Assiriologia: differenze tra le versioni

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La conoscenza delle [[lingue semitiche]] si rivelò fondamentale per l'interpretazione delle lingue mesopotamiche e vicino-orientali in genere. Il [[Lingua fenicia|fenicio]] fu, ad esempio, decifrato nel XVIII secolo attraverso un'iscrizione bilingue su un cippo proveniente da Malta. Le diverse lingue composte in scrittura cuneiforme (o "cuneata", come si diceva un tempo<ref name=teloni/>) furono invece interpretate assai dopo, grazie a testi trilingui provenienti dalla Persia e, in particolare, da [[Persepoli]], testi che in parte erano già giunti in schizzi e riproduzioni a partire dal XVII secolo.<ref name=amiet8/> Si ha notizia di un frate agostiniano, [[Antonio de Gouvea]], inviato in Persia da [[Filippo III di Spagna|Filippo III di Spagna e Portogallo]] nel 1602, che redasse una relazione del proprio viaggio, stampata a Lisbona nel 1611, in cui descriveva segni misteriosi scolpiti sui monumenti di Cihilminār (Persepoli). Fu forse a [[Naqsh-i Rustem]] che i fratelli Giambattista e Girolamo Vecchietti ebbero modo, nel 1606, di constatare la presenza di "scritture d'intagliamenti" su alcune rovine.<ref name=teloni/> Il diplomatico spagnolo [[García de Silva y Figueroa]], che nel 1618 si trovava a Persepoli, riportò di aver visto alcune lettere a foggia di piramidi o obelischi e ordinò che una linea fosse copiata. Il patrizio romano [[Pietro della Valle]], che viaggiò in Oriente tra il 1614 e il 1626, si trovò sulla terrazza di Cihilminār il 13 ottobre 1621 e copiò con qualche inesattezza cinque segni di un carattere "ignoto" (era scrittura cuneiforme), che riportò in una lettera inviata da [[Shīrāz]] otto giorni dopo e pubblicata nel 1658. È forse questa la più antica trascrizione di segni persepolitani giunta in Europa.<ref name=teloni/> Fu sempre Pietro della Valle, nel 1616, a riconoscere i resti di [[Babilonia (città antica)|Babilonia]] e a descriverli nei suoi scritti. Al ritorno dal suo viaggio in Oriente, della Valle portò con sé dei mattoni inscritti, raccolti a Babilonia e in quel luogo che gli Arabi chiamavano Tal al Muqayyar (l'antica città di [[Ur]]). Questi resti rappresentano i primi esemplari di scrittura cuneiforme a raggiungere l'Europa.<ref name=kramer7/>
La conoscenza delle [[lingue semitiche]] si rivelò fondamentale per l'interpretazione delle lingue mesopotamiche e vicino-orientali in genere. Il [[Lingua fenicia|fenicio]] fu, ad esempio, decifrato nel XVIII secolo attraverso un'iscrizione bilingue su un cippo proveniente da Malta. Le diverse lingue composte in scrittura cuneiforme (o "cuneata", come si diceva un tempo<ref name=teloni/>) furono invece interpretate assai dopo, grazie a testi trilingui provenienti dalla Persia e, in particolare, da [[Persepoli]], testi che in parte erano già giunti in schizzi e riproduzioni a partire dal XVII secolo.<ref name=amiet8/> Si ha notizia di un frate agostiniano, [[Antonio de Gouvea]], inviato in Persia da [[Filippo III di Spagna|Filippo III di Spagna e Portogallo]] nel 1602, che redasse una relazione del proprio viaggio, stampata a Lisbona nel 1611, in cui descriveva segni misteriosi scolpiti sui monumenti di Cihilminār (Persepoli). Fu forse a [[Naqsh-i Rustem]] che i fratelli Giambattista e Girolamo Vecchietti ebbero modo, nel 1606, di constatare la presenza di "scritture d'intagliamenti" su alcune rovine.<ref name=teloni/> Il diplomatico spagnolo [[García de Silva y Figueroa]], che nel 1618 si trovava a Persepoli, riportò di aver visto alcune lettere a foggia di piramidi o obelischi e ordinò che una linea fosse copiata. Il patrizio romano [[Pietro della Valle]], che viaggiò in Oriente tra il 1614 e il 1626, si trovò sulla terrazza di Cihilminār il 13 ottobre 1621 e copiò con qualche inesattezza cinque segni di un carattere "ignoto" (era scrittura cuneiforme), che riportò in una lettera inviata da [[Shīrāz]] otto giorni dopo e pubblicata nel 1658. È forse questa la più antica trascrizione di segni persepolitani giunta in Europa.<ref name=teloni/> Fu sempre Pietro della Valle, nel 1616, a riconoscere i resti di [[Babilonia (città antica)|Babilonia]] e a descriverli nei suoi scritti. Al ritorno dal suo viaggio in Oriente, della Valle portò con sé dei mattoni inscritti, raccolti a Babilonia e in quel luogo che gli Arabi chiamavano Tal al Muqayyar (l'antica città di [[Ur]]). Questi resti rappresentano i primi esemplari di scrittura cuneiforme a raggiungere l'Europa.<ref name=kramer7/>


