltanto la modesta facciata della chiesa trasformata in abitazioni resta a ricordare l'antico monastero nel campiello chene conserva il nome.

Qualche informazione ci proviene dalle relazioni di alcune visite pastorali che descrivono al chiesa ad aula unica, orientata a est e impreziosita da affreschi inoltre che nel convento esistevano diverse celle per le monache e un unico dormitorio comune per le converse[2]. Si narra altrove anche che all'interno vi fosse stata una pala di Tintoretto e che sempre il Robusti avesse dipinto la volta del presbiterio[3]. Tuttavia già forse nella prima metà del seicento il soffitto era stato affrescato dal bresciano Domenico Bruni e successivamente le guide di Boschini e Zanetti ricordano soltanto una Fuga in Egitto di Carlo Ridolfi e il Martirio di santa Caterina che essi attribuivano a uno dei Varotari[4][5] ma che, se corrispondente ad una delle opere consegnate al parroco di Maser, in un documento di accompagnamento del 1839 viene semplicemente descritto di scuola del Veronese[6].

Oltre a questo ci è noto che alcune delle pietre tombali di nobili sepolture sono state trasferite al seminario patriarcale, dove sono ancora[7].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Corner 1758, p. 645.
  2. ^ Vecchi 1984, p. 40.
  3. ^ Zorzi 1984/2, p. 282.
  4. ^ Boschini 1674, Sestier della Croce, p. 33; Zanetti 1733, p. 454.
  5. ^ Zorzi prova ad identificare questo Varotari con Dario, ma non specifica se parl del Vecchio o del Giovane; cfr. Zorzi 1984/2, p. 282.
  6. ^ Gaggiato 2019, p. 292.
  7. ^ Gaggiato 2019, p. 293.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Marco Boschini, Le ricche miniere della pittura veneziana, Venezia, Francesco Nicolini, 1674, Sestier della Croce, p. 33.
  • Antonio Maria Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della citta' di Venezia e isole circonvicine: o sia Rinnovazione delle Ricche minere di Marco Boschini, colla aggiunta di tutte le opere, che uscirono dal 1674. sino al presente 1733., Venezia, Pietro Bassaglia al segno della Salamandra, 1733, p. 454.
  • Flaminio Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane, e torcellane, Padova, Giovanni Manfré, 1758, pp. 645-646.
  • Alvise Zorzi, Venezia scomparsa, 2ª ed., Milano, Electa, 1984 [1972], p. 282.
  • Martina Vecchi, Chiese e monasteri medioevali scomparsi della laguna superiore di Venezia, Roma, "L'Erma" di Bretscneider, 1983, p. 40.
  • Alessandro Gaggiato, Le chiese distrutte a Venezia e nelle isole della Laguna, Venezia, Supernova, 2019, pp. 291-293, ISBN 978-88-6869-214-8.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]