Battaglia di Fidene (VII secolo a.C.)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Battaglia di Fidene
(VII secolo a.C.)
parte guerre romano-etrusche
Il territorio della città di Fidenae nel VI secolo a.C. (in giallo)
DataDurante il regno di Tullo Ostilio
LuogoFidene
EsitoVittoria romana
Schieramenti
Comandanti
Tullo OstilioSconosciuto
Voci di battaglie presenti su Wikipedia

La battaglia di Fidene si svolse negli anni del regno di Tullo Ostilio, tra l'esercito romano, guidato dallo stesso monarca, alleato all'esercito albano guidato da Mezio Fufezio, e i Fidenati alleati ai Veienti. I Romani ebbero la meglio.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Alba Longa, a seguito del leggendario scontro tra Orazi e Curiazi, era stata appena sottomessa[1], che già gli albani tramavano contro Roma.[2]

«Gli abitanti di Fidene, colonia romana, e quelli di Veio (che erano stati messi a parte dei loro piani) vengono spinti a dare il via alle ostilità con la promessa di poter contare sull'appoggio di Alba durante il conflitto.»

Fidene entrò in guerra contro Roma, seguita dagli alleati Veienti. Mezio, su richiesta di Tullo, portò i propri soldati in battaglia, nascondendo le proprie vere intenzioni.[2]

La battaglia[modifica | modifica wikitesto]

La battaglia si svolse nel territorio di Fidene, alla confluenza tra Tevere ed Aniene. I Veienti si schierarono avendo il Tevere al fianco, con i Fidenati alla sinistra; i Romani fronteggiarono i Veienti, e gli Albani i Fidenati. La battaglia ebbe inizio, con i Romani che impegnavano i Veienti mentre il re albano, che cercava di prender tempo, si diresse verso la montagna, lasciando così scoperto il fianco dell'esercito romano.[2]

«Il suo [di Mezio] piano era questo: scendere in campo dalla parte di chi stava avendo la meglio.»

Tullo Ostilio si accorse della manovra degli albani avvertito da un cavaliere, e dopo aver incoraggiato i propri soldati, gridò al cavaliere, in modo che potesse essere udito tra quanti tra i nemici conoscevano il latino, che si era trattato di un suo ordine per prendere i Fidenati alle spalle. La mossa ebbe successo e i Fidenati, per evitare che gli Albani impedissero un'eventuale ritirata all'interno delle mura della città, iniziarono ad indietreggiare. I Romani però presero a impegnare i Fidenati, sconfiggendoli, per poi rivolgersi verso i Veienti, che scoraggiati dalla sconfitta degli alleati cercavano di scappare, guadando il Tevere. I Romani avevano vinto lo scontro.[2]

«Quando arrivarono lì, alcuni, gettando ignominiosamente le armi, si buttavano in acqua alla cieca, altri, attardatisi sulla riva, nell'indecisione tra il fuggire e il combattere, si facevano uccidere. In nessuna battaglia precedente i Romani versarono così tanto sangue.»

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Vinta la battaglia, Tullo Ostilio invitò gli Albani a condividere lo stesso accampamento, per i festeggiamenti. Ma quando gli Albani vi entrarono disarmati, per assistere all'assemblea pubblica di ringraziamento, Tullo Ostilio li fece circondare dai propri soldati armati, e pronunciò un discorso, in cui accusò Mezio Fufezio di tradimento.[3]

«Mezio Fufezio, se tu fossi in grado di apprendere la lealtà e il rispetto dei trattati, ti lascerei in vita e potresti venire a lezione da me. Ma siccome la tua è una disposizione caratteriale immodificabile, col tuo supplizio insegna al genere umano a mantenere i sacri vincoli che hai violato. Pertanto, come poco fa la tua mente era divisa tra Fidene e Roma, ora tocca al tuo corpo essere diviso.»

Mezio Fufezio morì squartato, Alba Longa fu distrutta, e i suoi abitanti portati a Roma.[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]