Un agente della [[Compagnia britannica delle Indie orientali|Compagnia delle Indie orientali]], Samuel Flower, mercante ad Aleppo, in alcune sue carte non datate, riportò dei segni che, secondo quanto da lui affermato, aveva copiato a Persepoli nel 1667. Flower non sapeva se attribuire tali segni misteriosi ai "Guebri" (Parsi). Le carte con i segni, alla morte del mercante, finirono in mano a Francis Aston, che le pubblicò nel giugno del 1693 tra le ''Philosophical Transactions'' della [[Royal Society]].<ref>''[https://royalsocietypublishing.org/doi/epdf/10.1098/rstl.1693.0058 VI. A paper of Mr. Flower, containing some unknown ancient characters, with remarks thereon by Francis Aston Esq; S. R. S]'', Philosophical Transactions of the Royal Society of London, volume 17, numero 203, settembre 1693.</ref><ref name=teloni/> La trascrizione consisteva di 22 segni (''These characters being two and twenty in number'': così scrive Aston), selezionati da diverse iscrizioni, di modo che era impossibile cavarne senso alcuno. Nel 1700, [[Thomas Hyde]] riprodusse i segni di Flower in appendice alla sua ''Historia religionis veterum Persarum eorumque Magorum'' e li definì «ductuli pyramidales seu cuneiformes» (ritenendoli del resto null'altro che segni decorativi e non grafemi: «tantum sculptura ornamenti causa»<ref>{{Cita libro|autore=[[Thomas Hyde]]|titolo=Historia religionis veterum Persarum eorumque Magorum […]|url=https://books.google.it/books?id=sr1bAAAAQAAJ&pg=PA526#v=onepage&q&f=false|città=Oxonii|editore=e Theatro Sheldoniano|anno=1700|p=526|lingua=la}}</ref>).<ref>{{cita|Kramer|pp. 10-11}}.</ref> Solo molto più tardi si comprese che alcuni dei segni copiati da Flower erano [[Lingua elamita|elamiti]] e appartenevano ad una iscrizione trilingue che comprendeva anche il [[Lingua persiana antica|persiano antico]] e il [[dialetto babilonese]].<ref>{{cita|Potts|p. 5}}.</ref>
Un agente della [[Compagnia britannica delle Indie orientali|Compagnia delle Indie orientali]], Samuel Flower, mercante ad Aleppo, in alcune sue carte non datate, riportò dei segni che, secondo quanto da lui affermato, aveva copiato a Persepoli nel 1667. Flower non sapeva se attribuire tali segni misteriosi ai "Guebri" (Parsi). Le carte con i segni, alla morte del mercante, finirono in mano a Francis Aston, che le pubblicò nel giugno del 1693 tra le ''Philosophical Transactions'' della [[Royal Society]].<ref>''[https://royalsocietypublishing.org/doi/epdf/10.1098/rstl.1693.0058 VI. A paper of Mr. Flower, containing some unknown ancient characters, with remarks thereon by Francis Aston Esq; S. R. S]'', Philosophical Transactions of the Royal Society of London, volume 17, numero 203, settembre 1693.</ref><ref name=teloni/> La trascrizione consisteva di 22 segni (''These characters being two and twenty in number'': così scrive Aston), selezionati da diverse iscrizioni, di modo che era impossibile cavarne senso alcuno. Nel 1700, [[Thomas Hyde]] riprodusse i segni di Flower in appendice alla sua ''Historia religionis veterum Persarum eorumque Magorum'' e li definì «ductuli pyramidales seu cuneiformes» (ritenendoli del resto null'altro che segni decorativi e non grafemi: «tantum ornatus et lusus gratia»<ref>{{Cita libro|autore=[[Thomas Hyde]]|titolo=Historia religionis veterum Persarum eorumque Magorum […]|url=https://books.google.it/books?id=sr1bAAAAQAAJ&pg=PA526#v=onepage&q&f=false|città=Oxonii|editore=e Theatro Sheldoniano|anno=1700|p=526 e p. 528|lingua=la}}</ref>).<ref>{{cita|Kramer|pp. 10-11}}.</ref> Solo molto più tardi si comprese che alcuni dei segni copiati da Flower erano [[Lingua elamita|elamiti]] e appartenevano ad una iscrizione trilingue che comprendeva anche il [[Lingua persiana antica|persiano antico]] e il [[dialetto babilonese]].<ref>{{cita|Potts|p. 5}}.</ref>
[[File:Carsten Niebuhr persepolis.png|thumb|Disegno di [[Carsten Niebuhr]] (1733-1815), da [[Persepoli]]]]
[[File:Carsten Niebuhr persepolis.png|thumb|Disegno di [[Carsten Niebuhr]] (1733-1815), da [[Persepoli]]]]
In tutto il Seicento e per gran parte del Settecento, numerosi furono i viaggiatori e gli esploratori che s'imbatterono nelle rovine delle civiltà mesopotamiche, ciascuno con una propria interpretazione, ma tutti intenti a far corrispondere ciò che vedevano alla loro cultura biblica.<ref name=kramer7/>
In tutto il Seicento e per gran parte del Settecento, numerosi furono i viaggiatori e gli esploratori che s'imbatterono nelle rovine delle civiltà mesopotamiche, ciascuno con una propria interpretazione, ma tutti intenti a far corrispondere ciò che vedevano alla loro cultura biblica.<ref name=kramer7/>

