Appio Claudio Crasso

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Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo tribuno consolare del 424 a.C., vedi Appio Claudio Crasso (tribuno consolare 424 a.C.).
Appio Claudio Crasso
Tribuno consolare della Repubblica romana
Nome originaleAp. Claudius Crassus
GensClaudia
Tribunato consolare403 a.C.

Appio Claudio Crasso (in latino Appius Claudius Crassus; ... – ...; fl. V secolo a.C.) è stato un politico e militare romano.

Tribunato consolare[modifica | modifica wikitesto]

Nel 403 a.C. fu eletto tribuno consolare con Manio Emilio Mamercino, Lucio Valerio Potito, Marco Quintilio Varo, Lucio Giulio Iullo, Marco Furio Fuso[1].

«Dopo essersi assicurati la pace sugli altri fronti, Romani e Veienti erano pronti allo scontro con un accanimento e un odio reciproco tali che era chiaro sarebbe stata la fine per chi ne fosse uscito sconfitto.»

Mentre i Romani assediavano Veio, costruendo terrapieni, macchine d'assedio (vinea, torri e testuggini), fortini per controllare il territorio, i Veienti videro frustrati i tentativi di coinvolgere le altre città etrusche nella guerra contro Roma.

Si giunse così all'inverno, con la straordinaria decisione di mantenere l'esercito in armi ad assediare Veio, per impedire che tutte le opere realizzate e tutti i progressi realizzati fossero vanificati dai Veienti, per l'abbandono del teatro di guerra (fino ad allora durante i mesi autunnali ed invernali le campagne militari venivano sospese, ed i soldati-cittadini tornavano in città per seguire le loro normali occupazioni).

La decisione trovò la ferma opposizione dei tribuni della plebe.

«Era stata messa in vendita la libertà della plebe: i giovani, tenuti in continuazione lontani dalla città ed esclusi dalla partecipazione alla vita politica, ormai non si ritiravano più nemmeno di fronte all'inverno e alla cattiva stagione, né tornavano a vedere le proprie abitazioni e i propri averi. Quale pensavano fosse la causa di un servizio militare che durava all'infinito?»

Solo l'intervento di Appio Claudio Crasso, che con le sue celebri orazioni contrastava la polemica dei tribuni[2] ed un'improvvisa sortita dei veienti, per distruggere le opere d'assedio romane[3],riuscì a riportare la concordia tra gli ordini sociali, e a far accettare come necessaria la decisione di mantenere l'esercito in armi anche per l'inverno.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 1, cita 8 consoli per l'anno; M'. Aemilius Mamercus iterum L. Valerius Potitus tertium Ap. Claudius Crassus M. Quinctilius Varus L. Iulius Iulus M. Postumius M. Furius Camillus M. Postumius Albinus.
  2. ^ Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,3-6
  3. ^ Tito Livio,Ab Urbe Condita, V,7

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Fasti consulares Successore
Manio Sergio Fidenate, Gneo Cornelio Cosso II,
Gaio Valerio Potito Voluso, Cesone Fabio Ambusto,
Publio Cornelio Maluginense e Spurio Nauzio Rutilo III
(403 a.C.)
con Manio Emilio Mamercino II, Lucio Valerio Potito III, Marco Quintilio Varo, Lucio Giulio Iullo, Marco Furio Fuso
Gaio Servilio Strutto Ahala III, Quinto Servilio Fidenate,
Lucio Verginio Tricosto Esquilino, Quinto Sulpicio Camerino Cornuto,
Aulo Manlio Vulsone Capitolino II, Manio Sergio Fidenate II