Versione delle 23:45, 17 dic 2022

L'assiriologia è lo studio del Vicino Oriente antico e, in particolare, di cultura, religione, storia, lingue e archeologia delle civiltà della Mesopotamia e dei popoli vicini.

Il nome deriva dal fatto che, alle sue origini (metà del XIX secolo), la disciplina si concentrò inizialmente sulla civiltà assira. Con l'ampliarsi delle conoscenze sulla Mesopotamia e sul Vicino Oriente antico in generale, l'assiriologia estese i propri interessi alla civiltà babilonese e alla civiltà sumera, oltre che a varie altre popolazioni e territori, come la Persia, la Susiana, l'Armenia, l'Asia minore, in contatto con le civiltà principali.[1][2]

Le molte tavolette d'argilla redatte in cuneiforme e giunteci da queste culture forniscono un'ingente risorsa per gli studi sull'epoca e sui primi insediamenti urbani.

Forme linguistiche e sistemi di scrittura

Esistono molti dialetti dell'accadico, lingua di Assiria e Babilonia, che spaziano dai primi testi del III millennio a.C., fino ai testi del I secolo. Alcuni dialetti poi, sono indigeni (come, ad esempio, quello rintracciato in testi mercantili dell'Anatolia, chiamato antico assiro), mentre altri appaiono specificamente coniati all'interno di cerchie di letterati o autorità religiose (il dialetto epico degli inni e, successivamente, il babilonese standard).

Il sistema di scrittura (detto "cuneiforme") fu mutuato da quello sviluppato nel sud della Mesopotamia per la lingua sumera. Il sumero ha un sistema grammaticale completamente differente e, per quanto si sa, nessun termine apparentato.

La scrittura cuneiforme fu adottata anche ad altri linguaggi, come l'ittita, l'hurrita e l'ugaritico. Un sistema correlato di scrittura cuneiforme appare per la lingua elamitica.

Enorme è la varietà dei testi esistente. Essa include liste reali, documenti legali e mercantili, testi religiosi, testi letterari canonici (come l'Epopea di Gilgamesh), iscrizioni storiche dei sovrani, missive, testi musicali o matematici, testi scientifici (raccolte di divinazioni). Vi sono anche raccolte lessicali che riflettono un interesse erudito per la linguistica comparativa, inclusa la conservazione e la conoscenza del sumero per fini religiosi e culturali. Di fatto, l'utilizzo della scrittura cuneiforme per un periodo di quasi 3000 anni si riflette sulla grande varietà della documentazione pervenuta, che risulta assai ampia, nonostante i bassi tassi di alfabetizzazione dell'epoca antica.

Decifrazione della scrittura cuneiforme

Trascrizione dell'iscrizione di Behistun in persiano arcaico

Resta incerto se Greci e Romani conoscessero la scrittura cuneiforme.[2]

Già nel Rinascimento, l'Europa manifestò interesse, oltre che per la classicità greco-latina, anche per le radici orientali della propria civiltà. Inizialmente, l'interesse fu soprattutto di tipo linguistico: significativa fu, a questo proposito, l'istituzione al Collège royal di Francesco I (odierno Collège de France) di una cattedra di ebreo e di arabo, affidata a Guillaume Postel.[3] In precedenza, si ha notizia di un rabbino e geografo spagnolo, Beniamino di Tudela, il quale, in un viaggio in Oriente svoltosi tra il 1165 e il 1170, visitando gli Ebrei di Mosul, fu in grado di riconoscere dei resti lì nei pressi come appartenenti all'antica Ninive. Il suo racconto, divenuto celebre in Europa, fu trasmesso inizialmente in forma manoscritta e poi a stampa nel 1543.[4][5] Un viaggio simile fu svolto qualche anno dopo da un altro rabbino, Petachiah di Ratisbona, ma il suo racconto rimase confinato ad ambienti ebraici, almeno fino alla pubblicazione nel 1856.[6]

Ci furono poi una serie di viaggiatori, passati per quelle parti, che scrissero intorno ai loro viaggi: Ibn Jubayr (1185), Marco Polo (1271-1275 ca.), Odorico da Pordenone (1322 ca.), Giovanni de' Marignolli (1352 ca.), Johann Schiltberger (1396-1427), Niccolò de' Conti (1420-1425). I loro racconti, però, così come altri di quel periodo, non offrivano in effetti descrizioni accurate del Vicino Oriente e riflettevano interessi diversi e legati ad altri posti: dominava l'interesse per la cultura classica e quella biblica (con molteplici avvistamenti della Torre di Babele), la sete di informazioni sulla Terrasanta o sull'Antico Egitto, o, ancora, i propositi commerciali e missionari verso la Persia, le Indie, la Cina.[7]

La conoscenza delle lingue semitiche si rivelò fondamentale per l'interpretazione delle lingue mesopotamiche e vicino-orientali in genere. Il fenicio fu, ad esempio, decifrato nel XVIII secolo attraverso un'iscrizione bilingue su un cippo proveniente da Malta. Le diverse lingue composte in scrittura cuneiforme (o "cuneata", come si diceva un tempo[2]) furono invece interpretate assai dopo, grazie a testi trilingui provenienti dalla Persia e, in particolare, da Persepoli, testi che in parte erano già giunti in schizzi e riproduzioni a partire dal XVII secolo.[3] Si ha notizia di un frate agostiniano, Antonio de Gouvea, inviato in Persia da Filippo III di Spagna e Portogallo nel 1602, che redasse una relazione del proprio viaggio, stampata a Lisbona nel 1611, in cui descriveva segni misteriosi scolpiti sui monumenti di Cihilminār (Persepoli). Fu forse a Naqsh-i Rustem che i fratelli Giambattista e Girolamo Vecchietti ebbero modo, nel 1606, di constatare la presenza di "scritture d'intagliamenti" su alcune rovine.[2] Il diplomatico spagnolo García de Silva y Figueroa, che nel 1618 si trovava a Persepoli, riportò di aver visto alcune lettere a foggia di piramidi o obelischi e ordinò che una linea fosse copiata. Il patrizio romano Pietro della Valle, che viaggiò in Oriente tra il 1614 e il 1626, si trovò sulla terrazza di Cihilminār il 13 ottobre 1621 e copiò con qualche inesattezza cinque segni di un carattere "ignoto" (era scrittura cuneiforme), che riportò in una lettera inviata da Shīrāz otto giorni dopo e pubblicata nel 1658. È forse questa la più antica trascrizione di segni persepolitani giunta in Europa.[2] Fu sempre Pietro della Valle, nel 1616, a riconoscere i resti di Babilonia e a descriverli nei suoi scritti. Al ritorno dal suo viaggio in Oriente, della Valle portò con sé dei mattoni inscritti, raccolti a Babilonia e in quel luogo che gli Arabi chiamavano Tal al Muqayyar (l'antica città di Ur). Questi resti rappresentano i primi esemplari di scrittura cuneiforme a raggiungere l'Europa.[4]

Un agente della Compagnia delle Indie orientali, Samuel Flower, mercante ad Aleppo, in alcune sue carte non datate, riportò dei segni che, secondo quanto da lui affermato, aveva copiato a Persepoli nel 1667. Flower non sapeva se attribuire tali segni misteriosi ai "Guebri" (Parsi). Le carte con i segni, alla morte del mercante, finirono in mano a Francis Aston, che le pubblicò nel giugno del 1693 tra le Philosophical Transactions della Royal Society.[8][2] La trascrizione consisteva di 22 segni (These characters being two and twenty in number: così scrive Aston), selezionati da diverse iscrizioni, di modo che era impossibile cavarne senso alcuno. Nel 1700, Thomas Hyde riprodusse i segni di Flower in appendice alla sua Historia religionis veterum Persarum eorumque Magorum e li definì «ductuli pyramidales seu cuneiformes» (ritenendoli del resto null'altro che segni decorativi e non grafemi: «tantum ornatus et lusus gratia»[9]).[10] Solo molto più tardi si comprese che alcuni dei segni copiati da Flower erano elamiti e appartenevano ad una iscrizione trilingue che comprendeva anche il persiano antico e il dialetto babilonese.[11]

Disegno di Carsten Niebuhr (1733-1815), da Persepoli

In tutto il Seicento e per gran parte del Settecento, numerosi furono i viaggiatori e gli esploratori che s'imbatterono nelle rovine delle civiltà mesopotamiche, ciascuno con una propria interpretazione, ma tutti intenti a far corrispondere ciò che vedevano alla loro cultura biblica.[4]

Un passaggio essenziale fu il viaggio, svoltosi tra il 1761 e il 1767, del matematico danese Carsten Niebuhr, il quale copiò diverse iscrizioni a Persepoli, poi rivelatesi fondamentali per la corretta interpretazione delle varie scritture cuneiformi, e illustrò le rovine di Ninive con i suoi bozzetti.[4]

Un altro passaggio essenziale fu il viaggio di Anquetil-Duperron in India, presso gli Zoroastriani lì emigrati dalla Persia, al fine di tradurre, tra il 1768 e il 1771, lo Zend Avesta. Alla lingua dello Zend Avesta (l'avestico) poteva forse corrispondere quella trascritta in cuneiforme ai tempi dei re achemenidi e detta antico persiano.[3]

La lettura corretta dell'antico persiano fu confermata solo dopo che, nel 1837, Henry Rawlinson riuscì a copiare la grande iscrizione trilingue di Behistun voluta da Dario I di Persia.[12]

La decifrazione della scrittura cuneiforme si basò su iscrizioni su pietra scoperte a Persepoli contenenti caratteri organizzati su tre colonne. Non si aveva alcuna certezza su quale fosse la lingua, o le lingue, coinvolte. Ma ben presto nacque la convinzione che si trattasse di un medesimo testo scritto in tre lingue diverse, cosicché la decifrazione di una avrebbe condotto alla decifrazione delle altre due, una congettura che si rivelerà fondata.

I ricercatori concentrarono l'attenzione sulla prima colonna dell'iscrizione, che contava solo quarantadue segni, ciò che faceva supporre che potesse essere un alfabeto. Supponendo inoltre che quella scrittura fosse espressione di un regno persiano del IV secolo a.C. e utilizzando fonti letterarie conosciute, conclusero che la lingua utilizzata era un precursore del persiano utilizzato per scrivere i testi più antichi. D'altro canto, grazie a fonti greche, si conoscevano i nomi di due re persiani, Dario e Serse.

Forte di queste sue convinzioni, Georg Friedrich Grotefend ricavò, nel 1802, un primo alfabeto cuneiforme che permise di riconoscere i nomi dei re persiani. La sua esposizione, nei fatti, si sarebbe rivelata in gran parte inesatta ma diede vita a un dibattito che durò per 40 anni all'interno di una cerchia ristretta di specialisti. Grazie ad esso, nel 1842, gran parte degli studiosi si trovò d'accordo su un alfabeto che permetteva di leggere l'insieme del testo e di dargli un senso coerente.

La decifrazione della seconda colonna pose qualche problema in più. Dato che annoverava 110 simboli, si concluse ben presto doversi trattare di un alfabeto sillabico. Ma la scarsità di documenti in quella scrittura, che peraltro non si sapeva neppure a quale lingua attribuire, ne rese la decifrazione ben più lunga e laboriosa di quella della terza colonna.

Per la terza colonna il compito si presentava molto più complesso. Dal 1814 alcune soluzioni vennero proposte ma l'evidente varietà di simboli non permise di andare molto più in là di qualche repertorio incompleto. Fu solo a partire dal 1842, quando la decifrazione della lingua persiana fu stabilita su basi più solide, che cominciarono a delinearsi dei progressi.

Il primo passo fu quello di compilare un preciso repertorio dei segni scrittorii, cosa che non poteva essere altro se non il frutto di un paziente lavoro comparativo tra un gran numero di testi. Per portarlo a termine gli studiosi non poterono accontentarsi delle sole iscrizioni di Persepoli ma dovettero attingere alla gran massa di informazioni che scaturivano dai ritrovamenti che andavano facendosi.

Venne quindi il momento di riconoscere i segni alfabetici. Bisognava trovare il suono o il senso dei simboli perché, visto il numero di segni catalogati, alcuni studiosi pensavano che essi dovessero indicare intere parole. Altri pensavano invece che la scrittura fosse basata su sillabe giustapposte a comporre parole.

Nei fatti, tutto il dibattito si concentrò in quella quindicina d'anni compresa tra il 1842 e il 1857. Confrontando i nomi propri presenti nella versione persiana con quelli della terza colonna, si poté scoprire che uno stesso segno, secondo i casi, poteva indicare una sillaba oppure una parola. Che uno stesso segno poteva anche corrispondere a più sillabe e che, viceversa, una stessa sillaba poteva essere resa con vari segni.

Fu nel 1850 che si riconobbe la presenza di alcuni simboli che avevano valore di determinativi, vale a dire segni muti che hanno il compito di chiarire il significato del nome che segue, specificandone il campo semantico o che, in atri casi, assolvono la funzione di modificatori grammaticali, indicando ad esempio il plurale di un termine. Quello stesso anno fu stabilito un metodo di decifrazione: partendo dall'ipotesi che si trattasse di una lingua semitica, uno studioso propose di confrontare i segni sillabici all'alfabeto ebraico. Una volta adottato, il metodo permise di compiere un balzo in avanti sulla strada della comprensione dei segni.

Infine, nel 1857, William Fox Talbot, un decifratore britannico amante dei colpi mediatici,[13] realizzò un esperimento inviando tre copie di una stessa tavoletta appena venuta alla luce ai tre più eminenti decifratori, Henry Rawlinson, Jules Oppert e Edward Hincks, serbandone una quarta copia per sé. Le quattro traduzioni concordavano. Fu la prova che la lettura delle tavolette cuneiformi cominciava finalmente ad essere padroneggiata.

Formazione accademica degli assiriologi

Poche università propongono corsi di assiriologia ad un livello avanzato e non così tante sono quelle che offrono, per esempio, corsi introduttivi all'accadico. Tra queste, negli Stati Uniti, sono da annoverare l'Università Brown, lo Hebrew Union College, la Cornell, Harvard, la Johns Hopkins, l'Università di Chicago, l'Università del Michigan, l'Università della Pennsylvania (che esibisce, nel suo museo archeologico ed antropologico, una vasta collezione) e Yale.

In Italia, corsi di assiriologia sono offerti, ad esempio, dalla Sapienza, dall'Orientale di Napoli, dall'Università di Messina, dalla Ca' Foscari, dall'Università di Firenze e dal Pontificio Istituto Biblico.

Tra i precursori della assiriologia in Italia va ricordato Giulio Cesare Teloni, docente presso l'Istituto di Studi Superiori di Firenze e la Scuola di Studi Orientali dell'Università di Roma.

Competenze richieste

Come disciplina accademica, l'Assiriologia si presenta come uno dei campi più impegnativi dell'umanità. Lo studio necessita di una buona conoscenza di parecchie lingue semitiche (inclusi l'accadico e i suoi principali dialetti, con l'ausilio del confronto con l'ebraico biblico), e la capacità di assorbire la complessità di sistemi di scrittura con centinaia di segni chiave. Anche se oggi esistono vasti studi sulla grammatica e sono disponibili risorse lessicali, molti testi sfuggono ancora ad un'accurata interpretazione. Spesso questo è dovuto alle stesse tavole, rotte o parzialmente rovinate, o, nel caso dei testi letterari, laddove vi siano più copie, all'oscurità della grammatica o del linguaggio.

Inoltre, gli studiosi devono essere in grado di leggere e capire inglese, tedesco, francese e italiano, visto che importanti riferimenti, dizionari e riviste sono pubblicati in queste lingue.

Il procedere degli studi della cultura mesopotamica è pesantemente condizionato dalle competenze richieste per un'adeguata esegesi testuale. Esso è stato tradizionalmente contiguo agli studi biblici, sebbene oggi questo sia un po' meno vero. Comunque, la formazione degli assiriologi ha seguito un tradizionale percorso storico-filologico. Un percorso accademico con scarsa attenzione a questioni di filosofia della storia, antropologia comparata, o di altri campi, problematiche che, nei casi più favorevoli, potrebbero essere incluse sia nell'insegnamento che nelle pubblicazioni.

Note

  1. ^ assiriologia, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ a b c d e f Giulio Cesare Teloni, ASSIRIOLOGIA, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  3. ^ a b c Amiet, p. 8.
  4. ^ a b c d Kramer, p. 7.
  5. ^ Ooghe, p. 232.
  6. ^ Ooghe, pp. 232-233.
  7. ^ Ooghe, p. 233.
  8. ^ VI. A paper of Mr. Flower, containing some unknown ancient characters, with remarks thereon by Francis Aston Esq; S. R. S, Philosophical Transactions of the Royal Society of London, volume 17, numero 203, settembre 1693.
  9. ^ (LA) Thomas Hyde, Historia religionis veterum Persarum eorumque Magorum […], Oxonii, e Theatro Sheldoniano, 1700, p. 526 e p. 528.
  10. ^ Kramer, pp. 10-11.
  11. ^ Potts, p. 5.
  12. ^ Amiet, p. 9.
  13. ^ Brillante e poliedrica figura di matematico, inventore e archeologo, William Fox Talbot è più noto per i suoi pionieristici lavori sulle tecniche di riproduzione fotografica (talbotipia).

Bibliografia

Collegamenti esterni

Vi sono importanti progetti internazionali che pubblicano foto, trascrizioni e varie edizioni dei testi, quali:

Voci correlate

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